In primo piano · Interventi

In onore del cane pecorale

“Chi è colto e chi non è colto: il punto è il senso della cultura
e c’è chi non è colto ma ha il senso della cultura
e anche del senso del non senso.
Il non colto autentico è chi non ha il senso e il nonsenso.
si può non condividere il senso e nonsenso
ma è possibile che il senso diventi il non senso. E viceversa”

Questo scritto dedicato al cane pastore abruzzese ha lo scopo di onorare questo grande lavoratore e proporre alle autorità abruzzesi di dare il dovuto riconoscimento a questo bello e prezioso concittadino.

Forse l’intera umanità dovrebbe farlo in onore dei buoi, dei cammelli, degli asini dei muli e dei cavalli per due motivi: il primo per gratitudine per il lavoro svolto che ha permesso, oltre alla sopravvivenza, anche lo sviluppo; il secondo per lasciare un messaggio alle nuove generazioni (quelle occidentali), che forse non hanno il senso del benessere e non benessere dovuto al cosiddetto progresso.

Il nostro territorio, come è noto, definito impenetrabile da Edward Lear (I miei viaggi nell’Abruzzo pittoresco), per via delle aspre montagne, della neve e delle fiere (lupi ed orsi), ha avuto una centralità economica molto importante; questa ricchezza ha consentito ad alcune famiglie di avere i mezzi per costruire palazzi, piazze, chiese, nonché essere mecenati per straordinari artisti (cito, a titolo esemplificativo, Raffaello, Saturnino Gatti e Leonardo): tutto ciò grazie al territorio selvaggio sfruttato per la pastorizia.

Lo stesso territorio obbligava alla transumanza invernale, su cui tornerò a scrivere in altra occasione.

Occorre spiegare che l’origine di questo mio intervento nasce da accadimenti personali: abitavo nella remota periferia di Avezzano, dove le strade erano sterrate, prive di illuminazione e in inverno erano ricolme di neve. Nel mio prossimo vicinato il compare Menico, detto “cutturo”, aveva il rifugio del gregge, sorvegliato da tre cani pecorali (in inverno i lupi scendevano fino in città molestando e razziando le pecore dei pastori non transumanti). Tra i sette e gli otto anni distribuivo a domicilio il latte che producevamo; nel tornare a casa nelle sere d’inverno con la neve alta, ero sempre terrorizzato dal buio, ma ad aspettarmi c’erano sempre i tre cani del compare Menico che mi accompagnavano fino a casa. Altro che angeli custodi! Quando sono diventato medico, passavo il mio tempo libero a Campotosto con i pastori e i loro cani. Mi allarmò il fatto che la razza mostrava segni di decadenza, perché in quel periodo i lupi erano diventati pochi, motivo per cui ho rifondato il club del pastore abruzzese e sono stato l’artefice di una legge regionale di tutela del cane pastore abruzzese. Ho anche avuto modo di conoscere Paolo Breber, il massimo esperto della razza dal punto di vista cinofilo ma soprattutto storico.

Fu un grande successo ma non nel senso da me auspicato: quel cane era diventato tenero, simpatico, rassicurante, oggetto da mostrare nelle ville e partecipare ai raduni di bellezza, e ovviamente anche un oggetto commerciale.

Ma la cosa che mi ha spinto a tornare a occuparmene, sono i “danni” causati dalla fauna selvatica, diventati di nuovo un problema primario per allevatori e agricoltori. Mi chiedo come sia stato possibile allevare milioni di pecore in queste montagne senza il supporto del cane da lupo? Egli nella lotta ha rischiato sempre la sopravvivenza, è stato lavoratore fedele e assolutamente educato, lottando solo quando il gregge era in pericolo.

Concludo questo mio scritto, ribadendo la necessità di conferire un giusto riconoscimento al cane pastore abruzzese, oggetto già di un recente bellissimo sonetto in dialetto di Leandro Ugo Japadre (Senza ji cani, jacciu e massaria), magari con l’erezione di un monumento.

campomonticchio@gmail.com

PS Per chi vuole saperne di più, qui di seguito può scaricare l’opuscolo Una nuova stagione per il cane da pecora abruzzese di Paolo Breber (paolo.breber@gmail.com)

Cane da pecora abruzzese

 

L'autore

Romeo Pulsoni
Romeo Pulsoni (campomonticchio@gmail.com) è medico, esperto di fisica delle particelle, contadino, coofondatore nel 1988 con Giovanni Bollea di “ALVI” (Alberi per i vivi), e già docente a contratto dell’Università dell’Aquila. Nel 2009 è stato responsabile sanitario dei territori identificati come COM 1 (L’Aquila Città) e COM 4 (area tra Pianola e Celano) per l’emergenza sisma. Questa funzione, svolta per l’intero periodo emergenziale, comprendeva la gestione della Sanità pubblica, dell’Igiene pubblico e ambientale, dell’organizzazione dell’assistenza, della vigilanza e controllo delle attività commerciali e produttive. Per tale impegno è stato insignito della Medaglia d’argento per la Sanità pubblica dal Presidente della Repubblica.