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La metafora del cammino verso sé stessi

L’immagine di copertina è di Enrico Pulsoni                  

“…Quasi sempre il movimento sostituisce la medicina,
mai la medicina il movimento…”

Forse perché da piccolo venivo apprezzato per le mie capacità di correre, saltare, essere svelto e curioso. Forse perché abitavo vicino al carcere e vedevo dietro le sbarre coloro che erano privati del cammino, o perché la cosa più affascinante che possa ricordare erano i pellegrinaggi che i poveri contadini, tutti dediti al lavoro (inchiodati al dovere), organizzavano, una volta l’anno, verso il santuario della Trinità, o perché il modo di palesare la devozione al patrono era portare le statue e le reliquie in processione, ho sempre pensato che il mettersi in cammino fosse qualcosa di importante.

Crescendo e cominciando ad avere qualche conoscenza, ho visto che le grandi imprese, o, almeno quelle che mi hanno emozionato di più, erano legate al movimento: la scoperta dell’America, il viaggio di Marco Polo, l’incredibile viaggio di Annibale, le invasioni barbariche. Poi sono arrivate le riflessioni spirituali: andate e predicate. Chi aveva un messaggio lo portava tra le genti: Ghandi, M.L. King, San Francesco hanno avuto una vita senza fissa dimora. Ulisse per ritrovare la sua Itaca, Enea per trovare una nuova casa; la vita di chi cerca qualcosa è in cammino. Legate al cammino sono state le imprese di Fausto Coppi, Abebe Bikila, Emil Zatopek, Peter Shnell, Vito Taccone.

Qualcuno mi ha spiegato che il segreto della forza di Roma consisteva nella costruzione delle strade, per conquistare e controllare l’impero.

Dal punto di vista epistemologico, abbiamo due grandi correnti di pensiero: quella greca che ritiene l’uomo forestiero in questo mondo perché la sua anima appartiene al mondo dello spirito, il suo corpo o anche il mondo è un alloggio temporaneo, la sua anima raggiungerà la patria celeste dal momento che questo mondo gli è estraneo e ostile. La seconda (ebraica) ritiene che l’uomo è stato allontanato da Dio a causa del peccato: l’uomo è diventato estraneo al suo mondo e ora deve andare pellegrino, in un mondo ostile, alla ricerca del riscatto. Comunque vada, l’ostilità è un punto fermo, che mette angoscia. In ogni caso le due correnti hanno generato una religione del cammino, si cammina alla ricerca di sé stessi; i modi culturali per orientare il cammino sono tanti: chi dice di partire, di staccarsi da ogni dipendenza, percorre un cammino interiore, verso un’autoanalisi che lo conduce alla purificazione del cuore.

La peregrinatio è il presente, l’abitazione è il futuro, si cammina verso la casa celeste per tutta l’esistenza terrena. Camminando bisogna disfarsi dei ruoli che si recitano, delle maschere che sfigurano il vero essere, abbandonare la collera e l’agitazione. Le azioni sono facilitate dal cammino esteriore, dall’atto stesso, questa è l’opinione anche di Kierkegaard: camminare fa sperimentare la capacità del cambiamento continuo, e questo dà forza per arrivare puri alla meta.

Vi è anche la tipologia del camminare contro: lasciare la casa e le origini, lasciare sé stessi, combattere con regole ferree le tentazioni e conquistare il diritto al ritorno alla vera casa.

Jung definisce il cammino: “un’immagine della nostalgia, dell’ardente desiderio che mai si placa e non trova da nessuna parte il proprio oggetto, della ricerca della madre perduta”. La ricerca nostalgica dell’originario non è vista come regressione, bensì come progressione verso l’ardente desiderio di una sicurezza ultima e definitiva.

Anche Dante vede la vita come cammino (Nel mezzo del cammin di nostra vita…), ma è necessario, che a un certo punto ci sia una verifica, una inversione di rotta, un cammino interiore, un cammino che generi: “un individuo psicologico, cioè una unità particolare, indivisibile, un tutto” (Jung).

La strada per realizzare sé stessi è stata percorsa nel senso di andare contro la gente, conquistarla, liberarla dall’ignoranza, dal peccato. Nel senso di andare verso la gente, conquistarla alla civiltà, annunciando la buona novella. O anche nel senso di allontanarsi da tutto, preservare, nel deserto o nei conventi, la civiltà, la luce e il messaggio dai pericoli della gente. Questi movimenti sono stati di conquista autentica, di incontro, di riflessione, pensiamo, a esempio, a Madre Teresa, Carlo Carretto, Edith Stein. Pensiamo all’angoscia di rimanere chiusi nel labirinto, al cane legato alla catena o semplicemente bloccati dal traffico cittadino. Pensiamo al terrore di chi non sa che strada prendere: trovare una strada, ritrovare una strada, costruire una strada, saper perdere una strada sono antidoti all’angoscia. Il cammino non esclude la paura, l’imprevisto, il pericolo, l’ignoto, anzi, esso esclude solo, forse, la paralisi della stasi; il resto è la capacità di convivere e affrontare lo sconosciuto, incontrandolo o evitandolo.

Nel cammino si sperimenta: “la palpitante vita interiore,.. la spontaneità dei sentimenti, trattasi di gioia, di bramosia, d’amore, d’ira, di disperazione…, la fonte degli sforzi della volontà; è la capacità di desiderare e di volere; quella parte di noi che vuole espandersi e svilupparsi e realizzarsi. Determina le reazioni di spontaneità ai nostri sentimenti o pensieri, accogliendoli o opponendovisi, appropriandosene o liberandosene, lottando con essi o contro di essi, pronunciando un sì o un no” (K. Horney).

In sintesi: oggigiorno si enfatizza l’attività fisica. Di qualche giorno è la notizia che può essere una prescrizione medica detraibile fiscalmente. Da parte mia, vedo spesso una forsennata moltitudine che pratica attività disparate: niente da dire, ma se essa non si aggancia anche a una attività interiore rischia di migliorare lo stato fisico, ma indebolisce quello interiore. Chi può torni a una attività artigianale o agricola, anche semplicemente come hobby.

campomonticchio@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'autore

Romeo Pulsoni
Romeo Pulsoni (campomonticchio@gmail.com) è medico, esperto di fisica delle particelle, contadino, coofondatore nel 1988 con Giovanni Bollea di “ALVI” (Alberi per i vivi), e già docente a contratto dell’Università dell’Aquila. Nel 2009 è stato responsabile sanitario dei territori identificati come COM 1 (L’Aquila Città) e COM 4 (area tra Pianola e Celano) per l’emergenza sisma. Questa funzione, svolta per l’intero periodo emergenziale, comprendeva la gestione della Sanità pubblica, dell’Igiene pubblico e ambientale, dell’organizzazione dell’assistenza, della vigilanza e controllo delle attività commerciali e produttive. Per tale impegno è stato insignito della Medaglia d’argento per la Sanità pubblica dal Presidente della Repubblica.