Ho scritto in mezzo ai rovi e sugli alberi nudi, fra i monti sparuti della mia terra matrigna; ho scritto sui dirupi e lungo i torrenti. Fare il contadino della poesia vuol dire rispecchiarsi negli occhi della mucca, vuol dire guadagnare il piatto quotidiano col sudore della propria fronte, ricostruire il tempio della parola distrutta dagli eunuchi del minimalismo sterile. Vuol dire scrivere sul proprio corpo e con il proprio corpo, scegliere l’esilio invece di servire il potere. Se in Albania ho svolto vari mestieri lavorando come operaio, in Italia ho lavorato come pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. Chi è nato contadino, nasce già poeta.
Categoria: L’italiano dei nuovi italiani
Valentina Pedone intervista Lanbo Hu
Utilizzare direttamente la lingua italiana per scrivere poesie è molto gratificante, poiché so che non oso scriverle in cinese. Se le scrivessi in cinese, non potrei mai considerarle poesie. Quando scrivo in francese o italiano so che le persone riconoscono che sono straniera, non scrivere bene e così posso essere perdonata. Al massimo qualche lettore potrebbe fare lo stesso commento che io ho rivolto al pittore del mercatino: folle! La poesia può esprimere con poche parole molte emozioni, è molto bello. Ma la narrativa mi piace scriverla nella mia lingua madre.