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Maria Clelia

Il 15 giugno di quest’anno è mancata una delle autrici più raffinate e appartate della nostra poesia e della nostra narrativa. Maria Clelia Cardona avrebbe compiuto tra poco ottantaquattro anni – ma la sua figura elegante era lungi dal dimostrarli – e se ne è andata, tolti forse gli ultimissimi giorni, in piena operosità, le redazioni pressoché definitive di una nuova raccolta di versi e di un nuovo romanzo entrambi in attesa di pubblicazione.

1.Silloge di poesie “con i colori di Giulia Napoleone”, offerta a Maria Clelia in occasione del suo ottantesimo compleanno, Il Bulino, Roma 2020
Silloge di poesie “con i colori di Giulia Napoleone”, offerta a Maria Clelia in occasione del suo ottantesimo compleanno, Il Bulino, Roma 2020

Autrice coltissima, abituata a lavorare la pagina con una cura fuori dall’ordinario, ha attraversato i decenni della sua vita letteraria con una discrezione introuvable e una altrettanto rara capacità di lettura e di ascolto che hanno fatto di lei un riferimento prezioso per quanti hanno goduto del privilegio della sua amicizia.

Figlia del grecista Giovanni Battista Cardona era cresciuta a Viterbo, la città dov’era nata e a cui è rimasta sempre legata, e si era laureata a Roma con Ranuccio Bianchi Bandinelli coltivando l’amore per gli studi classici e la storia dell’arte, entrambi fondamentali per intendere il suo articolato mondo poetico. Ché la riflessione critica e lo studio, la non comune sensibilità per le arti figurative, la conoscenza di prima mano delle lingue classiche – importanti le sue traduzioni dal latino, lingua che insegnò per molti anni nei licei romani e fu oggetto di collaborazioni critiche con Luca Canali – sono state vivo combustibile tanto dei suoi racconti quanto della sua poesia, intrecciandosi in particolar modo in una originale riconsiderazione e riproposizione del mito. Non per nulla Mario Luzi, salutando il suo esordio poetico – Il vino del congedo, 1994 – poteva osservarvi “come il mito e i passi della classicità possono essere assunti di nuovo nella circolazione del sentire attuale, non come ricuperi o reperti o citazioni ma come immedesimazioni sostanziali con le figure e le situazioni che li hanno celebrati; e in ogni caso come episodi della continuità univoca dell’umano.” Ed è una considerazione che viene buona in quello stesso novero di anni per uno dei vertici della produzione di Maria Clelia, la raccolta di racconti L’altra metà del dèmone (1997), dove la profonda stratificazione critica cui si è fatto cenno veniva piegata, in cristallina esattezza di riferimenti storico-antropologici, alla prospezione fantastica e a una prosa che per nitore, musicalità, incanto sintattico, ricchezza mai esornativa ma sempre “essenziale” non ha, almeno a mia modestissima scienza, molti termini di raffronto con quanto a quel tempo si pubblicava e si continua a pubblicare e a premiare in Italia. O allora, se affinità ha da essere – e non sono il solo a pensarlo – è piuttosto con un autore come Pascal Quignard o, più intimamente, con diverse tra le splendide pagine di Marguerite Yourcenar, traduttrice tra l’altro di quello stesso Kavafis che Mario Luzi evocava a titolo di paragone nel testo ora citato. E si pensi, per situare tale raffronto, solo alla straordinaria affabulazione sul viaggio di Rutilio Namaziano in una indimenticabile luce di crepuscolo o ancora, nel bellissimo racconto che ha per protagonisti Marco Aurelio e Lucio Vero, al contrasto drammatico tra le angustie della conseguenzialità stoica e le insidiate luminescenze di un ethos epicureo che la figura di Lucio incarna in un dolente e denso di colori cupio dissolvi.

Vi era, nel lavoro di Maria Clelia Cardona, come un’osmosi tra poesia e narrativa, quale si può nuovamente verificare anche a pochi anni di distanza. Del 1997 è il notevole romanzo di ambientazione viterbese e risorgimentale Il cappello nero e i motivi e le figurazioni della città della giovinezza sono centrali tra i versi coevi pubblicati nel 2004 (Da un millennio all’altro): penso all’incantevole ciclo Il bosco degli inganni, nello stesso libro, dedicato alle estravaganze di pietra del giardino di Bomarzo, o a liriche come “Le mura di Viterbo”, “Monte Venere”, “La Faggeta”, “Ferento”, per naturale adesione a un sentimento storico-fantastico di paesaggio che ritroviamo in tutta la sua opera. Un’opera che è venuta arricchendosi su se stessa senza mai smarrire il proprio filo e tono, con un’apertura di sguardo che è tratto distintivo dell’ultima raccolta di poesie pubblicata (I giorni della merla, 2018) come dei successivi libri di racconti dove lo scandaglio tende a spostarsi su quanto Roberto Calasso avrebbe chiamato L’innominabile attuale, senza disdegnare l’intreccio “poliziesco” come in Furia di diavolo (2008), un divertissement che ci conduce nel mondo affascinante ed equivoco degli antiquari e dei falsari.

2.Maria Clelia Cardona, Arianna senza filo, pastello di Giulia Napoleone dal libro manoscritto in copia unica, ora al Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie degli Uffizi
Maria Clelia Cardona, Arianna senza filo, pastello di Giulia Napoleone dal libro manoscritto in copia unica, ora al Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie degli Uffizi

Confido che un’opera di questo rilievo e complessità, qui necessariamente tratteggiata à vol d’oiseau, possa diventare presto materia di studio e attenzione. È quanto indubbiamente merita un’autrice che di attenzione, in termini quantitativi, non ne ha avuta molta. Poteva andare diversamente se pensiamo che un importante critico definisce la narrativa oggi in voga un “genere merceologico”, felicemente accomodata nella banalità della lingua di comunicazione, l’occhio rivolto all’alea delle classifiche?  E che dire del cospicuo allegro mondo dei cacciatori di like, usi a perlustrare palmo a palmo le secche dei social? Quanti hanno letto L’altra metà del dèmone? O Di fiato e di fuoco (2016), la suggestiva tessitura poematica che ha in Penelope la voce narrante e venne pubblicata per segnalazione entusiastica di Stefano Agosti? E giova qui allora dire come l’attenzione per il lavoro di Maria Clelia sia stata invece, se pure non vasta, qualificatissima. Pochi ma buoni, insomma, i suoi lettori, ma in fondo per un autore di qualità non è (quasi) sempre così? E penso a quanto ha scritto su di lei Giancarlo Pontiggia, che con grande favore ha accolto I giorni della merla nella bella collana che dirige, alle riflessioni sempre puntuali di Roberto Deidier, alla stima, e all’amicizia, di autori anche da lei letterariamente diversi, a partire da alcuni poeti della sua generazione e i primi nomi che mi vengono in mente sono quelli di Biancamaria Frabotta, di Elio Pecora, di Dino Villatico, di Jolanda Insana e di una notevolissima poetessa oggi pressoché dimenticata – Maria Clelia di questo ogni volta si stupiva – come Gabriella Leto, pure raffinata traduttrice di Ovidio. Quanto a Stefano Agosti posso testimoniare che la poesia di Maria Clelia fu l’ultimo coup de foudre del grande studioso e ne è riscontro l’impegnativo saggio la cui stesura lo occupò l’intera estate del 2018 per uscire l’anno seguente su “Strumenti Critici”. E a completare la testimonianza riporterei la domanda, venata di stupore, che mi rivolse dopo aver letto per la prima volta il manoscritto di Di fiato e di fuoco: “perché io non la conoscevo?” Già, perché? E qui il discorso potrebbe diventare lungo e incerto, ma viene a proposito almeno per ricordare la rara signorilità di Maria Clelia, il suo essere non solo appartata, ma affatto immune dal grande e in fondo assai modesto affaccendarsi che impegna buona parte delle energie di quella che per comodità continuiamo a chiamare la società letteraria.

3.Maria Clelia Cardona, Arianna senza filo, pastello di Giulia Napoleone dal libro manoscritto in copia unica, ora al Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie degli Uffizi
Maria Clelia Cardona, Arianna senza filo, pastello di Giulia Napoleone dal libro manoscritto in copia unica, ora al Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie degli Uffizi

Ora, se alla signorilità di chi propone fa muro la sordità di chi dovrebbe invece venire incontro, se non altro per dovere di ufficio, si può forse spiegare il caso di un importante romanzo che resta inedito – è tuttora inedito – per anni. Un romanzo so di ampio respiro e disegno e, non fatico a immaginare, di magnifica scrittura. “Signora, lei scrive troppo bene. Poi all’editor cosa faccio fare?” Così si sentì una volta rispondere Maria Clelia da una “addetta ai lavori”. Lei raccontava questo episodio con un sorriso ironico perché in fondo l’idea che qualcuno potesse mettere le mani in un suo testo faceva semplicemente ridere.

Quel romanzo, che si ricollega per soggetto e ambientazione storica a Il cappello nero e ammonta credo a qualcosa come cinquecento pagine, andrà davvero pubblicato e così – sarà penso più facile – andrà pubblicata la raccolta inedita di poesie, sostanzialmente pronta da almeno un anno. Ne conosco alcuni bellissimi testi che Maria Clelia lesse a Carbognano, nella Tuscia, nella casa studio di Giulia Napoleone, un’artista con cui ebbe nel tempo importanti collaborazioni e una profonda amicizia. Per qualche anno, ma l’abitudine si interruppe purtroppo con il covid, avevamo iniziato infatti a vederci con alcuni amici poeti a casa di Giulia ogni estate, in un giorno prossimo al 15 di agosto. Ognuno portava in lettura i propri inediti e nel silenzio della stagione giunta al suo culmine quegli incontri erano diventati per tutti un appuntamento irrinunciabile, che l’amico Dino Ignani riprendeva e accompagnava con le sue foto e che personalmente annovero tra i ricordi più cari.

4.Maria Clelia Cardona, Arianna senza filo, copertina di Giulia Napoleone del libro manoscritto in copia unica, ora al Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie degli Uffizi
Maria Clelia Cardona, Arianna senza filo, copertina di Giulia Napoleone del libro manoscritto in copia unica, ora al Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie degli Uffizi

Penso tuttavia che il ricordo di un poeta non possa concludersi se non con le parole del poeta stesso. E dal generoso corpus di scritture di Maria Clelia, laddove l’altezza di esiti presentandosi come una costante rende per paradosso ardua qualsiasi scelta, proporrei una lirica tratta dal libro del 2004 che dedicata all’amatissimo padre mi sembra dire tanto, e in così pochi e delicati tratti, della nostra autrice e dell’orizzonte intimo della sua poesia:

Quando ci incontreremo

Ormai, papà, sono più vecchia di te –
quando ci incontreremo nella ressa del Giudizio
sarò la tua sorella maggiore.

Spero per te riavere la mia treccia,
venirti a chiedere aiuto perché ancora
tu traduca per me le parole di Dio
che certamente saranno dette in greco.

marcovitale58@gmail.com

 

L'autore

Marco Vitale
Marco Vitale
Marco Vitale (Napoli 1958) vive a Milano dove al lavoro in biblioteca unisce la traduzione letteraria e le collaborazioni editoriali. Tra le sue traduzioni le Lettere portoghesi, Bur 1995, Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand, Bur 2001, Stanze della notte e del desiderio di Jean-Yves Masson, Jaca Book 2008, Miseria della Cabilia di Albert Camus, Nino Aragno Editore 2011. La sua poesia è raccolta nel volume Gli anni (Nino Aragno Editore 2018, premio Luciana Notari e premio Dino Campana 2019, premio internazionale Gradiva 2020) e comprende cinque volumi di versi.

È stato tradotto in tedesco da Maja Pflug (Ein Winter, Josef Weiss Editore, Mendrisio 2008) e in inglese da Barbara Carle (Emblems of Sleep, Gradiva, New York 2020). Collabora a “Cenobio”, a “Poesia”, a “Succedeoggi” e fa parte della redazione delle Edizioni di poesia Il Labirinto.

(foto di Dino Ignani)