A voi fieri calabresi dedico questo libro che chiude
nelle pagine il tesoro di vita del vostro nobile linguaggio.
Gerhard Rohlfs
A Bova, in provincia di Reggio Calabria, incastonato in una splendida cornice di natura selvaggia tra montagna e mare, sorge un museo dedicato al celebre glottologo, linguista e filologo tedesco Gerhard Rohlfs (1892-1986), che dedicò anni di studi al dialetto calabrese e al grecanico: si tratta del Museo della Lingua Greco-Calabra “Gerhard Rohlfs”.
La scelta di realizzarlo è stata la conseguenza di una politica di sviluppo locale volta alla valorizzazione del patrimonio culturale calabrese, in modo particolare quello grecanico. L’idea che ha mosso il suo sviluppo è quello di raccontare, attraverso una storia della lingua greco-calabra, l’identità del popolo che ancora oggi incarna tale cultura, specie nei comuni di Bova, Condofuri, Roghudi e Roccaforte del Greco, tutti in provincia di Reggio Calabria. I Greci di Calabria sono inoltre riconosciuti Minoranza Linguistica dalla Legge nazionale n. 482/1999 e dalla Legge regionale n.15/2003.
Il museo è stato realizzato grazie al contributo di istituzioni locali ed enti privati: l’edificio che ospita l’esposizione è stato ristrutturato grazie all’intervento della Regione Calabria. La scelta di dedicare il museo civico al glottologo tedesco Gerhard Rohlfs si deve non solo all’importante opera di valorizzazione della lingua grecanica effettuata dallo studioso fin dagli anni venti del Novecento, ma anche al fatto che egli riuscì a dimostrarne l’origine magno-greca, rigettando l’ipotesi di quanti invece ritenevano che fosse una lingua diffusasi in Calabria a seguito alla conquista bizantina del Sud Italia.
Per molti anni rimasto incompiuto, il museo è stato ultimato grazie a una strategia “plurifondo” che a poco a poco ha portato alla sua ultimazione, applicata sia per finanziare la rifinitura dell’edificio sia per sostenere i costi dei suoi contenuti. Si è trattato quindi di un lungo processo sinergico che ha fatto sì che potesse fiorire una realtà culturale che raccontasse e valorizzasse la storia del territorio in cui sorge: il museo è stato inaugurato il 21 maggio 2016, con la presenza di Eckart Rohlfs, figlio del noto linguista tedesco, il quale ha donato alla neonata struttura museale degli importanti manufatti etnografici raccolti dal padre durante i suoi viaggi in Calabria a partire dal 1922.
All’interno del museo, che si articola in sei sale, al piano giardino è presente il “Fondo librario Franco Mosino”, che è stato docente e profondo conoscitore della lingua greco-calabra e a cui ha dedicato numerosi scritti. L’opera più famosa del prof. Franco Mosino (1932-2015) è probabilmente L’Odissea scritta a Reggio: prove testuali, topografiche, epigrafiche, filologiche, iconografiche, antropiche. Secondo lo studioso, il toponimo Bova è stato a lungo inteso come “Vacca”, la cui pronuncia in Greco-calabro è Vua. Ma Vua in Greco-calabro non può significare “Vacca”, perché Vacca si dice vthilìlia. Allora sostiene che bisogna indagare in un’altra direzione: a Rodi, Vua vuol dire “fossa da grano, silos”, e lo stesso significato dovrebbe avere il toponimo Vua, che designa un insediamento medievale dove il grano è tuttora ampiamente coltivato, come i Campi di Bova con il loro grano germano.
Il Fondo Mosino, donato dallo stesso professore filologo e grecista, consta di 4500 volumi circa, incentrati principalmente su studi linguistici, filologici, storici, letterari oltre che, ovviamente, sulla cultura calabrese. Vi si trovano anche libri antichi e rari, testi autografati dallo stesso G. Rohlfs o scritti da F. Mosino.
Il paese di Bova ha rivestito un ruolo importantissimo per Mosino, in quanto è la Chora che ha visto nascere e perpetuarsi una ricchissima tradizione linguistica, letteraria, musicale e spirituale.
Nel giardino retrostante il Museo “G.Rohlfs” trova spazio il parco letterario “O cipo ton logo – Il giardino delle parole” dedicato al Greco calabro, cui ha dato voce Roberto Lucifero in un’installazione d’arte contemporanea permanente realizzata nel 2020 insieme a Giuseppe Maesano, uno degli ultimi maestri di muretti a secco di Bova. L’opera, un semicerchio simbolico rivolto verso l’Etna, dà luce alle più significative testimonianze letterarie scritte a Bova in un periodo compreso tra il XII secolo e il Novecento come brani liturgici, poesie e canti d’amore, che scandiscono le tappe fondamentali della lingua greca di Calabria, soffermandosi sui momenti salienti della storia di Bova.
Un altro aspetto interessante di questa realtà museale è che oltre ad essere stato realizzato grazie a “macro-donazioni”, come quelle di enti pubblici e privati, anche gli abitanti di Bova hanno partecipato in prima persona donando piccoli oggetti della tradizione, tessuti di ginestra, strumenti agricoli o legati alla religione e alla ritualità popolare, contribuendo al clima quasi domestico che è stato ricreato all’interno di alcune sale, in cui sembra davvero di trovarsi un’antica casa di Bova.
Interessante sottolineare come il Museo della Lingua Greco-Calabra “Gerhard Rohlfs” sorga in un sito particolarmente simbolico, poiché è il luogo in cui lo scrittore inglese Edward Lear, durante un suo viaggio in Calabria, arrivato nel paese disegnò un suggestivo scorcio di Bova. Il viaggio di Lear, illustrato, è raccontato nel suo libro Diario di un viaggio a piedi (1847), che fa parte di un filone di viaggi di scrittori, poeti e studiosi che da tutto il mondo vennero a vedere da vicino la Calabria greca, come Enry Swinburne (1777) o Norman Douglas (1907), entrambi connazionali di Lear.
Lo studio sulla lingua e sulla cultura grecanica di Rohlfs arrivò in un periodo in cui il Fascismo portava avanti una battaglia contro le minoranze linguistiche presenti in Italia per perseguire la rigida costruzione di un’identità nazionale. Lo stato del patrimonio culturale e linguistico grecanico divenne ulteriormente precario a seguito della campagna di alfabetizzazione del secondo dopoguerra e degli eventi alluvionali in Aspromonte dello stesso periodo, cui seguì un grande esodo dei greci di Calabria.
Giunto per la prima volta nell’Aspromonte meridionale negli anni venti, Rohlfs si integrò nel territorio con la stessa passione con cui condusse i suoi studi linguistici e culturali, lasciando un segno visibile ancora oggi nelle realtà ellenofone calabresi: gli autoctoni lo chiamavano amichevolmente “U tedescu”.
Il museo, oltre a contenere innumerevoli testi dedicati alla lingua e alla cultura greco-calabra, accoglie le numerose e suggestive fotografie scattate dallo studioso tedesco durante i suoi viaggi in Calabria, le quali rappresentano un riferimento storico e antropologico di altissimo valore.
Le due foto appena riprodotte, scattate da Rohlfs a Caraffa, in provincia di Cosenza, nel 1924, in apparenza ritraggono due donne arbëreshë in un abito folcloristico di festa, ma si tratta in realtà due uomini: spesso le donne non volevano farsi ritrarre in foto, furono così degli uomini a posare per gli scatti in abito tradizionale.
Una lunga sezione di fotografie è dedicata ai mestieri, come l’impagliatore che si può ammirare in figura. Rohlfs si immerse a tutto tondo nella cultura greco-calabra, raccogliendo con le sue fotografie momenti di verità e di vita quotidiana.
L’attenzione di Rohlfs fu catturata inevitabilmente anche dagli animali, inestimabile ricchezza nella cultura contadina del tempo: avere un asino, ad esempio, era una ricchezza, poiché vi si potevano trasportare persone, oggetti, e con l’ausilio di particolari sistemi, potevano aiutare nell’estrarre l’acqua dai pozzi o alla molitura delle olive.
Un altro aspetto della cultura greco-calabra trattato nel museo dedicato a Rohlfs è quello poetico musicale: oltre a poter ammirare strumenti musicali tradizionali quali la lira e la ciaramella, costruiti da artigiani del luogo, sono esposti testi di noti poeti di Bova, come Bruno Casile (1923-1998), che fu profondamente apprezzato da Pier Paolo Pasolini: dopo aver conosciuto Casile alla Conferenza Internazionale sulle Minoranze Linguistiche, tenutasi a Trieste nel 1974, Pasolini rimase profondamente colpito dalla sua arte poetica, in particolar modo per la sua capacità di raccontare, esaltandola pur con semplicità, la realtà contadina dell’Aspromonte greco.
Oltre all’esposizione dei manufatti etnografici appartenuti a G. Rohlfs e donati al museo dal figlio Eckart, è possibile ripercorrere gli spostamenti e le esperienze del linguista tedesco grazie all’esposizione delle sue tesi sulle origini magno-greche della lingua greco-calabra.
La lingua dei Greci di Calabria è antichissima, risale circa al VII secolo a.C. I dorismi che si trovano nel vocabolario greco calabro sono la testimonianza della sua lontana origine: quando nel II secolo a.C. in Grecia si diffuse il dialetto Attico, nella Calabria greca, territorio “periferico” rimase in uso la lingua antica, il Dorico.
Furono numerosi i momenti storici che ostacolarono la conservazione del Greco calabro: oltre al già citato periodo fascista, più indietro nel tempo, nel 1573, la Chiesa Cattolica di Roma abolì il Rito greco a Bova e in tutta l’area grecanica e venne imposto il rito in latino. La preghiera allora rappresentava uno dei mezzi più importanti di trasmissione orale della lingua, pertanto vietare la preghiera in Greco calabro significò indebolire la lingua stessa.
Fu durante il periodo fascista che eminenti studiosi, tra cui Gerhard Rohlfs, si avventurarono nello studio e nella valorizzazione di questo grande patrimonio linguistico e culturale, donando rinnovato slancio alle terre ellenofone di Calabria, le quali risposero con la creazione di strutture e iniziative volte a donare nuova dignità e floridezza a una terra che anticamente fu una culla di bellezza e conoscenza, oltre a essere una terra estremamente florida. Secondo una delle possibili ipotesi etimologiche del termine Calabria, esso deriverebbe da kalón-bryōn ([terra] che fa sorgere il bello), a evidenziare la fertilità del suo territorio.
Visitare oggi un museo come Museo della Lingua Greco-Calabra “Gerhard Rohlfs”, nonché i superstiti paesi della Calabria ellenofona come Gallicianò o Roghudi, rappresenta un’occasione unica per approfondire la lingua e la cultura greco-calabra: il rapporto tra l’italiano e la grecità ancora aspettano di essere ulteriormente approfonditi ed esplorati, in una cornice naturale dove la tradizione si è mantenuta salda, ed è ancora possibile vivere un contatto diretto con una tradizione di lingua, letteratura, musica, usanze e spiritualità antiche che non sono state totalmente erose dal veloce scorrere della modernità.
Nelle prime pagine del testo di Filippo Condemi La lingua della valle dell’Amendolea: Vocabolario Fraseologico (2006) è presente una preziosa intervista a G. Rohlfs, che chiarisce quali siano gli elementi portanti della sua teoria linguistica:
II 20 marzo 1976 il glottologo prof. G. Rolhfs ha tenuto, presso i locali del Museo Nazionale di Reggio Calabria, una conferenza sul tema: “Le due Calabrie: Calabria latina e Calabria grecani- ca” e ci ha concesso la seguente intervista.
Qual è la sua teoria sull’origine della nostra lingua?
Persistenza della lingua ex temporibus antiquis.
Cosa pensa delle teorie non rohlfsiane?
Non vogliono credere che la vostra lingua abbia perdurato e persistito; ma nel mondo scientifico internazionale, la mia teoria è ormai accettata. Voi non siete arrivati, ma siete discendenti di quelli che vivevano qui. Gli antichi Bruzi, commerciando con le città greche più floride (Reggio, Locri, ecc.), hanno pian piano imparato la lingua greca la quale si è tramandata. Non si tratta quindi di colonizzazione bizantina di 5 secoli fa, il cui influsso esiste, sì, ma soltanto per la chiesa e per l’arte, non per la lingua.
Pensa sia possibile salvare la nostra lingua?
È molto difficile perché la fase di decadenza risale a molto tempo addietro, quando i signorotti locali hanno iniziato (e continuano) un tipo di oppressione morale (e materiale) nei confronti della gente di lingua, giudicandola (e chiamandola) cretina e cafona.
Le parole che ci mancano è meglio prenderle dal greco moderno?
Meglio dall’italiano, perché prendendole dal neogreco di Atene si complica di più il vostro greco.
Abbiamo il verbo, e ci manca il sostantivo, che facciamo?
Fino a un certo punto costruite sul verbo che esiste, in altri casi meglio la parola italiana.
L'autore
- Benedetta Vale nasce a Reggio Calabria nel 1998. Si laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna nel 2022 e attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Studi Classici, Italiani e Storia Europea all’Università di Perugia.