György Domokos è nato a Budapest nel 1963, si è laureato all’Università degli Studi Eötvös Loránd prima come matematico (1987) e poi come italianista (1988), sotto la guida di Giampaolo Salvi, scrivendo una tesi sul dialetto milanese. Il suo dottorato di ricerca si concentrava sulla lingua di Bonvesin della Riva. Da diversi decenni ormai conduce ricerche in archivio, nell’ambito del progetto Vestigia, cercando di identificare fonti relative all’Ungheria conservate nelle collezioni pubbliche italiane (vestigia.hu). Membro dell’Accademia Ambrosiana, ha pubblicato numerosi articoli e libri. Attualmente, insegna come professore ordinario all’Università Cattolica Péter Pázmány a Budapest e all’Università Comenio a Bratislava.
Innanzitutto, carissimo Professore György, la ringrazio di aver accettato questa intervista su Insula europea per mostrarci la prospettiva di un docente di lingua e letteratura italiana visto che lei insegna presso l’Università Cattolica Pázmány Péter in Ungheria. Per cominciare le chiederei, qual è la situazione attuale dell’italiano nel suo paese: l’interesse per la nostra lingua è stabile o in decrescita?
A sorpresa, l’italiano continua ad essere una lingua che molti scelgono: più di 100 licei in Ungheria hanno nel programma l’italiano nel piano di studio, per lo più come materia a scelta obbligatoria, cioè seconda o terza lingua straniera, da scegliere in alternativa col tedesco, col francese o con lo spagnolo. L’interesse è comunque in decrescita: lo vedo dal numero delle iscrizioni universitarie che nel giro di venti anni si è dimezzato. L’italiano si studia a livello universitario a Budapest alla Statale (ELTE), da noi (Università Cattolica Péter Pázmány) e nelle università di Pécs, Szeged e Debrecen. A livello di lettoraro di lingua è presente anche in altri atenei, come l’Univerità Corvinus, il Politecnico, l’Accademia della Musica ecc.
Perché il numero di corsi all’università è diminuito negli anni?
Certamente un duro colpo a tutte le altre lingue è stato inferto dalla diffusione globale dell’inglese. Come anche altrove, a subire maggiormente questo cambio di tendenza è stato il tedesco che tradizionalmente era la lingua numero due, però anche le altre lingue ne risentono. Si assiste alla crescita relativa verso il cinese, il russo, il giapponese e il coreano, mentre tra lingue europee si salva soprattutto lo spagnolo. Nelle università le prospettive di lavoro si sono ridotte per questo tipo di laureati: con la diffusione del ChatGPT e dell’intelligenza artificiale, si pensa erroneamente che non ci sarà più bisogno di interpreti, traduttori, insegnanti. Nella mia università per esempio è stato completamente abolito la laurea specialistica in interpretariato e traduzione che per molti anni era un nostro cavallo di battaglia.
Invece, qual è la situazione per le altre lingue romanze come il francese, lo spagnolo o il portoghese?
Come detto, lo spagnolo sembra salvarsi, mentre il francese, considerato “difficile” per la sua pronuncia e per la sua ortografia è in netta perdita. Lo osservo in tutta la regione mitteleuropea. Aggiungo che la politica culturale della Spagna, per quanto io ne sappia, assicura in maniera efficace una presenza capillare nella zona, sostenendo a giovani laureati che vanno all’estero per insegnare la lingua. Forse è la strada giusta anche per la diffusione della vera immagine del paese: non solo intellettuali di grido, artisti, musicisti rappresentano un paese, ma questi ragazzi volonterosi di raccontare il loro paese. Il portoghese risulta sempre ancora una scelta di nicchia, anche se sempre più persone lo parlano.
Secondo la sua esperienza, quali sono le motivazioni principali che spingono ancora i giovani ungheresi a studiare l’italiano: sono motivazioni culturali, personali (dovute alle migrazioni) o l’italiano è visto ancora come una risorsa utile nel mondo del lavoro?
Credo che nel caso dell’italiano prevalga la scelta culturale, in senso lato, cioè se consideriamo parte della civiltà italiana moderna anche la gastronomia, il calcio, la moda, il “made in Italy”. L’Italia per noi è un paese relativamente vicino, meta di vacanze e il contatto tra i due paesi e forte e costante. Inoltre, l’italiano ha fama di essere una lingua meno difficile di molte altre e molti hanno l’esperienza che con un vocabolario di cento parole e qualche gesto si riesce a comunicare con gli italiani.
La presenza di aziende italiane in Ungheria ha un’influenza sull’interesse per la nostra lingua? Ci sono collaborazioni o programmi specifici che incoraggiano lo studio dell’italiano a fini professionali?
Certamente i contatti commerciali, industriali, finanziarie, organizzative influiscono sulla popolarità dell’italiano. All’Università Corvinus, all’Università di Economia e in altri atenei ci sono corsi specifici da molti anni sull’italiano professionale. Nelle facoltà di lettere, come la nostra, i corsi di lingua specialistica mettono al centro il linguaggio giuridico, giornalistico, burocratico nei limiti del possibile. Anche l’Istituto Italiano di Cultura e diverse scuole di lingue offrono corsi specializzati per esempio sulla lingua della moda o della gastronomia che sono sempre attraenti.
Ci sono state recentemente collaborazioni tra istituzioni italiane e ungheresi per rafforzare la presenza dell’italiano nelle scuole o università? In che modo queste partnership hanno contribuito alla diffusione della lingua?
Il nostro partner principale a Budapest (come anche a Bratislava) è l’Istituto Italiano di Cultura. Organizziamo insieme gli eventi della Settimana della Lingua Italiana e anche nell’ambito dei festival cinematografici si coinvolgono spesso gli studenti. Ovviamente, poi, abbiamo tanti partner in Italia: le università stesse, alcuni comuni, eventi culturali che ospitano studenti.
Cosa si potrebbe fare per aumentare l’interesse dei giovani ungheresi verso lo studio dell’italiano?
Se fossi nei panni del governo italiano darei incentivi a giovani neolaureati ad andare nei licei ungheresi ed europei, in generale, ad insegnare e raccontare dal vivo l’italiano e l’Italia. Le persone vive ben preparate sono sempre meglio del miglior libro e dei filmati più artistici. Facendo dei giovani gli ambasciatori dell’italiano, aumenterebbe la loro coscienza di italiani e potrebbero aiutare la diffusione della civiltà italiana.
Per concludere: quali interventi potrebbero rafforzare la presenza dell’italiano nelle scuole e nelle università?
Se i gemellaggi tra le città italiane e ungheresi che sono tanti, potessero contare su qualche sostegno, sono sicuro che la presenza della lingua e della cultura italiana non si concentrerebbe così tanto sulla capitale. In verità, incoraggiando i comuni gemellati ad organizzare eventi comuni porterebbe più vicino le popolazioni e ne nascerebbero iniziative a livello privato o anche comunitario.
L'autore
- Anna Raimo è nata a Pisa il 25 dicembre 1995. Laureata magistrale con il massimo dei voti in Linguistica e didattica dell’italiano nel contesto internazionale presso l’Università degli Studi di Salerno e l’Universität des Saarlandes di Saarbrücken, ha in seguito conseguito un Master di II Livello in Didattica dell’Italiano L2 presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. I suoi interessi di ricerca spaziano dalla linguistica e didattica della lingua italiana alla storia, letteratura e poesia contemporanea. Si è infatti occupata dell’italiano dei semicolti nella sua tesi di Laurea Magistrale e ha recentemente pubblicato un articolo su una particolare varietà della lingua italiana: "L’e-taliano: uno scritto digitato semifuturista?", in (a cura di S. Lubello), Homo scribens 2.0: scritture ibride della modernità, Franco Cesati Editore, Firenze 2019, pp. 159-164. Tra i suoi autori preferiti vi sono Mario Vargas Llosa, Jung Chang, Philip Roth, Azar Nafisi, Orhan Pamuk, Anna Achmatova, Rainer Maria Rilke, Federico García Lorca, Alda Merini, Bertolt Brecht e Wisława Szymborska. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura di poesie e i viaggi, soprattutto in Germania, paese di cui adora la storia, la cultura, l’arte e i magnifici castelli.
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