Alessandra Marchi è una antropologa, addottoratasi in Antropologie sociale all’EHESS di Parigi, studiosa di Gramsci e in questo libro affronta il tema della conversione all’Islam in Italia e in Europa attraverso il sufismo. È un libro bello e utile, rigoroso e denso di notizie e riflessioni teoriche. Un testo che intende studiare la diffusione del sufismo nell’Europa, soprattutto l’Europa del Sud quella mediterranea. Tema poco frequentato in Italia. E per questo il libro di Marchi suscita attenzione. Non solo sul sufismo, ma anche più in generale sull’Islam, così spesso oggetto di stereotipi occidentalisti che fanno di quella islamica una religione violenta e aggressiva. Inoltre, l’Autrice propone una valutazione politica della conversione. Il tema della conversione, superando per definizione il Grand Partage “Noi”-“Loro”, consente a Marchi di andare oltre un’altra scissura quella tra Spirito e Politica; in realtà forse più Engels e Gramsci che Marx, consideravano la religione l’anticamera della politica. Basti guardare alla situazione italiana che vede il Cristianesimo e il Cattolicesimo come terreno di lotta politica: non è un caso che in questo paese è nato il termine “cattocomunista”.
Il primo capitolo è intitolato Storie dell’islam in Europa: dai “rinnegati” alla colonizzazione. Nelle sue analisi storiche Marchi dialoga con Prosperi, sulla confessione; Scaraffia, sull’identità occidentale; Cerulli, Bausani, Rodinson e Cardini, sul rapporto dell’Europa con l’Islam; e si confronta anche con le prime edizioni del Corano, tradotte e studiate come libri vietati perché considerati eretici.
Un ventaglio di studiosi amplissimo caratterizza l’intero libro, sono citate tutte opere pertinenti lo specifico argomento che Marchi studia, a testimonianza del rigore scientifico con cui lo fa. L’Autrice parte dalla definizione di sufismo: il termine traduce l’arabo tarasawwuf, che sta a designare la prima dottrina mistico-esoterica dell’islam, attraverso la quale il fedele sperimenta l’unione con Dio.
Ciò che caratterizza la diffusione del sufismo è la sua capacita di adeguarsi ai contesti. L’occidentalizzazione del sufismo sta nel fatto che esso si trasforma adattandosi ai singoli Paesi, e ciò è tutto nell’analisi che Marchi fa dei primi convertiti, i cosiddetti “rinnegati” del lessico cristiano. Rinnegati anche da molti studiosi, ma non da lei, che piuttosto fa la storia di costoro. Non dimentichiamoci le crociate e i tentativi epistolari di convertire al cristianesimo i sultani ottomani.
Nel secondo capitolo, intitolato Traiettorie mediterranee. Percorsi di conversione all’islam: dall’ anticolonialismo alla ricerca spirituale si procede a una attenta analisi del periodico “Il Convito” rivista filo-islamica e anticolonialista in cui si propongono anche gli articoli di Ivan Aguéli, un pittore anarchico nato in Svezia e trasferitosi poi in Francia per studiare pittura a fine Ottocento. E qui comincia la fine tessitura delle biografie. Che intrecciano percorsi di vita e percorsi dello spirito sui quali Marchi esplora “i modi un cui la conversione all’islam abbia contribuito a modellare le idee politiche e viceversa, nella misura in cui una consapevolezza politica e/o forme di attivismo e militanza possano aver influenzato e spinto la ricerca spirituale quale alternativa al modello predominante nel proprio ambiente”. È questa “alternativa al modello dominante” che rende questo contributo originale, perché la conversione è vista come esperienza critica verso l’Occidente.
Poi c’è la conversione di Isabelle Eberardt e soprattutto di Leda Rafanelli, che fu amante del giovane Mussolini. Figure anticonformiste che del viaggio in Oriente hanno fatto un sovvertimento dell’ordine costituito e una presa di posizione anticoloniale e antiromantica. Anche quando il viaggio, come nel caso di Rafanelli, è messo in dubbio, esso è comunque un “comune espediente narrativo” poiché serve a connotare politicamente la conversione come la posizione di chi sta con la minoranza religiosa subalterna contro l’egemonia occidentale rappresentata dal Cristianesimo. Inoltre se vi si aggiunge Valentine de Saint Point vi è anche la nota di genere femminile e femminista a declinare l’indole politica della conversione, la sua vocazione.
Questo si evince dalla linea seguita dall’Autrice e viene confermato anche dalla prefazione di Thierry Zarcone, noto studioso francese di questi temi nato in Tunisia, il quale sostiene che è interessante la riflessione generale sul rapporto conversione e politica di Marchi in quanto rappresenta una novità rispetto agli studi precedenti sull’argomento. E concordo perché penso che una lettura politica dello spiritualismo e del mutamento di sé che soggiace alla conversione sia il contributo più interessante del libro.
Nel caso della conversione di Valentine de Saint Point le due f, futurismo e femminismo, costituiscono i prodromi della ricerca spirituale della donna. Spiritualità e politica si incontrano spesso in questo libro fin dall’incontro di Valentine con René Guénon al Cairo, influencer dei primi decenni del Novecento che agi, malgré soi (non si disse mai convertito), su diverse conversioni europee. Guénon andò a vivere il resto dei suoi giorni nella capitale d’Egitto che anche in questo caso, come in quello di Rafanelli, si stabilì come patria culturale elettiva.
Nel capitolo terzo, intitolato La conversione all’islam sufi. Una prospettiva storica e antropologica viene delineato il panorama storico-antropologico sul sufismo islamico nel quale si muove Marchi: la nozione di conversione usata dall’Autrice è complessa e problematica, la sua è una scienza dei contesti che rendono la nozione variabile: Marchi sta spiegando l ‘approccio etnografico, infatti il Gramsci che la accompagna qui è il Gramsci “antropologo critico”, che scrive: “l’inizio della elaborazione critica è la coscienza di quello che è realmente, cioè un ‘conosci te stesso’ come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario. Occorre fare inizialmente un tale inventario” (Gramsci Q 11, §12, p. § 1376). L’inventario di cui parla Gramsci è, secondo me, l’antropologia, la scienza che sa interrogare il corpo per farne appunto l’inventario delle tracce che la storia lascia su di esso. Questa scelta della citazione, di là dalla pertinenza, la dice lunga su questo, stante che Marchi è un’antropologa esperta di questo autore.
Marchi cita anche il Gramsci della religione intesa come molteplicità di religioni: “Ogni religione, anche la cattolica (anzi specialmente la cattolica appunto per i suoi sforzi di rimanere unitaria “superficialmente”, per non frantumarsi in chiese nazionali e in stratificazioni sociali ) è in realtà una molteplicità di religioni distinte e spesso contraddittorie. C’è un cattolicismo dei contadini, un cattolicismo dei piccoli borghesi e operai di città, un cattolicismo delle donne e un cattolicismo degli intellettuali anch’esso variegato e sconnesso. Ma nel senso comune influiscono non solo le forme più rozze e meno elaborate di questi varii cattolicismi, attualmente esistenti; hanno influito e sono componenti dell’attuale senso comune le religioni precedenti e le forme precedenti dell’attuale cattolicismo, i movimenti ereticali popolari, le superstizioni scientifiche legate alle religioni passate ecc.” (Gramsci, Q11, § 13, p. 13)
L’Autrice passa in rassegna poi le opere di Aguéli che peraltro sanno bilanciare nell’anarchia la razionalità con l’esoterico, l’egualitarismo e l’elitarismo. L’anarchismo e la conversione all’islam di Aguéli e Rafanelli hanno creato problemi in quegli studiosi che hanno individuato contraddizioni tra le due esperienze.
Gli ultimi due capitoli cioè il quarto e il quinto, intitolati rispettivamente Sociologia del sufismo in Europa. Un approfondimento sull’Italia e La scelta spirituale e politica. Le trasformazioni del sufismo contemporaneo in Occidente, vanno dal resoconto sociale del sufismo nell’Europa mediterranea con approfondimenti sulle confraternite italiane alle trasformazioni del sufismo in epoca attuale, e si va differenziando il concetto; infatti Marchi mostra come non esista un declinazione specifica della conversione sufi trattandosi di un percorso non evidente che nel caso del sufismo riguarda una minoranza rispetto ad altre dottrine islamiche.
Marchi segue gli aspetti politico-pubblici della conversione e quelli della soggettivazione individuale. La conversione ha infatti un momento pubblico e un momento personale e in questo legame tra le due esperienze sta il contributo più originale dell’Autrice che ritiene infatti la conversione “una delle parole chiave che hanno dominato la storia del mondo unificato dalle scoperte e ‘conquiste’ europee ed anche il passaggio verso una ‘verità’ nuova, da affermarsi soggettivamente”.
In Italia i/le musulmani/e sono oltre due milioni e circa 100.000 sono convertiti/e. Il caso italiano, che vede numerose confraternite sufi, è emblematico di queste conversioni spirituali e politiche che percepiscono l’Europa e in genere l’Occidente come terreno di alienazione. “Farsi musulmano/a” consente di evitare un “malessere culturale”, un disadattamento. È la sensazione di qualcosa che manca nella propria cultura. Leda Rafanelli dichiarava al suo Mussolini, che lei era convertita e fedele dell’islam, una religione che, anche rispetto ai suoi compagni anarchici, la metteva in pace sul sociale.
Si nota, nella scrittura, che l’Autrice di questo testo è un’antropologa e una studiosa del pensatore politico sardo, da come problematizza i concetti e svolge le sue analisi critiche anche sulla storia. Soprattutto dall’accento che pone sui processi di trasformazione, della persona e della società sub specie aeternitatis.
Tra tantissime cose, Gramsci afferma anche che la Chiesa cattolica è tra le istituzioni intellettuali quella che più fa egemonia e quindi politica. Anche perché, chiosa Marchi, “la causa dell’unità religiosa cristiana è stata per molto tempo quella dell’unità dello Stato” italiano, osservato in quel “processo di costruzione di una supposta identità culturale nazionale ed europea”. La conversione è definita dall’Autrice come un “processo di costruzione di sé e dell’altro/a che necessita di termini di confronto e opposizione e di frontiere da cui guardare all’altro da sé”.
Fu lo stesso padre della antropologia italiana, Ernesto de Martino, a occuparsi, in dialogo con Gramsci, di religione e politica, di “teopolitica” si direbbe parafrasando il politologo tedesco Carl Schmitt. Marchi è, come si diceva all’inizio, una antropologa gramsciana e quindi è demartiniana di default e le parole di Gramsci sulle “due coscienze teoriche (o una coscienza contraddittoria)” dell’essere umano, sulla depsicologizzazione del sé visto, piuttosto, come “lotta di “egemonie” politiche e come “unità di teoria e pratica”, sulla religione italiana e sull’“inizio dell’elaborazione critica” , la accompagnano sempre nei suoi percorsi scientifici, fino al punto da condurla, in questo caso, a “leggere i percorsi biografici e collettivi che portano al sufismo, come ad altre vie di realizzazione spirituale, etica e politica”. D’altronde, se una cosa Gramsci ci insegna è proprio la biografia come etica. O l’etica è biografica o semplicemente non è: il libro più bello fra le decine di migliaia di pubblicazioni apparse su Gramsci (autore italiano su cui si sono versati e si versano fiumi di inchiostro) è infatti Vita di Antonio Gramsci di Giuseppe Fiori, scrittore e giornalista sardo.
L'autore
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Giovanni Pizza è professore ordinario di Antropologia medica e culturale presso il Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione (FISSUF) nell’Università di Perugia e direttore della Rivista “AM” della Società italiana di antropologia medica (SIAM), ora pubblicata in open access. Tra i volumi monografici curati vi sono: Figure della corporeità in Europa (“Etnosistemi, Processi e dinamiche culturali”, A. V, N. 5, CISU, Roma 1998); con H. Johannessen, Embodiment and the State. Health, Biopolitics and the Intimate Life of State Powers (“AM. Rivista della SIAM”, N. 27-28, Argo, Perugia-Lecce 2009); con A. F. Ravenda, Presenze internazionali. Prospettive etnografiche sulla dimensione fisico-politica delle migrazioni in Italia (“AM. Rivista della SIAM” N. 33-34, Argo, Perugia-Lecce 2012) ed Esperienza dell’attesa e retoriche del tempo. L’impegno dell’antropologia nel campo sanitario (“Antropologia Pubblica”, V. 2, N. 1, Clueb, Bologna 2016). È Autore di numerose pubblicazioni, tra le quali i seguenti libri: L’antropologia di Gramsci. Corpo, natura, mutazione (Carocci, Roma 2020); Il tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura (Carocci, Roma 2015); La vergine e il ragno. Etnografia della possessione europea (Quaderni di Rivista Abruzzese, Lanciano 2012); Antropologia medica. Saperi, pratiche e politiche del corpo (Carocci, Roma 2005); Miti e leggende dei pellerossa (Newton Compton, Roma 1988).
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