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Comprendere Virginia Woolf

 Considerando l’attuale panorama politico e (pseudo)culturale italiano, il libro di Bruna Mancini, Violenza di genere in Orlando di Virginia Woolf passando per A Room of One’s Own e Three Guineas, edito da Mimesis, potrebbe essere interpretato da alcuni come un’espressione della cosiddetta “teoria gender”. Ma, com’è più o meno noto, questa ‘teoria’ è solo un costrutto della destra populista e del cattolicesimo tradizionalista, creato per manipolare e distorcere la realtà. Al contrario, invece, il volume di Mancini intende mettere in luce una verità storica profondamente radicata: quella delle vittime delle norme socioculturali patriarcali e della violenza di genere, una problematica che non riguarda esclusivamente le donne, ma deve essere considerata in una prospettiva inclusiva e ampia (cfr. p. 15). La violenza di genere nasce dal rifiuto dell’alterità e dal desiderio di annientarla, perpetuando una struttura gerarchica e dominatrice tra i generi, e colpisce anche individui omosessuali, bisessuali e transessuali. Non a caso la costruzione dell’identità maschile spesso si fonda su tale rifiuto e sulla negazione della femminilità e, in tutto il mondo, le donne subiscono discriminazioni semplicemente per il loro essere donne, ossia per non essere uomini e rappresentare qualcos’altro rispetto all’uomo. Allo stesso modo, coloro che non si conformano alle norme di genere tradizionali sono frequentemente vittime di violenza perché sfidano le convenzioni sociali. Questa violenza si manifesta in molteplici forme: discriminazioni lavorative, bullismo, aggressioni fisiche e verbali, molestie, violenze sessuali e psicologiche, e omicidi. Le aggressioni contro omosessuali, bisessuali e transessuali non sono solo crimini d’odio basati su pregiudizi, ma anche espressioni di relazioni di potere tra i generi. Il lavoro di Bruna Mancini parte dalla denuncia di queste forme di violenza per poi invitare a una riflessione critica sulle radici culturali e storiche di tali fenomeni, sollecitando una maggiore consapevolezza e una trasformazione delle dinamiche di potere e delle norme socioculturali che perpetuano la discriminazione e la violenza di genere. Già autrice di numerosi volumi e saggi su temi affini, tra cui Spazi del femminile nelle letterature e culture di lingua inglese fra Settecento e Ottocento (Mimesis, 2020), Mancini, attraverso la sua erudita e coinvolgente monografia, offre un contributo significativo per rigore accademico e chiarezza espositiva, arricchendo il dibattito sulla violenza di genere con una prospettiva storica e culturale ben elaborata. Principalmente, esplora “la questione della violenza di genere nella ariostesca (auto)biografia fittizia intitolata Orlando (1928) di Virginia Woolf e in due saggi molto noti che continuano a offrirci spunti di riflessione: A Room of One’s Own (1929) e Three Guineas (1938)” (p. 20). Ogni capitolo del volume è intitolato con il nome dei personaggi femminili woolfiani esaminati, tra cui Judith Shakespeare, Orlando, Mary Kingsley e Sophia Jex-Blake. L’approccio di Mancini è, dunque, quello di un’analisi approfondita e intertestuale che permette di svelare le connessioni tra le opere letterarie di Woolf e le dinamiche della violenza di genere. Si mostra come Woolf, attraverso i suoi personaggi e le sue narrazioni, metta in luce le esperienze di oppressione e discriminazione subite dalle donne e dalle minoranze sessuali. In particolare, si esamina come Judith Shakespeare, figura immaginaria che rappresenta la sorella del drammaturgo, incarni il genio femminile soffocato dalle restrizioni patriarcali; Mary Kingsley e Sophia Jex-Blake, invece, sono analizzate per la loro rilevanza storica e per il modo in cui le loro vite e opere sfidano le convenzioni del tempo; Orlando, protagonista dell’omonimo romanzo, offre lo spunto maggiore per riflettere sulla fluidità di genere e sull’irriducibilità dell’identità individuale alle rigide categorie sociali. Coerentemente con la sua chiave di lettura, Bruna Mancini attribuisce a Orlando sia la forma grammaticale al maschile singolare che quella al femminile singolare quando si rivolge al personaggio in generale, usa una sola delle forme grammaticali laddove, nel brano a cui si fa riferimento, Orlando è specificatamente uomo o donna (cfr. p. 38).

Attraverso una struttura ben articolata e incisiva, Mancini dunque costruisce un discorso che non solo illumina le opere di Woolf, ma le colloca anche in un contesto più ampio di critica sociale e di genere. Questo è particolarmente evidente nell’analisi di Orlando, pubblicato l’11 ottobre 1928, che si inserisce temporalmente tra due delle opere più significative di Woolf, To the Lighthouse del 1927 e The Waves. Orlando è celebre per essere stato scritto in onore dell’amata di Virginia, Vita Sackville-West, una nobildonna sposata con Harold Nicolson e madre di due figli. Nigel Nicolson, il maggiore dei figli ed esecutore testamentario della madre, ha anche pubblicato nel 1974 Portrait of a Marriage, un’opera che offre una narrazione dettagliata dell’esistenza di Vita Sackville-West. Il romanzo si focalizza sia sulla relazione con la sua amante più significativa, Violet Trefusis, sia sul complesso rapporto con il marito Harold. Ma Nicolson evidenzia, più di ogni altra cosa, come Orlando abbia rappresentato per Vita una consolazione straordinaria rispetto alla sua condizione femminile, descrivendo l’autobiografia fittizia come la più lunga e affascinante lettera d’amore mai scritta nella storia della letteratura.

Partendo da queste certezze, Bruna Mancini, con la sua monografia, sottolinea in modo icastico – e forse unico nel panorama della critica woolfiana in Italia – come la scrittrice di Orlando sviluppi chiaramente un ‘discorso queer’. Orlando, infatti, può essere letto da molteplici prospettive, ma principalmente attraverso una visione femminista, transgender e omosessuale, che rientrano per l’appunto nel ‘termine ombrello queer’. L’opera rappresenta un insieme di deviazioni dai confini generalmente percepiti in un tessuto sociale tradizionale. Non a caso, “nel romanzo di Woolf si coglie ogni occasione per attaccare e schernire le forme di conformismo e pregiudizio legate al binarismo di genere” (p. 73), portando Orlando a considerare sia un sesso che l’altro come deplorevoli e meritevoli allo stesso tempo (cfr. p. 74) e anche “in A Room of One’s Own Virginia aveva affermato che due sessi fossero inadeguati a rappresentare la vastità e la varietà del mondo” (p. 83).

È indubbio che il discorso queer sia affrontato da Virginia Woolf nella maggior parte delle sue opere, come emerge chiaramente dalle analisi di Bruna Mancini. Tuttavia, molti critici in Italia continuano a rifiutarlo e nelle traduzioni contemporanee spesso non appare o viene consapevolmente celato. Già nel 2012, ad esempio, la traduttrice – per un’edizione Einaudi – Anna Nadotti ha evidenziato la censura dell’erotismo lesbico in Mrs Dalloway, rilevando che, per oltre mezzo secolo, quindi nelle traduzioni disponibili in Italia tra il 1946 e il 1989, Sally baciava un fiore anziché l’amica Clarissa. Sì, perché – per quanto incredibile – la scena cruciale del romanzo, in cui Sally Seton e la protagonista si scambiano un bacio sulle labbra, è stata sostituita nella traduzione italiana con un bacio casto e insensato sui petali di un fiore. Il testo originale recita: “Sally stopped; picked a flower; kissed her on the lips” (“Sally si fermò; colse un fiore; la baciò sulle labbra”) ma la traduzione del 1946 riportava: “Sally si fermò, spiccò un fiore, lo portò alle labbra e lo baciò”. Questa rimozione non solo ha depotenziato l’intensità erotica della narrazione, ma ha anche cancellato la centralità diegetica di quello che Clarissa ricorda come “il momento più bello di tutta la sua vita”, un episodio cruciale per la comprensione del romanzo. La traduzione censurata del 1946 è stata persino riproposta negli anni Ottanta nell’edizione Mondadori a cura di Sergio Perosa, che nel suo saggio introduttivo, tra l’altro, non menziona né il lesbismo né la censura operata sul testo. Solo nel 1989, con la traduzione Feltrinelli di Nadia Fusini, il bacio tra Clarissa e Sally è stato restituito al pubblico italiano, sebbene la questione sia stata trattata ‘con discrezione’, vale a dire come – per la maggior parte degli italiani ancora oggi – andrebbero trattate vicende del genere. Anche nelle successive traduzioni, inclusa quella del 2012, il tema è stato affrontato con una certa cautela. È interessante notare che, nonostante la disponibilità delle traduzioni rivisitate e corrette, la lettura eterosessuale del romanzo, che enfatizza quindi un triangolo amoroso tradizionale e la scelta di Clarissa di sposare Richard Dalloway anziché Peter Walsh, continui a prevalere in Italia. Questo approccio tende a minimizzare o sopprimere del tutto il rilievo del tema lesbico nel romanzo. Ma il problema della traduzione è solo una manifestazione superficiale del problema più profondo che s’intravede tra le righe dello studio di Bruna Mancini: il fatto che sia stata effettuata una simile censura indica che in Italia non si è pronti ad accettare una lettura femminista di tutta l’opera woolfiana, portando avanti così l’idea che le donne debbano conformarsi a determinati ruoli seguendo le regole del binarismo sessuale dettate dalla società patriarcale. In ambito anglofono, invece, la lettura dell’opera è significativamente diversa, non solo nell’Accademia ma anche tra il vasto pubblico. Basti pensare, ad esempio, che nella puntata del 3 luglio 2014 del programma culturale della BBC Radio 4, In Our Time, dedicato a Mrs Dalloway, il conduttore Melvyn Bragg discute con Jane Goldman, Hermione Lee e Kathryn Simpson, tra le maggiori studiose di Woolf, dell’importanza del lesbismo, della scena del bacio e del personaggio di Sally Seton.

Questa differenza di approccio sottolinea come il contesto culturale e sociale influenzi la ricezione e l’interpretazione delle opere letterarie, evidenziando l’importanza di una prospettiva critica che tenga conto delle diverse sfaccettature e delle implicazioni di genere presenti nei testi di Woolf. Bruna Mancini porta in Italia questa lettura di Virginia Woolf più aderente alla realtà dei fatti, facendo emergere la sua portata trasgressiva e potente e liberandola finalmente, dopo decenni di critica distorta, dall’etichetta riduttiva di donna suicida e pazza – termini, tra l’altro, abitualmente attribuiti alle donne con troppa facilità. Virginia Woolf, più che essere semplicemente “pazza”, era una donna “con un profondo spirito critico e introspettivo” (p. 72), che soffriva per la mancata comprensione e il disconoscimento della sua persona e del suo valore nella società. La sua tragica decisione di togliersi la vita non può essere ridotta a un segno di debolezza; piuttosto, rappresenta l’esito doloroso di una lotta interiore con il peso delle aspettative sociali, delle limitazioni imposte alle donne del suo tempo e delle sue battaglie personali.

Woolf ha lasciato un’eredità letteraria immensa, testimoniando attraverso le sue opere la complessità dell’esperienza umana e sottolineando la necessità di una più profonda empatia e comprensione verso chiunque si senta emarginato o non riconosciuto. A Bruna Mancini il merito di guidarci finalmente alla scoperta di questo prezioso lascito.

maurizio.basili@unich.it

L'autore

Maurizio Basili
Maurizio Basili
Maurizio Basili è nato a Roma nel 1980. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università degli studi di Cassino e ora è docente a contratto presso vari atenei italiani; si occupa principalmente di Letteratura Svizzera. Ha pubblicato una storia della letteratura svizzera dal 1945 ai giorni nostri, una monografia sullo scrittore svizzero Thomas Hürlimann e saggi su altri autori come, ad esempio, Robert Walser. Inoltre la sua raccolta di poesie Le occasioni v'hanno create ha ottenuto il Premio "Città di Penne-Fondazione Piazzolla" come "miglior opera prima" nel 2010.