In primo piano · Interventi

Gianni Rodari e la compravendita di biglietti allo stadio

Intorno al calcio girano tanti, forse, troppi, soldi, da sempre. Ricorrenti, infatti, sono gli scandali, per scommesse clandestine, per truffe varie, per ingaggi sospetti, e per tanto altro ancora. Nel caso del raccontino di Gianni Rodari, del quale sto per riferire, si tratta di compravendita di biglietti falsi. La partita, racconto inserito ne Il gioco dei quattro cantoni, risale al 1980, libro pubblicato poco la morte dello scrittore (avvenuta il 14 aprile del 1980), narra di due maldestri furfantelli, dediti a truffe, furti, e altri piccoli reati contro il patrimonio, Motti e Pacchetto, presenti pure in altre storie di Rodari, con lo stesso ruolo di improbabili delinquenti (tutte storie che si chiudono con il loro arresto, effettuato da un non troppo sveglio, ma fortunato, brigadiere De Dominicis, napoletano, ma in servizio a Milano). In questo racconto sportivo, la truffa riguarda la stampa e la vendita di biglietti falsi, messa in atto dalla coppia Motti – Pacchetto, per le partite in trasferta dell’Inter. Lo sciocco Pacchetto, che fa da braccio a Motti, la mente del duo criminale, è contento di questa idea del compare, perché, in tal modo, potrà assistere alle partire della sua squadra del cuore, l’Inter, appunto. La prima tappa della truffa si realizza a Firenze, in concomitanza della partita Fiorentina – Inter:

– Domattina si va a Firenze, – diceva Motti.
– Bravo, Motti, – faceva Pacchetto, illuminandosi tutto. – Firenze è una città che mi piace. Come si mangiano le bistecche a Firenze non si mangiano da nessuna parte. Che treno prendiamo?
Pacchetto era sempre contento quando il piano prevedeva un viaggetto in treno.
[…]
Tutto andò sec ondo il piano. I biglietti per lo stadio uscirono dalla piccola stampatrice così belli, che quelli veri, al paragone, parevano falsi. Pacchetto li vendette, a piccole dosi, dal martedì alla domenica mattina. Andavano a ruba, perché le rivenditorie, come sempre succede quando ci sono partite molto attese, avevano esaurite le loro scorte. Pacchetto doveva tornare di frequente in albergo a farsene dare dei nuovi, e intanto consegnava il ricavo a Motti, che ne prendeva nota in un quadernino a quadretti.

Già per quella partita, al rientro in albergo, Motti aveva rimproverato con toni bonari, ma fermi, il socio Pacchetto, perché allo stadio si era fatto notare per un tifo esagerato, suonando una trombettina acquistata per strada, da un ragazzino, al quale, per farsi vendere la trombettina, aveva pure dichiarato di essere tifoso della Fiorentina, per ben undicimila lire:

– Pacchetto mio, – disse Monti, che in quel momento somigliava tutto al grillo parlante quando fa la predica a Pinocchio, – vuoi attirare su di noi l’attenzione della polizia?

Seconda trasferta a Roma, per seguire Roma – Inter, e per vendere i biglietti falsi. Questa volta, però, si raccomandò Motti, niente musica: «devi stare allo stadio come l’uomo invisibile». Niente trombetta e nemmeno un minuscolo fischietto. Niente di niente. A Bologna, dove riuscirono a piazzare ben cinquemila biglietti falsi, Motti sequestrò all’ingenua Pacchetto, un’armonica a bocca. Insomma:

L’ondata di biglietti falsi che imperversava sul campionato aveva messo in subbuglio, s’intende, anche i cervelli della polizia, ne seguirono indagini, appostamenti, agguati, rastrellamenti, con molti altri provvedimenti, ma i colpevoli non saltarono fuori, e, dunque, nemmeno dentro (in prigione).

Il commissario, dottor Geronimo, comunque, aveva notato qualcosa di strano, e si sforzava di condividere l’intuizione con il brigadiere De Dominicis, che, però, non riusciva a cogliere lo “schema” della truffa:

I falsari si sono fatti vivi un po’ dappertutto, senza uno schema fisso, e questo è naturale. Non tutte le domeniche. Mai due volte nello stesso posto, eccetera. Ecco il calendario dei loro spostamenti. Non ci vede niente di curioso?
Il brigadiere si chinò, meditabondo, sugli appunti.
– Hm… hm… – fece.
– Su, un altro «hm» e ancora un piccolo sforzo. Le cose curiose sono due.
– Ci sono! – esclamò De Dominicis -. Mai a Milano. Dunque, i falsari non sono milanesi.
– Oppure lo sono, e proprio perciò evitano la piazza più difficile per loro. E l’altra cosa?
– L’altra cosa… l’altra cosa…
– Su, gliela dico io: i falsari non hanno mancato una sola partita dell’Inter in trasferta.
– Ma certo!  Ma guarda!
– E quand’è la prossima trasferta dell’Inter?
De Dominicis sospirò: – Commissario, la data è fissa qui, nella mia mente, come un chiodo. Tra due domeniche, a Napoli… Ed io, napoletano verace, sarò a Milano, come sempre, ma più infelice di sempre.
– No, brigadiere, lei sarà a Napoli. Sarà allo stadio. Anzi, partirà tra un paio di giorni. Una bella vacanza. Passeggiare su e giù per via Roma, un salto a Margellina, con gli occhi aperti. Mi spiego? Le va l’idea?
[…]
– A Napoli! – balbettò il brigadiere De Dominicis.
– A Napoli! – mormorò estasiato Pacchetto, quando ebbe strappato a Motti la promessa che non avrebbe mancato l’eccitante trasferta dell’Inter.
– Però sarà l’ultima volta, – commentò Motti. – Cominciamo a diventare troppo abitudinari: è ora di lasciare l’Inter al suo destino. Il tifo potrebbe portarci alla rovina.

E in effetti, le cose andarono proprio come temeva Motti, poiché Pacchetto, contravvenendo ai divieti del socio, nello stadio di Napoli si fece notare proprio dal brigadiere De Dominici, per l’esuberanza chiassosa del suo tifo, grazie all’utilizzo di due piatti da banda, acquistati per i vicoli di Napoli da uno scugnizzo. Il brigadiere gli trovò nelle tasche di Pacchetto un mazzetto di biglietti falsi, il talloncino dell’albergo, con indirizzo e numero di camera, dove, sempre il brigadiere De Dominicis, sorprese Motti, impegnato a risolvere le parole incrociate, con la valigetta della macchina per stampare i biglietti falsi, e con l’incasso «già ben diviso in pacchetti da cinquemila, da mille, da diecimila», perché «nel commercio bisogna essere ordinati». La condanna fu a due anni e sei mesi.

Il tono del racconto è leggero, quasi divertente (di certo, divertito), senza asprezze, che, invece, la storia di una truffa, reiterata in più occasioni, dai due patetici e maldestri malfattori, avrebbe meritato, e questo perché i lettori cui le opere di Gianni Rodari erano dedicate, erano, innanzitutto, le ragazzine e i ragazzini delle scuole primarie; quindi, in un secondo momento, anche i loro genitori, i nonni, gli insegnanti, e così via. Rodari, in modo leggero, con la leggerezza di cui avrebbe scritto Italo Calvino, che non significa mai banalizzare un evento, ma togliere peso alle cose grevi, in questo modo, senza moralismo, ma con ironia, raccontava anche ai suoi piccoli lettori di comportamenti sbagliati, di cose da non fare, dalle quali prendere le distanze. Già negli anni Sessanta del secolo scorso, poco prima di Gianni Rodari, anche Pier Paolo Pasolini, appassionato scrittore di sport, e calciatore in prima persona, in alcune interviste, e in alcuni suoi scritti sul calcio, aveva lanciato l’allarme su ciò che in quel mondo dorato stesse accadendo di pericoloso. Le narrazioni sportive, dunque, come narrazioni prisma, che parlano d’altro, della vita. In questo caso, della vita criminosa.

Le citazioni vengono da Gianni Rodari, I cinque libri, Einaudi, Torino 1993; il racconto La partita è alle pp. 690-699.

trifone.gargano@uniba.it

L'autore

Trifone Gargano
Trifone Gargano
Trifone Gargano è professore presso l’Università degli Studi di Bari, con l’insegnamento «Lo Sport nella Letteratura». Ha insegnato «Linguistica italiana» al Corso di Laurea Magistrale in «Scienze della Mediazione Linguistica», e «Didattica della lingua italiana» per l’Università degli Studi di Foggia, e «Storia della lingua italiana» in Polonia (Università di Stettino). È autore di numerose pubblicazioni e collabora con la Enciclopedia Treccani, con il quotidiano «Corriere del Mezzogiorno» («Corriere della sera»), e con diversi blog letterari. Realizza lezioni-spettacolo sui Classici della Letteratura italiana, ed è commentatore televisivo e radiofonico.