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Agli albori del mondo moderno

La primavera, a Parigi, si apre con due mostre dedicate agli albori della Modernità.
«Re voir Van Eyck. La Vierge du chancelier Rolin», al Louvre, e «Les arts en France sous Charles VII (1422-1461)», ospitata nelle sale del Musée de Cluny, presentano allo spettatore un’interessante retrospettiva sulla pittura franco-tedesca di inizio Quattrocento. Il capolavoro di Van Eyck, La Madonna del cancelliere Rolin, interamente restaurato e riportato ai suoi originali, sgargianti colori, è al centro della mostra del Louvre; un po’ più lontano, nel quartiere latino, il Musée du Moyen Age raccoglie fonti manoscritte e visive nell’intento di ricostruire il complesso processo evolutivo delle arti figurative e scultoree nel XV secolo e, allo stesso tempo, di illustrare il profondo cambiamento nelle politiche civili e religiose iniziato con Filippo il Bello e portato avanti, in Francia, da Carlo VII e Luigi XI. Le due rassegne sono strettamente legate agli studi di Louis Courajod e all’esposizione «Primitifs francais», allestita al Louvre nel 1904. Gli studi pionieristici dello storico dell’arte parigino avevano avuto come risultato, tra gli altri, quello di riconsiderare il primato assoluto ed esclusivo dell’Italia nello sviluppo dell’arte rinascimentale, affiancandole la Francia e le Fiandre quali centri culturali e artistici essenziali per la fioritura della forma artistica della Modernità. Sono gli stessi curatori dell’esibizione del Musée du Moyen Age a porre il proprio lavoro in continuità con gli studi Courajod, mettendo in luce la rigogliosa proliferazione delle forme del fare – e dei loro maestri – sotto l’egida di Carlo VII e del suo entourage, allo scopo di dimostrare che «S’il est bien évident que la France de la fin de la guerre de Cent Ans ne se distingue pas par un vitalité économique extraordinaire […], elle ne constitue pas pour autant une page blanche dans la création artistique».
La stessa idea è alla base «Revoir Van Eyck»: le opere con le quali si conclude l’esposizione di Cluny, la Digne vesture au preste souverain e La dama inginocchiata di fronte alla Vergine e al Bambino del Maitre des Heures Collins, ci collegano direttamente alle stanze del Louvre, come se il nostro sguardo fosse in grado di seguire un filo di antica memoria lungo le rive della Senna. Lì, La Vergine del cancelliere Rolin si erge maestosa, con attorno, per citarne solo alcuni, capolavori quali il Nicolas Rolin in preghiera di Van der Weyden e l’Annunciazione dello stesso Van Eyck, opere che riprendono perfettamente, in stile e contenuto, i capolavori di Heures Collins. È proprio questo secondo elemento, ancor prima di quello estetico-figurativo, a tessere il filo conduttore che lega le due mostre parigine: da Heures de Collin a Van Eyck, di fronte alla Vergine e al Bambino, inginocchiata nella sacralità della preghiera, troviamo l’autorità secolare, umile eppure sicura di fronte alla grandezza del Divino.


L’immane potenza normativa delle immagini ci racconta – all’ombra della Guerra dei Cent’anni» e delle politiche militari, che pure furono centrali per l’ingresso in quella che, convenzionalmente, chiamiamo Modernità – la trasformazione di un potere, quello dell’autorità secolare, che portò ad una progressiva ridefinizione del proprio ruolo rispetto a sé stesso, all’Impero e, soprattutto, all’autorità del Vescovo della Chiesa di Roma.
Iniziata con la cattività avignonese e portata avanti con il Concilio di Basilea e con la promulgazione della Prammatica santione, la sistematizzazione del potere temporale in Europa porterà ad uno stravolgimento nell’ordine romano, che sarà costretto a barcamenarsi tra campagne repressive e alleanze strategiche e a riconsiderare progressivamente la linea difensiva messa in atto contro le eresie e gli attacchi diretti al dogma della Chiesa. Grado Merlo fa risalire l’inizio di questa trasformazione del potere non religioso alla fine del medioevo e agli episodi di «patrimonializzazione della Chiesa», espressione che si riferisce al fenomeno dell’ecclesia propria, ma che, in senso più ampio, potremmo utilizzare per indicare la progressiva sovrapposizione, a livello locale, di potere politico e religioso e la conseguente nascita di fazioni interne al clero fedeli all’autorità signorile e, spesso, contrarie all’egemonia romana. Più ci si allontana da Roma, più il ruolo della Sede apostolica perde di centralità e il sistema centralizzato-romano che, seppur mai del tutto inattaccabile, aveva mantenuto forza e unità fino a quel momento, inizia ad indebolirsi. Se già il ritratto di Carlo VII di Jean Fouquet – il fulcro dell’esposizione al Musée de Cluny – stupisce per l’originalità della posa, frontale, che rimanda evidentemente allo schema iconografico dell’Imago Pietatis, è interessante come i curatori mettano l’accento sull’entourage del sovrano e ne sottolineino il ruolo fondamentale per la ridefinizione dell’ordine sociale e culturale del regno, dalla corte alle province.
Una miniatura estratta dagli Annales des capitouls de Toulous, l’Entrée de la reine et du Dauphin dans Toulous, è tra gli illustri testimoni del fermento politico e culturale legato al regno di Carlo VII, oltre che una chiara legittimazione del ruolo del successore designato, che fa il suo ingresso a Tolosa in rappresentanza del re, a fianco della reggente.
Ed è proprio attorno alla legittimità – più volte evocata con parole o immagini – che viene combattuta la battaglia contro Roma; ce lo ricorda Delio Cantimori in quel testo intramontabile che è Eretici italiani del Cinquecento: la classe intellettuale che si darà il nome di ‘Umanesimo’ inizia a riflettere sulle questioni teologiche e dogmatiche in maniera laica proprio perché comincia a rendersi conto dell’importanza che queste hanno sull’ordine politico e civile della realtà. La legittimità del sovrano e della classe politica di cui esso si circonda, non passa più per quel termine medio tra Dio e uomo che, fino alla fine del XIV secolo, era stata la Chiesa. Iniziano a diffondersi, la maggior parte delle volte su commissione, rappresentazioni di re, duchi o signori genuflessi di fronte alla Vergine: è esattamente questo il caso della Madonna del cancelliere Rolin, dove la posa devota del cancelliere non riesce a distrarci dalla ricchezza delle sue vesti, né dallo sguardo fiero, direttamente rivolto alla Madre di Cristo; completamente diverse appariranno le numerose rappresentazioni dell’incoronazione di Carlo Magno la notte di Natale dell’800, con Leone III che appoggia la corona sul capo del nuovo Imperatore.
Se immaginassimo di seguire quel filo rosso oltre le rive della Senna, al nostro arrivo troveremmo una forma nuova, frutto della ridefinizione del bipolarismo tra poteri che, fino a quel momento, aveva regnato sull’Occidente cristiano; ad accoglierci, in altre parole, ci sarebbe l’Era moderna.


Luigi XI, successore effettivo e ideale di Carlo VII, porterà avanti la campagna di emancipazione dal Roma sancita dalla Prammatica Santione e arriverà ad appoggiare Lorenzo de’Medici in uno degli atti di supremazia più violenti contro l’autorità papale: la richiesta di un concilio del clero toscano contro il potere di papa Sisto IV. La sempre maggiore indipendenza del clero locale, nella sua forte vicinanza all’autorità signorile, darà vita a movimenti di opposizione religiosa e dogmatica, di fronte ai quali la Chiesa dovrà ripensare la propria attività difensiva e di mantenimento di un’unità ormai vicina all’essere distrutta per sempre. In questa prospettiva, potremmo ipotizzare che il filo che abbiamo rincorso sin dall’inizio di questa riflessione si fermi a Wittenberg, tra le mani di Lutero, di fronte ad un pensiero teologico ordinario, reso straordinariamente potente da un’autorità secolare forte e da curia romana ormai troppo debole.
«Re voir van Eyck» e «Les arts en France sous Charles VII (1422-1461)» racconterebbero, allora, le prime tappe di questa trasformazione artistica, culturale e politica destinata a stravolgere la forma che, fino a quel momento, aveva assunto la realtà. Una cosa è certa, tuttavia: le stanze di Cluny e le gallerie del Louvre, quest’anno, si sono trasformate in una finestra sugli albori della Modernità.

benedetta.lazzeri@gmail.com

L'autore

Benedetta Lazzeri
Benedetta Lazzeri si è laureata in filosofia all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, è stata dottoranda di ricerca presso la facoltà di filosofia dell'Università Friedrich Schiller di Jena nel progetto GRK "Autonomie heteronomer Texte in Antike und Mittelalter" con il quale collabora ancora come affiliato esterno al collegio. Il suo lavoro di ricerca  si divide tra la filosofia teoretica e la filosofia delle religioni, con particolare attenzione alla Riforma protestante e all'influenza teologica e normativa del pensiero luterano e riformato nella tarda Modernità. Collabora con l'agenzia di stampa di Paolo Pagliaro 9Colonne, si interessa di politica ed attualità ed è appassionata di cinema.
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