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Su Giacomo Casanova a Dux. Cinque domande a Elena Grazioli

Elena Grazioli è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano. Il suo ultimo lavoro Se non vado errato coi ricordi. Giacomo Casanova a Dux (Marsilio, 2023), si concentra sul periodo boemo dell’“inguaribile grafomane” che, giunto a Dux come bibliotecario del conte Waldstein smette di scrivere e “tace” lasciandoci, però, testimonianza dell’ultimo periodo della sua rocambolesca esistenza nelle lettere scambiate con Cecille von Roggendorff  “ultimo astro luminoso nella galassia della sua esistenza, una figlia più che una amante, la sola capace di restituirci il racconto di un mito fino all’ultimo giorno”.

Cominciamo dal principio: chi era Giacomo Casanova e come arriva a Dux?

Giacomo Casanova, nato a Venezia nel 1725, è ricordato come una delle personalità più vivaci del Settecento. Fu un uomo dai mille volti: avventuriero, scrittore, bibliotecario, alchimista, diplomatico, e noto soprattutto per la sua fama di seduttore, rappresentando lo stile di vita libertino dell’epoca. Cresciuto dalla nonna materna a causa delle frequenti assenze dei genitori, attori di professione, Casanova fu mandato a studiare a Padova all’età di nove anni. Qui sviluppò un’ampia cultura, con interessi che spaziavano dalla letteratura alla scienza, passando per la musica. Sebbene si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, la sua vera passione divennero le donne. Dopo la morte della nonna Casanova visse un periodo turbolento, sperimentando diverse carriere, da quella ecclesiastica a quella militare. Un incontro decisivo avvenne nel 1746, quando conobbe Matteo Bragadin, un patrizio veneziano che, riconoscente per essere stato guarito da un malanno, lo adottò e gli garantì un sostegno economico. Questa nuova agiatezza e la frequentazione con la nobiltà veneziana attirarono però l’attenzione degli Inquisitori di Stato, costringendo Casanova a fuggire in Francia. Qui si associò alla massoneria e visse a Parigi, dove coltivò relazioni con una famiglia di attori della Comédie italienne, i Balletti, e si dedicò principalmente al gioco e agli amori fugaci. Tornato a Venezia, riprese il suo stile di vita disinvolto, che gli procurò numerosi nemici. Nel 1755 fu arrestato con l’accusa di libertinaggio e di comportamento pericoloso per la stabilità del regime. Dopo quindici mesi di prigionia, riuscì a evadere dai Piombi, l’inviolabile prigione veneziana, e raccontò la sua fuga nel volume intitolato Histoire de ma fuite. Dopo la fuga, Casanova fece ritorno a Parigi, frequentò la corte di Luigi XV e visse a spese della marchesa d’Urfé, poi, smascherato, fu costretto a riprendere a viaggiare per l’Europa, visitando diverse città, tra cui Londra. Qui conobbe una giovanissima cortigiana, la Charpillon, che lo fece uscire di senno al punto da fargli tentare il suicidio nelle acque del Tamigi. La sua vita fu quindi caratterizzata da innumerevoli avventure, viaggi e continui tentativi di elevarsi socialmente e culturalmente. Dopo anni di assenza, una volta ritornato nel suo paese natale, nel 1774 ebbe l’infamante incarico di spia, e qui iniziò inesorabilmente il declino della sua fortuna.

Come arrivò a Dux? Lo sappiamo grazie alla corrispondenza, perché il suo racconto autobiografico si arresta all’altezza del 1774. In una lettera indirizzata all’abate Eusebio della Lena, scritta da Anversa il 6 settembre 1783, Casanova descrive nel dettaglio l’itinerario che percorre una volta allontanatosi da Venezia: Bassano, Trento, Innsbruck, Augusta, Francoforte, Magonza – dove incontra il duca Durazzo, che accompagna fino a Colonia –, sosta di una settimana ad Aquisgrana, di un mese a Spa, di un giorno all’Aia e a Rotterdam. Il progetto del cavaliere di Seingaltè quello di raggiungere Parigi il 20 di settembre e crede che per la fine di marzo si deciderà a salpare per il Madagascar. Effettivamente, non vi sbarcherà mai. L’ingegnosità di Casanova lo ha condotto a trovare sempre proventi ovunque: amici, passaporti, protettori… però, in età avanzata, quando non può più affidarsi ai suoi paladini – come furono Bragadin e la marchesa d’Urfé – è manifesto il cambiamento di vita che ne consegue: non si sposta più in berlina, non sperpera più centinaia di luigi per delle Charpillon, non procura più doti alle ragazze che ha amato per primo e non rifiuterebbe certo proposte di matrimonio con giovani milionarie. A sottrarlo da questo momento di declino intervenne il nipote del principe di Ligne, il conte di Waldstein, che Casanova ebbe modo di conoscere durante un pranzo presso l’ambasciatore di Venezia, Sebastiano Foscarini. Il Conte gli propose di diventare suo bibliotecario, ma l’avventuriero, in un primo momento, rifiutò. Nell’aprile del 1785 Foscarini morì e il suo successore non necessitava di un impiegato che scrivesse per lui la corrispondenza ufficiale. Il cavaliere di Seingalt si affannava, ma perse presto ogni speranza di trovare un altro incarico; lasciò Vienna con l’intenzione di recarsi a Berlino per postulare un impiego in Accademia. Attraversando quella che oggi è l’attuale città di Brno, soggiornò presso l’amico conte Maximilian Joseph von Lamberg e questi lo raccomandò all’ispettore delle finanze Johann Ferdinand Opiz. L’incontro si risolse in un nulla di fatto, ma diede avvio a una prolifica corrispondenza epistolare, durata fino al 1794. Casanova riprese i suoi spostamenti e, a Teplitz, nel settembre del 1785, incontrò ancora una volta il conte di Waldstein: alla fine delle sue risorse, senza più poter viaggiare, senza avventure, Casanova lo prese in parola ed eccolo bibliotecario.

Il rapporto che lega Casanova all’autobiografismo è strettissimo e, d’altro canto, “tutti coloro che si sono mostrati curiosi verso le sue disavventure ne hanno ricevuto un racconto dettagliato – pur se confezionato ad arte – e una spiegazione esaustiva” (p. 78). In che modo l’autobiografia fu di aiuto Giacomo Casanova?

Nell’arco temporale di vita trascorso a Dux prevale in Casanova la tendenza a concentrarsi sul mestiere di scrittore rispetto al tentativo di proporsi come letterato. Qui, in Boemia, nel castello del conte di Waldstein, alla fine della sua esistenza, inizia la stesura della monumentale Histoire de ma vie – portata avanti insieme a diverse altre opere – per la quale, ancora oggi, è saldo nell’immaginario collettivo in quanto avventuriero e seduttore per antonomasia. Casanova ha sempre desiderato testimoniare del suo tempo en qualité de philosophe e non certo in quanto soggetto privato: anelava a essere riconosciuto homme des lettres senza la mediazione della sua straordinaria vita. Eppure, le opere precedenti all’histoire de ma vie, pièces teatrali, poesie, un romanzo, traduzioni e critica di ambitostorico-politico (mi riferisco, ad esempio, alla Confutazione della Storia del Governo Veneto d’Amelot de la Houssaie, come alla traduzione dell’Iliade e al libello Né amori né donne) avevano, in realtà, un valore insufficiente per poterlo annoverare fra gli uomini di lettere. Casanova non si trovò fra quelle figure tutte egualmente partecipi di una complessa volontà di cambiamento, di cui un grande affresco ci lasciò Franco Venturi nel suo Settecento riformatore, ma si inserì nel suo tempo per un’altra via, attraverso la necessità di sconfinare dagli idilli arcadici e riprendere contatto con la realtà, affermando una visione puramente individuale e individualistica, ma legata all’esperienza vissuta, inquanto proprio il reale veniva a coincidere con l’idea stessa di piacere, come perfettamente sottolineò Raffaele Spongano all’interno del volume La poetica del sensismo e la poesia del Parini, nel capitolo consacrato all’edonismo. Sarà proprio il racconto autobiografico, alla fine, a condurre Casanova nel canone attuale degli autori settecenteschi.

Ma Casanova si racconta anche al di fuori dell’Histoire de ma vie. La sua è un’attività biografica che si può definire simultanea ai fatti poiché tiene dei «capitolari» nei quali annota le vicende man mano che si verificano; senza di essi le descrizioni non potrebbero essere così dettagliate e minuziose. Molti degli episodi della sua vita, molto prima di essere inseriti nel racconto complessivo, vengono in prima istanza narrati; Casanova comprende molto presto la seduzione che può avere il contenuto e il modo di esposizione di un’autobiografia: diciottenne, rinchiuso nel carcere di Sant’Andrea per mezzo del tutore Grimani, viene invitato dal maggiore a cenare in compagnia di una serie di ospiti che desiderano avere notizie su di lui e che vengono subito accontentati. Si tratta di persone curiose delle disavventure che sono capitate a Casanova e lui, nel raccontarle, inspira loro tutta l’amicizia che gli è necessaria per renderseli favorevoli e utili. Narrare la propria storia è in primis una risorsa esistenziale, romanzesca soltanto poi, perché si trae un vantaggio pratico dal racconto di sé ad altri. Ovviamente il récit è confezionato ad arte, si sa in partenza cosa convenga o non convenga dire, mantenendo un certo stile ed evitando défaillances; solo così si ottiene il favore di chi ascolta. Questa benevolenza fortunosa perdura per Casanova fino all’età di cinquant’anni; da qui inizia un periodo nel quale comincia a perdere la compiacenza del pubblico, senza riuscire ad ingraziarselo nuovamente in seguito. Casanova fa dunque tesoro della vita appena vissuta e la tramuta subito in testo: vi è un passaggio immediato dalla nascita dell’avvenimento alla narrazione di esso, che è il fondamento dell’autobiografia. Il veneziano, poi, presenta la scena dell’esposizione di un fatto all’interno del racconto di un’avventura stessa e questo salda i vari e differenti episodi fra di loro: l’avvenimento di un’azione produce cause in quel determinato momento solo se si esaurisce lì, ma la strategia che utilizza Casanova, quella di richiamarlo attraverso la narrazione ogni qualvolta lo desideri, fa sì che gli effetti si spostino avanti e indietro dando vita a un tessuto di connessione puramente narrativa che sorregge i fatti. Si passa così, una moltitudine di volte, dal piano degli avvenimenti a quello del racconto, in vari luoghi e sempre con successo. Questo risultato produce una garanzia di narrabilità inizialmente per due episodi principali, quello del duello con il conte Branickie della fuga dai Piombi. In questa forma di transizione autobiografica, dall’evento al racconto, è soprattutto la notizia di quanto è accaduto ad essere il punto focale attorno al quale tutto ruota, essa diventa la base sulla quale si fonda la discussione che, passando di bocca in bocca, produce commenti, opinioni, diverbi, ma anche versioni differenti di quanto si è verificato. Anche per questa ragione la fuga dai Piombi e il duello, le due imprese di cui Casanova si vanta in misura maggiore, vengono redatte per iscritto: ne vuole dare la sua versione, veritiera o meno, che sia quella definitiva, ufficiale e non ufficiosa. Entrambe le opere ritornano come episodi di grande rilievo, con qualche variante soprattutto per quanto riguarda i dettagli nell’Histoire de ma vie. La fama conseguita dalla diffusione dell’Histoire de ma fuite e del Duello fa sì che, una volta innestate queste storie nel tessuto del racconto della sua vita, esse producano all’interno dell’autobiografia l’effetto di una eco costaste – già dall’inizio troviamo prolessi riguardanti l’arresto e la carcerazione – capace di creare un universo di attesa che viene soddisfatto soltanto nel momento in cui storia e racconto convergono.

Il tuo libro si apre con “una lunga omissione nell’Historie de ma vie” che, come ben spieghi, si arresta bruscamente al 1774, come mai?

Il 1774 è l’anno in cui, dopo diciotto di esilio, Casanova fa ritorno a Venezia; ritrova la sua patria natale, ma non la fortuna di un tempo, che pare averlo abbandonato, alla stregua della giovinezza. Anche la celebrità di cui aveva goduto non si reitera con nuovo vigore: sostanzialmente, le uniche entrate sulle quali può contare provengono dagli Inquisitori di Stato, come compenso per il ruolo di confidente al quale è relegato; i suoi lavori letterari non lo arricchiscono e anche il tentativo di diventare impresario teatrale si rivela un fallimento: «Sono tre anni che vivo in Venezia in un continuo stato di violenza, vedendo sempre che debbo risolvermi ad andar a morire altrove, e differendo sempre. […]. Le combinazioni [della vita] sono sì intralciate che potrebbe ancora darsi ch’io andassi in qualche luogo ad acquistarmi tranquillità, ch’è il più prezioso tesoro della vita». Che il libertino per antonomasia cerchi la quiete come un tesoro, al pari del Petrarca, è, citando Giorgio Ficara, «estraneo alla sua stessa legge», almeno a quella della gioventù. Difatti, una volta raggiunta la condizione di io-ritirato a Dux, scopriamo, grazie al principe di Ligne, che Giacomo non riuscì ad adattarsi e, non trovandosi a proprio agio in una condizione di tranquillità, continuò a provocare burrasche intorno a sé facendo nascere discussioni nel castello per qualsiasi sciocchezza. Ma torniamo a Venezia. Un anno più tardi, viene esiliato per la seconda e ultima volta. Il rancore verso la nobiltà veneziana e lo scontro con uno dei suoi rappresentanti, Giancarlo Grimani, erano apparsi non certo in filigrana nel suo libello Né amori né donne, uno scritto satirico e diffamatorio nel quale il patrizio viene indirettamente messo in scena attraverso gli abiti di un Ercole privo di senno. Una delle poche pubblicazioni di Casanova che ebbe successo in quel periodo lo portò dunque a dover lasciare ancora una volta la sua patria: «Venezia sarà sempre, per lui, la misura di tutti i luoghi». Ma il cavaliere di Seingalt ebbe sempre, nel corso della sua vita, la necessità del partire, fu un grande viaggiatore, non inferiore all’abate Galiani né ad Algarotti, al punto che potremmo definirlo un «cosmopolita europeo».

Che rapporto c’era tra Casanova e Cecille?

La prima lettera di Cecille von Roggendorff scritta a Giacomo Casanova porta la data del 6 febbraio 1797 e con essa ha avvio uno scambio epistolare circoscritto all’ultimo anno della vita del cavaliere di Seingalt: Cecille fu dunque, insieme a Elisa von der Recke, una delle sue ultime corrispondenti. Le responsive di Casanova sono soltanto due, fra cui il noto Précis de ma vie. Tuttavia, grazie a quanto riprende Cecille delle risposte, possiamo, in piccola parte, ricostruire le nuances della corrispondenza, fondata su un’affezione senza il minimo equivoco, nonostante i teneri slanci.

Casanova morì il 4 giugno 1798, senza mai aver avuto la fortuna di incontrarla. Cecille, come si firma lei nella corrispondenza, figlia di Ernst von Roggendorff e di Wilhelmine Friderici, al momento dello scambio epistolare con Giacomo Casanova era una giovane contessina dalla storia infelice: rimasta orfana di entrambi i genitori (la madre morì nel mese di ottobre del 1785 e il padre nel settembre 1790), trascorse l’infanzia in un convento di Salesiane; riuscì a entrare, a diciassette anni, nell’Ordine di Sant’Agostino come canonichessa di Halle, ma ciò non le impedì di vivere la giovinezza nelle ristrettezze. Verso i vent’anni, le sembrò di esperire un momento meno infausto, grazie al fidanzamento con il barone di Vecesy. Per disgrazia, il sottoluogotenente austriaco morì nella battaglia di Bassano, il 7 novembre 1796. Da sola e senza affetti, Cecille trovò rifugio da una cugina, la contessa Török, a Košice. Tre mesi dopo la perdita del fidanzato scrisse a Casanova per chiedergli amicizia e protezione. Casanova non solo concesse, fin dall’inizio, la sua disponibilità a corrispondere con Cecille, ma, con altrettanta sollecitudine, si adoperò per farle ottenere un posto a Corte tramite l’intercessione della principessa Clary – figlia del suo carissimo amico, il principe di Ligne –, allo scopo di garantirle un appannaggio sufficiente per assicurarle a poco a poco l’indipendenza. Il cavaliere di Seingalt si inventò anche il ruolo di precettore perché esigeva ancora per sé una posizione di supremazia, voleva essere costantemente protagonista, anche se veniva richiamato in scena da una donna e sebbene dei salotti settecenteschi non rimanesse, a Dux, che un misero scrittoio. Il libertino invecchiando diventò un educatore, ma ancora una volta finì per raccontare sé stesso davanti a un pubblico, imparando a palesare anche i contenuti che non piacevano: all’elogio della virtù fece seguire consigli relativi a princìpi di rettitudine. Questa ragazza gli aveva fatto l’onore di dimostrargli stima e confidenza gratuitamente perché, non conoscendolo di persona, non poteva sapere se le meritasse. Casanova, per parte sua, mostrò la sua riconoscenza attraverso dettami che lei avrebbe potuto accettare come una serie di consigli. La Roggendorff voleva meritarsi questo scambio di lettere, e quindi cercava di comportarsi come un’allieva diligente. Non che non vi fosse qualche risvolto galante, ma le attenzioni di Cecille erano rivolte al conte di Waldstein; il tono dominante della corrispondenza, le attenzioni e le cure di Casanova nei confronti della Roggendorff appartenevano piuttosto all’affetto di un padre. La stessa Cecille non configurava, in fin dei conti, il rapporto se non in questi termini: «Mi amavate come un padre, dicevate? Qual era dunque la tenerezza che nutrivo per voi? Era forse men viva?». Giacomo si insinuò all’interno di un nucleo familiare debole e intervenne sollevando la contessina dalle preoccupazioni che le causava il fratello; addirittura – avendo ben note le intemperanze di Ernst –, sembrava quasi voler sostituirne la presenza nella vita di Cecille, condensando in sé quella famiglia che lei non aveva più. Senza la corrispondenza con Cecille, il cavaliere di Seingalt avrebbe perso quel volto tenero e umano dissolto nell’inchiostro della sua istrionica ricostruzione autobiografica. Peccato che sia morto senza mai averla vista. 

Nel tuo lavoro analizzi anche il “caso del Précis de ma vie” …

Si tratta molto probabilmente di uno degli ultimi testi che Casanova ha scritto, vista l’età di settantadue anni e la morte sopraggiunta solo un anno più tardi; si presenta come una risposta atta a soddisfare le curiosità espressegli da Cecille, il 2 novembre 1797: «A proposito, qual è il vostro nome di battesimo? In quale giorno e in quale anno siete nato? Potrete ridere fintanto che vorrete delle mie domande, ma vi ordino di soddisfarmi». Il veneziano risponde mediante un riassunto abbastanza fedele dell’Histoire de ma vie, che nel novembre del 1797 era terminata – almeno nella sua struttura complessiva – già da tempo. Il racconto, disposto in ordine cronologico, ha il suo avvio con la nascita di Casanova, il 2 aprile, giorno di Pasqua, dell’anno 1725; a partire da questo momento, riporta i suoi primi otto anni difficili, gli studi a Padova e l’assunzione dell’abito talare per fare fortuna a Roma, tramite il cardinale Acquaviva. A diciotto anni Giacomo diventa militare e viene inviato a Costantinopoli. Due anni dopo, di ritorno a Venezia, abbandona questo mestiere per quello di suonatore di violino. A ventuno, grazie alla protezione e all’affetto di uno dei più grandi signori di Venezia, Bragadin, viaggia per l’Europa, inclusa Vienna, dove conosce il padre di Cecille. Casanova cita poi brevemente l’arresto e la segregazione nei Piombi, la fuga e la partenza per Parigi. E ancora, in poche frasi, liquida il periodo vissuto in Olanda, la visita a Voltaire, il soggiorno in Inghilterra (allude a quanto verificatosi con la Charpillon); possiamo leggere dell’arrivo a Varsavia, del duello con il conte Branicki, del ritorno a Parigi, nel 1767, e della lettera che lo ha costretto nuovamente ad andarsene. Casanova racconta dell’approdo in Spagna e della reclusione nella prigione di Barcellona, a causa della sua intesa con l’amante del viceré(Nina Bergonzi, ballerina amante del conte di Ricla). Nel 1769 pubblica in Svizzera la sua difesa del governo di Venezia, in tre grandi volumi, contro Amelot de la Houssaie. L’anno seguente vuole partire per Costantinopoli con la flotta russa, ma l’ammiraglio Orlov non gli accorda le condizioni desiderate; quindi si sposta a Roma, poi a Napoli, e di nuovo a Roma. Esiliato anche dall’arciduca Leopoldo, a Firenze, e stanco di girovagare per l’Europa, si decide a sollecitare la grazia agli Inquisitori di Stato di Venezia: «Per questa ragione mi stabilii a Trieste, dove, due anni più tardi, l’ottenni. Era il 14 settembre dell’anno 1774. Il mio ritorno a Venezia, dopo diciannove anni, mi fece gioire del momento più bello della mia vita». A differenza dell’Histoire de ma vie, che termina appunto in questo momento, il Précis prosegue fino all’arrivo di Casanova a Dux. Il cavaliere di Seingalt non fa però menzione alcuna del suo ruolo di confidente e narra direttamente del 1782, anno in cui si è inimicato il corpo della nobiltà veneziana. È anche sorprendentemente discreto sulla sua carriera galante, nominando soltanto alcune delle sue numerosissime amanti: non si potrebbe essere più misurati quando ci si chiama Giacomo Casanova.

Questa lunga risposta a Cecille deve essere celermente giunta a destinazione, poiché quest’ultima, appena un mese più tardi, esprime la sua riconoscenza per la narrazione esaustiva e dettagliata: «Ho letto con interesse e dispiacere il riassunto della vostra vita e, con il cuore ancora pervaso da questi sentimenti, confesso al mio degno amico, per ricambiare la sua confidenza, di non aver mai meritato l’omaggio della sua dolcezza. Ma non temete, me ne renderò degna, la vostra bontà l’ha confidato alla mia discrezione, la mia coscienza mi impone di rimettere questi cari personaggi alle fiamme. Quando avrò fatto questo sacrificio, mi crederò degna di voi. Mi costa maggiormente perché ho creduto ravvisare la traccia di qualche lacrima. No, amico mio, non versatene più finché Zenobia non potrà asciugarle».

Da quanto è detto, si evince che Casanova non desiderasse assolutamente che il Précis, nella versione redatta per Cecille, venisse alla luce. L’opera è stata trovata a Dux, tra i suoi manoscritti, e ciò fa supporre che questo testo sia stato modificato in seguito, poiché nell’ultima parte della versione manoscritta vi è autorizzata la pubblicazione: «È il solo riassunto della mia vita che io abbia scritto e acconsento che se ne faccia l’uso che se ne crede».

teresa.agovino@unimercatorum.it

 

 

 

 

 

L'autore

Teresa Agovino
Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.