In primo piano · L'arte del tradurre

Lorenzo Germano intervista Christophe Mileschi

interview en français

Nel mare di libri che ogni anno affollano le librerie italiane, molti rischiano di scomparire dagli scaffali a pochi mesi dall’uscita. La durata media di un volume sul mercato è di 90 giorni, dopodiché il 70% di essi non viene più considerata una novità e si spegne in fretta. A far da padrone sono i grandi editori, perlopiù generalisti, che riescono a imporre le proprie proposte grazie a solide reti di distribuzione e comunicazione.

Ci sono però eccezioni come il romanzo Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi. Uscito nel maggio 2022 per la piccola casa editrice Laurana, nella collana Fremen curata da Giulio Mozzi, ha raggiunto più di 50mila copie vendute in due anni con 19 ristampe, arrivando nella dozzina del premio Strega 2023. Traguardi quasi inspiegabili per un volume che ebbe inizialmente un “lancio” di 168 copie nei punti vendita italiani e una tiratura di appena mille. Solo il passaparola dei lettori, progressivo e costante, può fornire una giustificazione al successo di Griffi, scrittore astigiano nato nel 1976, che prima di questo romanzo aveva all’attivo due libri rimasti pressoché sconosciuti: Più segreti degli angeli sono i suicidi (Bookabook) e la raccolta di racconti Inciampi (Arkadia).

Tutto è nato dal titolo, un’intuizione che ha permesso di unire pagine sconnesse fino a quel momento: «L’illuminazione è arrivata leggendo una biografia di Marcel Proust. Ho scoperto che giocava in Borsa e aveva acquistato azioni delle ferrovie del Messico», ha più volte spiegato Griffi. Da quell’investimento esotico ecco l’ambientazione divisa tra Asti e il Sudamerica e il motore immobile del libro: l’assurdo incarico di disegnare una mappa delle ferrovie messicane affidato a un giovane soldato “repubblichino”. Cesco Magetti, milite della Guardia ferroviaria repubblicana di Asti e sofferente per il mal di denti, comincia a cercare informazioni nella biblioteca della città. Lì s’innamora della responsabile Tilde Giordano, la quale gli consiglia la lettura della Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México, al momento in prestito. Nella disperata caccia al volume, il soldato si ritroverà nell’appartamento fatiscente di un pittore, nel dopolavoro ferroviario, nei bagni pubblici e in un campo da golf. Incrocerà i becchini Lito e Mec nel cimitero di San Rocco, il cartografo samoano Epa – arrivato in Monferrato grazie alla compagna Giovanna – , il poeta avanguardista frenatore Edmondo Bo, il gerarca nazista Hugo Kraas e moltissimi altri personaggi. Un romanzo polifonico e multiforme anche nella lingua, che passa dall’italiano con forti influenze dialettali (l’ispirazione è Pavese) alle lingue straniere come tedesco, inglese o spagnolo, fino allo zerga e alle lingue classiche.

Risalgono al 2024 le prime due traduzione all’estero di Ferrovie del Messico: Die Eisenbahnen Mexikos pubblicato dall’editore berlinese Ullstein e Chemins du fer du Mexique, uscito per i tipi di Gallimard. È qui che si chiude un cerchio partito dal titolo ispirato da Marcel Proust e che trova compimento nel catalogo dello storico editore della Recherche. Per conoscere meglio quest’operazione oltralpe, abbiamo deciso d’intervistare il traduttore, Christophe Mileschi, già autore di versioni francesi di molti scrittori italiani come Campana, Celestini, Pasolini, Moravia, Meneghello, Manzoni, Leonardo da Vinci, Bramante e Calvino. Nato nel 1961 a Nancy, è professore di lingua e letteratura italiana contemporanea all’Université Paris Nanterre.

Mileschi, qual è stata la prima impressione quando ha letto il romanzo?

Sono stato contattato a inizio 2023 da Julia Nannicelli della casa editrice Gallimard, che aveva appena scoperto Ferrovie del Messico e che aveva avuto, come mi ha spiegato, uno straordinario colpo di fulmine. Voleva assolutamente pubblicare questo libro in francese e desiderava propormelo per tradurlo. Mi ha raccontato a lungo le sue impressioni di lettura e il libro mi è sembrato interessante. Quello che diceva mi faceva pensare a Gadda, Kafka, Borges e altri grandi scrittori, italiani e non. Tuttavia, prima di accettare un lavoro, devo essere certo che il volume mi piaccia. La traduzione non è la mia attività principale, sono professore all’Università, ruolo che mi occupa molto. Nel resto del tempo traduco, ma solo ciò che mi piace davvero. Ho quindi chiesto a Julia Nannicelli di lasciarmi tre settimane: il tempo di leggere e decidere. L’ho chiamata dopo tre giorni per accettare la proposta: avevo già finito il libro (e non è corto)! Questo vi dà un’idea del mio entusiasmo. Ecco, la mia prima sensazione, è stata questa: entusiasmo. Poi, meraviglia davanti a questo gioiello narrativo, questo festival d’immagini, personaggi, storie, quest’omaggio formidabile all’arte della narrazione.

La lingua camaleontica di Griffi è una delle caratteristiche che più salta all’occhio leggendo il romanzo, come si prova a tradurla in un’altra lingua?

La lingua di Griffi è in effetti d’una ricchezza estrema e di una grande varietà di registri. Si passa, talvolta nella stessa pagina, da uno stile elevato a cadenze popolari, se non volgari (penso soprattutto al personaggio di Lito, che inframezza le sue frasi con bestemmie, ma che è allo stesso tempo un fine letterato). In sé, tuttavia, questo non mi ha posto grossi problemi. Ho plasmato la mia traduzione con lo stampo ideato dall’autore. Non saprei come descriverlo in modo diverso. Quando traduco, mi lascio attraversare dalla lingua dell’autore. Entro in uno stato di totale asservimento, tutto in me si mette al servizio della traduzione.

La situazione linguistica italiana è quasi un unicum per la sua storia geopolitica. Perciò, è verosimile che i personaggi del libro parlino un italiano molto influenzato dal dialetto piemontese. Quale strategia ha utilizzato per trovare un corrispettivo francese?

Sono un traduttore piuttosto intuitivo e istintivo, ma rifletto molto prima di cominciare, soprattutto davanti a un romanzo come quello di Griffi. Mi sono sforzato di definire una “strategia” di traduzione, in particolare un “metodo” per risolvere i problemi. Nel caso di Ferrovie del Messico le principali difficoltà riguardano il ricorso dell’autore a lingue minoritarie, dialetti (il piemontese, il sardo, il romanesco), ma anche al cosiddetto zerga, che ignoravo del tutto: un gergo parlato dai ladri risalente al XV o al XVI secolo. Non è la prima volta che mi trovo davanti al problema di tradurre in francese dialetti italiani: nel 2010 Éditions de l’éclat ha pubblicato la mia traduzione di Libera nos a malo di Luigi Meneghello, in cui i dialetti di Malo e della provincia di Vicenza sono onnipresenti. Per Griffi, ho adottato la stessa tattica: ho fatto ricorso a regionalismi, a parole ed espressioni di diversi patois della Francia, (soprattutto il normanno) per rendere il piemontese. E per lo zerga all’inizio ero piuttosto spiazzato, ma poi si è rivelato abbastanza semplice da tradurre, grazie a un argot dei ladri, la lingua furbesca, molto simile a quella utilizzata da Griffi.

Lei ha tradotto molti scrittori italiani come Gadda, Calvino o Pasolini. Sono stati più semplici o difficili da rendere nella lingua rispetto a Griffi?

È vero, ho tradotto un gran numero d’italiani (Pasolini, Moravia, Mastrocola, Celestini, Calvino, Manzoni), di cui alcuni considerati ostici, come Campana, Meneghello o Manganelli. Ma la questione della difficoltà è, tutto sommato, abbastanza secondaria. Tradurre è, in sé, una scommessa impossibile. È più o meno quello che diceva Calvino, il quale sosteneva che tradurre dall’italiano al francese è la cosa più impossibile. Senza dubbio scherzava, ma non del tutto. Quando decido di tradurre, so che è un’impresa insensata: bisogna “rendere” in un’altra lingua, – per me il francese -, quello che è stato pensato, scritto, modulato, immaginato e fantasticato in italiano. Al di là delle sfumature terminologiche e delle differenze nella sintassi, è tutta la prosodia, la cadenza, l’immaginario stesso delle due lingue a essere diversi.  Da questo punto di vista, non ci sono testi “facili” da tradurre dall’italiano al francese. Ci sono testi che richiedono meno lavoro e tempo, forse, ma non vuol dire che siano “facili” da tradurre. Il romanzo di Griffi non è stato, tutto sommato, così “difficile” da tradurre, una volta che avevo definito un metodo, come ho detto prima, ma è stata una traduzione che ha richiesto molto lavoro, ricerche, rigore e sforzi tecnici. Tuttavia, avevo un tale entusiasmo, una tale gioia di tradurre, un tale slancio che niente mi è parso pesante. Al contrario: ho tradotto con un costante sentimento di felicità e leggerezza, sensazione che avevo provato leggendo il libro e che ho ritrovato per tutto il tempo in cui ho lavorato alla traduzione.

Ci sono scrittori in Francia (o nei Paesi francofoni) che hanno provato sperimentazioni simili a quanto fatto in Ferrovie del Messico a livello di lingua e di stile?

Che io sappia, non ci sono equivalenti in Francia, perlomeno nella letteratura popolare (e il romanzo di Griffi per quanto esigente e molto elaborato, è da grande pubblico, come ha dimostrato il suo successo in Italia). Si può comunque pensare a scrittori francofoni post-coloniali come Edouard Glissant, che ha impiegato il creolo nelle sue opere. Tuttavia, credo che il volume di Griffi rimanga di una originalità notevole. Se vogliamo trovare testi che si avvicinano a Ferrovie del Messico, si può forse guardare all’America latina o agli autori russi del passato come Bulgakov.

Il pubblico francese può comprendere appieno quest’opera? Quale ruolo può giocare nel mercato editoriale oltralpe? In Italia il successo è straordinario grazie al passaparola dei lettori, ma l’accoglienza in Francia può essere altrettanto positiva?

Penso che il pubblico francese possa perfettamente accogliere quest’opera. Innanzitutto, la vicenda si svolge alla fine della Seconda Guerra Mondiale, durante il periodo nazifascista della storia italiana, ed è un momento che riguarda e interessa tutta l’Europa, come minimo. E il periodo politico che attraversiamo, anche in Francia, che vede gli estremismi di destra, eredi del fascismo e del nazismo, ritrovare forza, rende il contesto e il soggetto del romanzo di Griffi particolarmente attuali. Poi, il gioco sulla lingua e sulle lingue, che ho tentato di trasporre nella mia traduzione, può perfettamente interessare i lettori e le lettrici del mondo francofono: anche se l’Accademia francese sogna un francese normato, congelato, la realtà è diversa, variegata e cangiante. Però, anche quando un’opera può, teoricamente, trovare un pubblico in un dato Paese, non è mai sicuro che questo avvenga. Queste cose rimangono assai misteriose. Il marketing editoriale non è una scienza esatta. Romanzi mediocri possono vendere tantissimo, mentre altri magnifici, veri capolavori (e Ferrovie del Messico è certamente uno di questi) possono fare fatica a imporsi.

lorigerma@gmail.com

 

 

 

L'autore

Lorenzo Germano
Lorenzo Germano è nato ad Alba (Cuneo) nel 1997. Originario di Santo Stefano Belbo, ha conseguito con il massimo dei voti la laurea magistrale in italianistica presso l’Università di Bologna con la tesi “Il mito nell’esordio letterario di Pavese: Lavorare stanca” (relatore Riccardo Gasperina Geroni). Dal 2021 lavora nella redazione del settimanale Gazzetta d’Alba, di cui è redattore e autore dei podcast La settimana e Fuori dai fogli. L’interesse per la narrativa e la poesia italiana contemporanea lo hanno portato a condurre diverse presentazioni di libri, anche durante il Pavese Festival, il Fuoriluogo Festival di Biella e la Notte bianca delle librerie di Alba. Contributi letterari e recensioni sono apparsi su Doppiozero, Le Muse Inquiete e Revista Belbo.