Francesco Ciabattoni, professore di Letteratura Italiana presso la Georgetown University, si è occupato dell’interazione tra letteratura e musica in diverse sue forme, fino ad arrivare alla contemporaneità, e ha creato, insieme a diversi suoi colleghi, il sito The Italian Song (https://theitaliansong.com/). Si è occupato anche di poesia delle origini e nello specifico di Dante, sia con Dante’s journey to Polyphony che con questo ultimo libro uscito ad agosto 2024, Dante’s Performance. Quello che si propone di fare Francesco Ciabattoni è trovare il filo rosso che unisce il poema sacro a, come dice il sottotitolo, “Music, Dance and Drama”. Il libro è scaricabile gratuitamente al seguente link.
Dante’s Performance è un libro che raccoglie e si propone di analizzare i diversi aspetti della performatività all’interno della Commedia, non solo il teatro e la teatralità, ma anche la danza, il canto, quindi ogni aspetto di quella che possiamo chiamare oral culture (p. 2): qual è stata la genesi di questo libro, quali sono le spinte che hanno portato alla sua realizzazione?
Il poema di Dante è un testo straordinario sotto molti punti di vista, ma uno di questi che talvolta viene trascurato è la sua capacità di attivare, in chi legge, una serie di memorie condivise come il ricordo musicale di un salmo, o l’aver assistito a un dramma liturgico oppure a una performance di carnevale. Episodi simili abbondano nella Commedia ma noi che la leggiamo a settecento anni di distanza dobbiamo ricostruire il contesto performativo e orale di quel tempo per fruire a pieno di questa dimensione. È questo che Dante’s Performance si propone di fare. E d’altronde, in molti testi tardo-medievali che descrivono l’aldilà una certa dimensione “teatrale” (virgolette d’obbligo per ricordare che non si tratta dello stesso teatro a cui siamo abituati oggi) era pervasiva: si pensi al Jeu d’Adam, uno dei molti Ordines prophetarum che comprendeva una processione dei profeti morti attraverso i loci deputati (tappe simboliche della processione), oppure alla Visio Thurkilli, una delle molte visiones infernali del tardo medioevo, che rappresenta l’inferno come un teatro in cui i peccatori vengono spettacolarmente puniti dai diavoli. È un bisogno antropologico: per elaborare la paura della morte e della dannazione eterna ce le dobbiamo rappresentare come su un palco e agirle, o almeno leggerle in questa chiave. Ha detto bene Jeffrey Schnapp che l’inferno, per i medievali, era “theatrum diaboli” il luogo più logico in cui inscenare l’elaborazione degli ideali tragici del cristianesimo. Tutto ciò accade anche nella Commedia, e non solo nell’Inferno, infatti anche gli ultimi canti del Paradiso impiegano un linguaggio teatrale per raffigurare la rosa dei beati: parole come grado, larva, di soglia in soglia… digradar, scalee, scanno, semicirculi, rimandano all’architettura del teatro.
Tra il capitolo dedicato al Purgatorio e quello dedicato al Paradiso lei ne inserisce uno riguardante la danza analizzata all’interno dell’intero poema dantesco. Perché un capitolo a parte proprio per questa espressione artistica e perché inserirlo prima del Paradiso? Cosa Dante vuole esprimere attraverso la danza?
Collocare il capitolo sulla danza tra Purgatorio e Paradiso rispecchia un po’ la collocazione che Dante stesso assegna alla danza, la quale diventa importante nel paradiso terrestre, cioè negli ultimi canti del Purgatorio, per poi persistere nel Paradiso come espressione di gioia e della gloria divina, spesso, fra l’altor, femminilizzando personaggi illustri della storia cristiana come i teologi danzanti di Paradiso X o S. Giovanni in Paradiso XXIV. Malgrado una radicata diffidenza, soprattutto negli ambienti religiosi, nei confronti dell’espressione corporea, una tradizione intellettuale che riconosceva un valore positivo alla danza esisteva nel Medioevo. John Freccero qualche decennio fa aveva collegato la coreografia trinitaria di Paradiso X, ai miti platonici dell’anima mundi e della chorea stellarum, poi cristianizzati e assorbiti negli Atti di Giovanni, nel Commento di Macrobio al Timeo, nel De consolatione philosophiae di Boezio e nell’Apocalisse. Altri (Paolo Cherchi e Selene Sarteschi) leggono invece la danza dei sapienti nel Cielo del Sole come una perichoresis, un concetto mutuato da Anassagora e importato nel mondo cristiano da Gregorio di Nazanzio, che consisteva in una processione sacra in cui la Trinità danza e dà vita all’universo con il suo eterno moto circolare. La mia lettura è che in Dante, la performance canora e coreografica degli spiriti sapienti (S. Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, s. Bonaventura, Sigieri di Brabanti ecc.) rappresenta un modo per avvicinare l’esperienza del lettore alle figure dei Dottori della Chiesa. L’obiettivo del poeta è di fornire accesso alla nobiltà spirituale dei saggi attraverso una sublimazione delle forme devozionali più popolari, spesso sdoganate dal francescanesimo, compresa la danza delle donne.
In diversi passi del libro e in riferimento a vari canti, cita spesso laude francescane, soprattutto di area umbra, ipotizzando anche delle riprese dirette. In che modo queste possono inserirsi all’interno del reticolato delle fonti dantesche e quanto, in base ai suoi riscontri, si può parlare di riprese dirette, precise, e quanto invece di memoria?
Direi che si tratta per lo più di memoria, letteraria, musicale o performativa e in misura marginale forse anche di riprese più dirette. È difficile delineare con precisione la natura di questi riferimenti perché la tradizione orale o gestuale non permane, se non attraverso brevi descrizioni scritte. Si può comunque affermare con una certa sicurezza che l’apporto dei francescani fu fondamentale nel diffondere una devozione e una spiritualità rinnovate, anche attraverso la performance in processioni, balli, preghiere declamate e cantate. Le passiones (ad esempio quella di Montecassino, risalente al XII sec. Che potrebbe avere qualche attinenza testuale con le parole di Farinata in Inferno X) erano una forma di spettacolo particolarmente praticata in ambienti francescani tra Umbria e Marche, poi anche in Toscana, e influenzarono profondamente anche poeti vicini a Dante, come Iacopone da Todi e Guittone d’Arezzo.
A pagina 85 lei scrive “Dante reused phrases and quotes from popular sources as the building blocks of his sacred poems”. Quanto questo riuso, queste citazioni da fonti popolari, è legato a singoli episodi, e quanto permea il poema?
Il riuso testuale, salvo qualche caso, è un fatto raro ma non inesistente nella poesia della Commedia. I pochi nodi testuali che si possono identificare in questo senso, tuttavia, sono di grande interesse perché consentono di affermare che Dante non ebbe paura di abbracciare la cultura popolare, performativa, o musicale del suo tempo e di rielaborarla includendola nel proprio testo.
Oltre alla già citata Passione di Montecassino, che probabilmente lascia traccia in Inferno X, si pensi ad episodi come la lite tra un angelo e un diavolo per il destino dell’anima di Bonconte da Montefeltro (Purgatorio V): questo è un adattamento letterario di un topos drammatico popolare assai diffuso, come (ad esempio la Passione di Revello o il Contrasto fra Belzebù e Setanasso). Queste azioni teatrali erano chiamate contrasto o conflictus e costituivano un genere drammaturgico popolare molto diffuso in molte città italiane.
Un altro caso notevole è la discussione dell’organo polifonico in Paradiso XVII; le parole di Cacciaguida (“sì come viene ad orecchia / dolce armonia da organo, mi viene / a vista il tempo che ti s’apparecchia”) sembrano tratte dal linguaggio tecnico dei trattati musicali del tempo come quelli di Marchetto da Padova o Jacques de Liège. Marchetto è una fonte possibile e anzi probabile per le coincidenze testuali, poiché scrisse il Lucidarium tra il 1309 e il 1318 e tra Cesena e Verona. Insomma, la ricerca va condotta sia su basi testuali che su basi storiche.
Rispetto alle fonti popolari lei dice “I am convinced that had he not drawn from popular sources as mystery plays, folklore or songs, the poetry of the Commedia would not be so universally appealing and successful” (p. 85). In che modo lei pensa che questa performatività abbia potuto contribuire al successo, alla diffusione, della Commedia?
La dimensione musicale, coreografica e teatrale del testo, conferisce un aspetto eidetico al testo, cioè costringe chi legge a visualizzare e ascoltare, usando tutti i sensi. Inoltre il riferimento ai Misteri, ai salmi e inni, o alle danze sacre e popolare, attiva il ricordo di un’esperienza condivisa da parte dell’intera comunità cristiana e cittadina, fungendo da elemento unificante di un pubblico di lettori che hanno qualcosa in comune pur non conoscendosi. Ciò contribuisce all’universalità della poesia di Dante.
Quando Dante introduce il concetto di corpo aereo si inserisce all’interno dei dibattiti filosofici a lui contemporanei per poter rappresentare vividamente le esperienze delle anime in tutti e tre i regni. Quanto la performance, la performatività nelle sue diverse declinazioni, va a mettere in rilievo questa corporeità, già così importante per Dante?
Dante spiega, attraverso le parole di Stazio (Purgatorio XXV), il complesso processo metafisico per cui le anime—per definizione incorporee e quindi prive di sistema sensoriale—dei dannati e dei penitenti possono sentire dolore: un corpo aereo somigliante all’originale si forma per loro al momento in cui giungono nell’aldilà, e questo corpo svolge le funzioni dei centri nervosi, consentendo che le punizioni facciano il loro effetto. Ma oltre alle istanze teologiche e razionalistiche, il corpo aereo serve appunto per poter offrire una rappresentazione fisica dei dannati e per poterli far agire sul palcoscenico dell’aldilà. Una delle critiche che talvolta i lettori rivolgono alla terza cantica è di avere poca azione e troppa dottrina. Questo accade perché le anime dei beati non hanno un corpo aereo e appaiono come pure luminescenze, il che rende difficile l’immaginazione fisica. E tuttavia l’espediente consente a Dante di creare immagini di una bellezza ardita e mai vista prima, come il fiume di splendori che fluisce dai cieli esterni nel canto XXI: è un’altra performance grandiosamente coreografica, ma senza la fisicità dei corpi.
L’interazione tra musica e letteratura è un argomento di cui ha già trattato, non solo per quanto riguarda Dante (Dante’s Journey to Poliphony), ma anche in riferimento alla contemporaneità (La citazione è sintomo d’amore). C’è un filo rosso che collega queste esperienze a suo avviso?
Sono affascinato dal modo in cui la testualità e la performatività, quindi il suono, la fisicità, le immagini in movimento, si combinano e interagiscono. Nessun discorso testuale può essere del tutto avulso dalla corporeità: il testo sta su un supporto, fosse anche virtuale, ed evoca esperienze sensoriali. Intelletto e corpo vanno insieme e questo si riflette spesso nel mio approccio ermeneutico.
Collegandomi alla domanda di prima e rimanendo sempre in ambito musicale, perché, secondo lei, la polifonia è del Paradiso, e cosa troviamo nelle altre due cantiche, qual è il viaggio che possiamo definire di performance musicale che porta a questo finale polifonico?
La polifonia è nel Paradiso come espressione celebrativa e gloriosa e come metafora dell’armonia del cosmo che permea le anime beate. La musica è metafisica nel paradiso di Dante e fornisce al poeta un mezzo non verbale per esprimere l’inesprimibile, un mezzo di comunicazione—ovviamente evocato attraverso le parole della poesia!—che trascende bonaventurianamente la razionalità per sfiorare il misticismo. Infatti le parole dei canti “labili e caduci” (Par. XX, 12) sfuggono addirittura alla memoria del poeta, ma lasciano un segno indelebile anche nello spirito dei lettori. Nel mio libro da lei citato sopra (Dante’s Journey to Polyphony, Toronto 2010) traccio appunto il percorso musicale, che è spirituale, della Commedia, un percorso che si comprende alla luce delle novità della polifonia medievale, in quegli anni in grande sviluppo tra l’Ars antiqua e l’Ars nova che appena sbocciava (il già ricordato Marchetto da Padova).
Dopo essersi occupato di fonti letterarie della canzone pop italiana e dopo questo volume dantesco, quali saranno i prossimi argomenti di suo interesse?
Come membro della Dante Society of America e della American Boccaccio Association continuerò sicuramente a studiare i nostri grandi scrittori medievali, ma mi sto interessando anche in altre direzioni. Per esempio la Sicilia normanna come incrocio di diverse culture religiose e letterarie, ma anche la poesia italiana contemporanea, che ho un po’ trascurato in tempi recenti ma su cui vorrei tornare.
L'autore
- Emanuela Monini (1997) si laurea a Perugia in Filologia Romanza con una tesi riguardante le terzine provenzali della Commedia. Ha parlato ai convegni del ciclo Charun dimonio e l’immaginario mitologico dantesco, presso il MANU (Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria), portando le figure di Medusa e della Ruota della Fortuna. Le piace il Signore degli Anelli, e ha deciso di farne un tratto della personalità, si appassiona a problemi filologici ma solo se irrisolvibili, e ogni tanto scrive qualche poesia.
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