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Il canto come autentica via di preghiera. Dialogo con Fra Alessandro Giacomo Brustenghi  

Fra Alessandro Giacomo Brustenghi è nato a Perugia nel 1978. Ha frequentato l’indirizzo musicale presso l’Istituto Magistrale A. Pieralli della città natale, e lì ha trovato diversi spunti di crescita verso l’interesse del canto e della composizione. Contemporaneamente ha portato avanti, presso il conservatorio di musica Morlacchi, gli studi di organo e composizione organistica con il maestro Wijnand Van de Pol; nel 1996 vi ha affiancato lo studio del canto lirico, sotto la guida del soprano Gabriella Rossi, conseguendo il compimento superiore nel 2004. Ha lavorato come cantore, preparatore vocale e collaboratore presso diversi cori e ensemble dell’Umbria (Corale Tetium, Corale Canticum Novum, Ensemble di canto gregoriano San Michele Arcangelo, Cantori di Assisi, ecc.), svolgendo una vasta e formativa attività concertistica. Si presta come solista nell’esecuzione di concerti da camera, interpretando arie italiane del repertorio operistico, napoletano e sacro. Nel corso della sua formazione ha ricevuto il premio speciale Rai del trofeo “Helios”, per la promozione di musica e poesia nelle scuole, con la composizione Armonia Luminosa, e ha partecipato come compositore per l’Italia alla manifestazione internazionale “Musica insieme” (1996), con Rimembranze, sonata popolare per quartetto d’archi e pianoforte. Si cimenta da tempo anche nel campo della musica pop cristiana, e ha promosso e pubblicato il progetto di canzoni di evangelizzazione Il Volto; è inoltre bassista della band francescana “Perfecta Lætitia”. Nel 2012 ha iniziato una collaborazione con la casa discografica Decca Records per la quale ha registrato tre cd di arie sacre: Voice from Assisi, Voice of joy e Voice of peace; nel 2016 è uscita la raccolta a tema natalizio O Holy Night, con 4 brani inediti due dei quali registrati con il coro di voci bianche di Vienna. Nel 2019 vede la luce Il Paese del Sole, un nuovo progetto per la casa discografica Pagina 3 in cui frate Alessandro interpreta canzoni classiche della tradizione italiana, facendo incontrare il jazz e la lirica. In seguito alla pubblicazione di questi cd, concepita dalla Comunità dei Frati come una missione di evangelizzazione attraverso la musica, frate Alessandro ha avuto la possibilità di viaggiare in Europa, in USA, in Russia e in Australia, raggiungendo milioni di persone con il canto e la testimonianza. I proventi derivati dalla vendita dei CD sono stati destinati a progetti missionari legati alla Provincia religiosa a cui frate Alessandro appartiene. In questi anni ha scritto e pubblicato con le Edizioni Porziuncola tre libri: La mia musica, la mia vita (2012), un’intervista biografica; Laudato si’ mi Signore (2015), studio sulla melodia originale del Cantico delle Creature; Le note dell’anima (2019), un percorso teorico e pratico sul canto spirituale. Per le edizioni san Paolo ha scritto l’autobiografia La nostra voce, storia di un dono.

Basta leggere l’ampia voce che ti riserva Wikipedia per comprendere la molteplicità dei tuoi interessi. Prescindendo dalla tua vita di religioso, qual è la definizione che più ti si attaglia in ambito musicale: tenore o compositore? 

Fin da quando ho conosciuto la musica e me ne sono innamorato, il mio desiderio è sempre stato quello di diventare un compositore. Di fatto ancora oggi possono passare anche mesi in cui non sento la mancanza del canto, mentre è difficile fermare il fiume di melodie e armonie che quotidianamente abitano i miei pensieri. Tutto diventa musica, anche passeggiare, contando i passi a tempo, un qualsiasi suono naturale o cittadino… basta un semplice input e in pochi secondi ho nei pensieri nuove musiche. E non solo: i suoni diventano immagini vivide e viceversa: inizio a ordinare le idee, a cercare significati, a dar loro una forma estetica; un processo – lungo o corto che sia – che spesse volte sfocia in un nuovo brano; tutto questo mi mette in un dialogo interiore con il mio Creatore. Per questo mi sento molto più un compositore, anche se sono soltanto un autodidatta, di livello dilettantistico. La storia, in ogni caso, mi ha portato piuttosto a far musica con il dono della voce che è fortemente legata alla mia vocazione religiosa, una missione esplicita per Dio e per la Chiesa. Potrei dire che la composizione esprime la mia personalità musicale più intima, mentre il canto quella più pubblica. 

Sei stato il primo religioso nella storia ad aver firmato un contratto discografico esclusivo con la Decca, e nel contratto hai rinunciato a tutti i proventi personali delle vendite, destinandoli alle missioni all’estero sostenute dalla Provincia dei Frati Minori dell’Umbria. Quanto ha cambiato la tua vita questa sovraesposizione mediatica?

All’inizio di questa particolare avventura non si prospettava un successo così importante. Naturalmente eravamo consapevoli che la promozione di una Major avrebbe portato a una popolarità a larga scala, ma davvero la realtà ha superato le aspettative. Il progetto aveva principalmente lo scopo di divulgare il Vangelo e, con l’occasione, di nutrire le nostre missioni all’estero, per questo ero disposto ad accettare la fama pur di raggiungere l’obiettivo. Ma non immaginavo che questa, da te ben definita, “sovraesposizione mediatica” fosse davvero così dura. Infatti ben presto mi accorsi che con il mio carattere, istintivamente un po’ timido e diffidente, sarebbe stato difficile portare il peso di continue interviste, tv, radio e giornali e gente che ti ferma per strada per un autografo e una foto; tanto più quando ti rincorrono, vogliono parlare con te, dicono che ti ammirano ma poi scopri che non si ricordano nemmeno il tuo nome: ti chiamano semplicemente “il fraticello che canta”. Critiche positive e negative, il confronto impari con gli autentici professionisti, un mondo in cui quotidianamente si affacciano allo stesso tempo tante invidie e gelosie quante manifestazioni di ammirazione e sostegno… Ho scoperto che la popolarità è un inganno ed è davvero umiliante. Infatti io sono “famoso” in realtà solo a chi vive con me, solo chi condivide la mia giornata può conoscermi un po’ meglio, e solo i miei amici sanno davvero chi sono. È umiliante perché mentre tanta gente ti dipinge come un “angelo” tu hai davanti solo i tuoi limiti e ti accorgi che tra chi ti conosce nessuno ti chiama così, anzi… D’altra parte non è giusto svalutare l’entusiasmo della gente che trova sollievo e speranza in qualcosa che doni, per questo spesso mi commuovo davanti agli apprezzamenti di chi mi segue perché esprimono un’umanità assetata di bellezza. Nei primi anni sono stato molto teso nell’accogliere la gente, poi c’è stato un cambiamento in me, ho gettato la spugna delle mie resistenze e ho scoperto che questa piccola croce era uno strumento per permettere a Dio di lavorare. Ecco: fama e popolarità sono state per me una scuola di umiltà.

Dal 2023 al 2026 ricorrono ben quattro centenari francescani. Nell’ordine: 2023 ottavo centenario della Regola francescana e del Natale di Greccio; 2024: ottavo centenario dell’impressione delle Stimmate, sul monte della Verna; 2025: ottavo centenario del Cantico delle creature; 2026: ottavo centenario della morte di Francesco. Per l’occasione hai scritto una partitura per quartetto d’archi Stigmata, eseguita per la prima volta al mondo da Umbria ensemble, in un luogo francescano per antonomasia: Piandarca di Cannara, dove San Francesco ha predicato agli uccelli. Ce ne parli? 

La collaborazione con gli amici di Umbria Ensemble è davvero un bel regalo del buon Dio, una consolazione nel mio cammino perché sono belle persone e siamo in sintonia su tanti aspetti. In passato ho scritto per loro alcune trascrizioni per i nostri concerti, ma non avevo mai elaborato un’opera, diciamo, a programma vera e propria. Mi son lasciato andare cercando di trovare un equilibrio tra forma libera, linguaggio semplice e comprensibile, un pizzico di sperimentazione e un fusion stilistico che esprimesse la spiritualità e l’umanità tipicamente francescana. La musica di Stigmata è molto descrittiva, tanto che ho aggiunto in partitura alcune didascalie che introducono la scena o il tema proposto dal Quartetto: si possono apprezzare l’angoscia di Francesco nella salita al monte e le volate degli angeli e del serafino alla Verna, il sonno dei pastori e il tripudio natalizio degli adoratori del Bambino di Betlemme, il fastidio dei topi nella notte a San Damiano che ha preceduto la nascita del Cantico, le allodole che cantano al momento del beato Transito del Poverello… E così via. Durante la stesura pensavo agli amici di Umbria Ensemble, a ciascuno di loro, e immaginavo quei suoni proprio uscire dalla loro arte. Ascoltare l’esecuzione dal vivo a Piandarca, luogo caro alle nostre memorie francescane, è stato molto emozionante, una nuova prova del miracolo che la musica compie nell’unire i cuori.

 Risale all’antichità l’adagio attribuito a Sant’Agostino: “Chi canta, prega due volte”. Che valore ha nella tua esperienza il canto e quanto ritieni che possa essere utile nell’avvicinare l’uomo alla fede?

Come già dicevo prima, il canto è strettamente legato alla mia vocazione religiosa perché all’inizio del mio cammino il mio direttore spirituale voleva che io terminassi gli studi di canto prima di intraprendere la nuova strada; per questo ho dovuto lavorare molto sulla tecnica, ho dovuto allenarmi costantemente anche perché a quel tempo non rientrava granché nei miei primi interessi, non avevo una grande motivazione musicale, tanto meno canora; l’unica mia vera aspirazione era diventare francescano. Mi diplomai, e una volta entrato in convento ci fu un frate che mi condusse a capire quanto era prezioso coltivare questo dono e quanta bellezza si nascondeva dietro lo studio della tecnica e lungo la storia del canto lirico italiano: cambiai radicalmente atteggiamento e mi interessai sempre di più di questa disciplina. Lungo gli anni, continuando a studiare, mi accorsi di quanta somiglianza c’è tra l’insegnamento della tecnica canora e il cammino spirituale fino ad arrivare a concepire e vivere davvero il canto come un’autentica via di preghiera. Melodia, armonia e ritmo sono il linguaggio di spirito, mente e corpo, un’unità che porta la firma della bellezza ultraterrena, e il canto è l’immagine dello Spirito che entra in noi e che ci rende strumenti vibranti della grazia. Questi erano i principi che riconoscevo nell’imparare a cantare. In seguito, iniziai a condividere questa intuizione con qualche allievo, poi con i frati, poi divenne il mio stile di vivere il canto fino a trovar espressione in un libro che pubblicai alcuni fa. Nella mia esperienza posso testimoniare che cantare è già in sé un’esperienza spirituale, se poi la mente viene arricchita dalla consapevolezza dei significati che il canto porta con sé, allora la sua efficacia è al massimo e si fa vero e proprio incontro con Dio.

Nel 2023 hai anche debuttato come attore interpretando Francesco d’Assisi nel film La Stella di Greccio di Arnaldo Casali. Com’è nata questa tua nuova attività?

Mi piace recitare, ma non sono un attore. Mi fu chiesto da fra Angelo Gatto, caro amico e cappellano dell’Ospedale di Terni, di partecipare a una semplice rappresentazione vivente del Presepe di Greccio, o così almeno avevo capito. Accettai volentieri credendo che tutto sarebbe rimasto circoscritto alla città, ma in brevissimo tempo il progetto divenne un vero e proprio film diretto da Arnaldo che già conoscevo da diversi anni. Visti i legami di amicizia e i brevi tempi di produzione, appena ricevuto il benestare dei nostri superiori, abbiamo dato il via a un’esperienza arricchente e nuova. Non sono mancate le sfide, le divergenze di opinioni e le modifiche in corso d’opera: tutto utile per arricchire il film di tanti colori diversi, linguaggi tutti utili per cercare di arrivare al maggior numero di persone possibili. Il messaggio di pace e di amore, di umiltà e di tenerezza, di serietà e buon umore sono al centro della produzione. Sono stato affiancato da attori professionisti e devo dire che in molte occasioni mi sentivo in imbarazzo perché, come dicevo prima, non sono un attore e, come tutte le arti, non si può imparare in pochi giorni di registrazione. È stata una bella avventura, mi è servita molto, ma per ora credo che rimarrà un unicum nel mio bagaglio artistico. Ogni tanto ripeto a me stesso insieme al salmo: “Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze”. È un proposito saggio, dà pace il solo pensiero di metterlo in pratica; se poi dovesse accadere che farò ancora qualcosa di “grande”, come è successo in passato, potrò davvero tornare a dire con san Paolo che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza umana: laddove ci sono i miei limiti, se riesco a fare di più, è solo segno della presenza di una grazia più grande di me, la presenza di Dio.

L'autore

Carlo Pulsoni
Carlo Pulsoni è il coordinatore di Insula europea (http://www.insulaeuropea.eu/carlo-pulsoni/).