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Another World Is (Not) Possible

Proprio oggi che la speranza sembra un miraggio lontano e che il futuro pare aver perso la sua aderenza con l’avventura dell’avvenire, pressato come sappiamo da un presente pulsante («preistoria dell’umanità come società planetaria»)[1] e da un inarrestabile – socialmente irresistibile – progresso tecnologico dove tutto è ormai ubiquo e istantaneo, vale forse la pena tornare a una radicale e radicante coscienza internazionale, come quella densamente progressista e profetica dell’Abbé Pierre riconosciuta da Edgar Morin[2]. La tonalità emotiva con cui l’uomo si apre al mondo come irrinunciabile Dasein e  dunque come esistenza individuale – «sentita come un tutto»[3] – che è e non può non essere una speciale disposizione nei confronti della vita, dà infatti l’impressione di aver smarrito la via luminosa dell’Abenteuerei (avventurosità) a favore di stimoli dall’alto grado di frivolezza, capaci di rendere il tempo libero (spazio di controllo collettivo) un luogo privilegiato di deresponsabilizzazione sociale, di lobotomizzazione, di allontanamento dalla πολῑτείᾱ, di assuefazione e di strategia privata, adottata quest’ultima per tutelate interessi e tornaconti schiettamente personali. Al crescente disinteresse rispetto al futuro che la società ha innescato per eludere probabilmente la percezione di finitudine umana e per generare un artificiale senso di salute perenne, si è andata via via a innestare una crescente bolla d’inconsapevolezza che rende superflua e purtroppo superficiale l’idea di pensare al futuro in quanto progetto, in quanto destino da disegnare, in quanto avventura dell’umanità. In questo scenario, segnato con sempre maggiore insistenza dalle funeste corrosioni del pensiero critico o da disposizioni governative che mirano all’unidimensionalità e all’appiattimento dei cervelli, l’artista resta l’unico baluardo felice capace di uscire al di fuori della continuità e di toccare con mano un’avventura che rompe il tutto della vita per generare dispositivi, antibiotici, riflessioni che riannodano più strettamente il legame destinale fra il singolo e la specie.

Tra le pagine dell’arte contemporanea ci sono infatti racconti – eventi antropogenetici del linguaggio a detta di Deleuze[4] – che non solo hanno a che fare (ce lo ha insegnato Aristotele) con una determinata esperienza dell’essere, ma anche con un perimetro di problematiche la cui densità porta inevitabilmente l’artista a un nuovo impegno sociale e politico per caldeggiare le sfide proposte dal nuovo futuro dove l’attenzione si situa con sempre maggiore insistenza sulla rappresentazione delle minoranze, delle voci marginalizzate, dei pregiudizi e delle stereotipie, dei migranti, delle questioni razziali o degli odierni scenari neocolonialistici.

Sempre più impegnati in diverse cause, tra cui la lotta per i diritti umani, la giustizia pubblica, l’impatto ambientale, l’inclusione, la mondializzazione e la responsabilità sociale, molti artisti contemporanei propongono un’arte inclusiva e diversificata che cerca di dar voce a una collettività lasciata all’ombra come majorités silencieuses – la metafora è di Baudrillard[5] – o anche di rompere gli argini dell’indifferenza quotidiana per porre attenzione su un presente da riconquistare e rivivere sotto l’effetto balsamico e nutriente dell’istruzione. Del resto, è vale la pena dirlo con Augé, «la sola utopia valida per i secoli a venire, le cui fondamenta andrebbero urgentemente costruite o rinforzate» è «l’utopia dell’istruzione per tutti, la cui realizzazione appare l’unica possibile via per frenare, se non invertire, il corso dell’utopia nera che oggi sembra in via di realizzazione: quella di una società mondiale ineguale, per la maggior parte ignorante, illetterata o analfabeta, condannata al consumo o all’esclusione, esposta ad ogni forma di proselitismo violento, di regressione ideologica e, alla fin fine, a rischio di suicidio planetario»[6].

Cercando di creare consapevolezza su questioni allarmanti quali la disuguaglianza, la discriminazione, la violenza di genere, il razzismo o inserendosi in generale tra le trame della società per evidenziare le ingiustizie nate in seno al consumismo, al benessere, alla politica internazionale, alla crisi climatica, al capitalismo o al mercato globalizzato, molti artisti contemporanei si fanno promotori di inclusione e diversità con la chiara consapevolezza di creare opere la cui espressione individuale ha la capacità di porre domande, di proporre un nuovo taglio delle cose, di elaborare blocchi di movimento, di mobilitare e nobilitare il pensiero, di creare (nel suo farsi disciplina che inventa e che appunto crea) una politica dell’emozione, di forzare il sistema per insistere su un reale cambiamento personale e su una sana trasformazione sociale, di sensibilizzare l’altro e magari di ispirarlo per prospettare un mondo migliore.

Nel seguire e nell’inseguire la figurazione o l’astrazione, due pilastri espressivi imprescindibili del secolo scorso e di questo primo trentennio che si sta muovendo sotto le precipitazioni dei giorni e dei mesi, gli artisti producono concetti, appuntamenti segreti con il presente, immagini di pensiero la cui capacità è quella di creare cortocircuiti capaci di ritrovare le linee maestre dell’immaginazione, con il desiderio di tener vivo e alimentare lo spirito dell’infanzia che per Bruno Munari vuol dire far muovere la bandiera sotto il vento di una curiosità indispensabile a spingere le vele verso i sentieri della Wissen (conoscere, sapere), di un piacere che produce la luce del capire e di una voglia che segue le regole del voler comunicare per mettere generosamente in crisi ogni potere costituito e diventare dunque un acte de résistance[7].

Recuperando l’espressione associata ai movimenti politici e sociali che a partire dal primo decennio di questo nuovo secolo hanno contestato il neoliberalismo globale proponendo alternative più giuste e sostenibili, come pure ruotando lo sguardo sull’ampio bacino teorico di una frase diventata negli ultimi anni simbolo di speranza e di lotta per un futuro diverso (più equo e inclusivo), Another World is Possible è, al Centrul de Interes di Cluj-Napoca, un circuito espositivo che pone al centro dell’attenzione un cosmo di opere la cui capacità è quella di intingere la penna nella tenebra del presente per riaccendere una prossimità con tematiche del proprio tempo: e tra l’altro con una singolare relazione che aderisce a questo nostro tempo e che contemporaneamente ne prende le distanze, quasi a pensare di «essere puntuali a un appuntamento che si può» e si deve necessariamente «solo mancare»[8].

Intesa come aspettativa, attesa, auspicio, speranza e dunque come prospettiva dove il futuro non è più sabotato da protocolli teorici che ne definiscono la fine, Another World is Possible è sì una mostra ma anche e soprattutto una festa capace di porre al centro dell’attenzione l’ideale sovrano della conoscenza (lo sviluppo sovrano e coerente delle conoscenze), da intendersi come fine ultimo dell’umanità per raggiungere l’obiettivo dell’uguale dignità di tutti gli individui dove un «Notre Monde» est possible.

«Verrà un giorno in cui le nostre società conosceranno ancora momenti di effervescenza creativa da cui sorgeranno nuovi ideali, da cui scaturiranno nuove formule che serviranno, per un certo tempo, da guida all’umanità», ha profetizzato Émile Durckheim nel 1912; «e una volta vissute queste ore, gli uomini proveranno spontaneamente il bisogno di riviverle ogni tanto nel pensiero, cioè di conservarne il ricordo per mezzo di feste che ne ravvivino regolarmente i frutti»[9].

Another World Is Possible (Cluj 27 settembre – 23 novembre)

[1]     M. Augé, L’avenir des terriens. Fin de la préhistoire de l’humanité comme société planétaire, Albin Michel, Paris 2017; trad. it., Un altro mondo è possibile, Codice Edizioni, Torino 2017, p. 27.

[2]     H.-A. Groués (Abbé Pierre), La Force des infiniment petits, préface de E. Morin, Le Cherche Midi, Paris 2019; trad. it., Un altro mondo è possibile. La rivoluzione degli infinitamente piccoli, prefaz. di E. Morin, trad. it., TS – Terra Santa, Roma 2000, p. 7.

[3]     G. Simmel, Das Abenteur, in Id., Philosophische Kultur. Gesammelte Essais, Klinkhardt, Leipzig 1911; trad. it., Saggi di cultura filosofica, Guanda, Milano 1993, p. 17.

[4]     G. Deleuze, Logique du sens, Les Éditions de Minuit, Paris 1969.

[5]     J. Baudrillard, À l’ombre des majorités silencieuses. La fin du social, Denoël / Gonthier, Paris 1978.

[6]     M. Augé, Un altro mondo è possibile, cit., p. 17.

[7]     G. Deleuze, Qu’est-ce que l’acte de création?, conférence donnée dans le cadre des mardis de la fondation Femis – 17/05/1987, scaricabile gratuitamente dal sito dell’Académie di Versailles (hda.ac-versailles.fr).

[8]     G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, nottetempo, Milano 2008, p. 16.

[9]     É. Durckheim, Les Formes élémentaires de la vie religieuse: le système totémique en Australie (1912), Les Presses universitaires de France, Paris 1968; trad. it., Le forme elementari della vita religiosa. Il sistema totemico in Australia, Meltemi, Roma 2005, p. 491.

L'autore

Antonello Tolve
Antonello Tolve
Antonello Tolve è il direttore responsabile di Insula europea (http://www.insulaeuropea.eu/antonello-tolve/)