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Dante in Africa. Dialogo con Enrico De Agostini

Dare vita alle porte dell’Inferno, a quello che è, di fatto, l’inizio del viaggio dantesco, il primo passo nell’ultraterreno; interpretare delle terzine che ormai fanno parte della nostra memoria collettiva, ma non farlo in Italia: portare Dante a fare un viaggio, in Zambia, è questo che hanno fatto Enrico de Agostini e l’Ambasciata italiana a Lusaka.

Enrico de Agostini, diplomatico di carriera dal 1991, è attualmente ambasciatore in Zambia. Attraverso infatti l’Ambasciata italiana e la Società Dante Alighieri a Lusaka hanno proposto un evento presso lo Zambian-Italian Cultural Center, basato su canto III dell’Inferno: Abandon All Hope, Ye Who Enter There!.

Una performance su cui vale la pena spendere due parole prima di iniziare l’intervista, anche solo per collocare l’altro grande protagonista, il Circus Zambia, fondato nel 2016 da artisti che, per la maggior parte, sono nati e cresciuti nel ghetto di Chibolya, e che ancora aiutano ragazzi che provengono proprio da quella realtà o da realtà simili a trovare un’alternativa, attraverso la possibilità di imparare l’arte circense. Una realtà che non è rimasta solo in Zambia, ma ha portato le varie performance anche negli Stati Uniti, in Etiopia, Giappone, Cina, nel Regno Unito e negli Emirati Arabi, e che ha accettato la sfida di interpretare Dante. Per la musica c’è stato il pianoforte di Chinatsu Fukushima Hirayama, e anche una canzone pop a sorpresa.

Lo spettacolo è stato registrato ed è reperibile nella pagina Facebook dell’Ambasciata.

La prima domanda riguarda un po’ la storia che ha portato a questa iniziativa, sicuramente una domanda di rito: come e quando è nata l’idea di portare Dante in Zambia?

Uno dei grandi punti di forza dell’Italia è la ricchezza del suo patrimonio culturale. È una cosa che noi italiani diamo per scontata, ma, a mano a mano che ci allontaniamo dai nostri confini, non è affatto così ovvia. Va spiegata, sviscerata sviluppata, se vogliamo sfruttarne appieno le potenzialità, se vogliamo far capire chi siamo. E farlo è una parte essenziale, direi fondamentale, della dimensione diplomatica.

Ecco perché il MAECI organizza ogni anno la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, ecco perché in tutto il mondo si celebra il Dantedì. Ma come farlo a Lusaka, in un posto dove non hanno nemmeno mai sentito parlare di Dante?

La fortuna – Dante direbbe la Divina Provvidenza – mi ha messo di fronte, lo scorso febbraio, i ragazzi di Circus Zambia, mentre mettevano in scena una loro interpretazione dell’Aldilà. E così ho pensato che fosse quella la chiave di volta: sfruttare le loro capacità corporee, e, soprattutto, la loro innata spiritualità, per rappresentare la nostra.

Un intero poema, ben cento canti a disposizione, perché scegliere il canto terzo dell’Inferno, e come è avvenuta questa scelta?

Il Canto Terzo è davvero spettacolare, scenograficamente parlando. La Porta dell’Inferno, Celestino V, Caronte sono tutte figure la cui forza drammatica è davvero formidabile. Dall’inizio alla fine, questo canto è ricco di colpi di scena e si presta benissimo all’adattamento teatrale.

Quanta attualità c’è nella scelta di raccontare il peccato d’ignavia?

Scelta? Quale scelta? Se Lei me ne attribuisse una, lo negherei decisamente, ma poi forse, Le darei ragione. La verità è che non ho ancora deciso…

Scherzi a parte, l’ignavia è davvero nell’aria, ovunque nel mondo. E, naturalmente, l’ignavia dei più si sposa alla tracotanza dei pochi. È sempre stato così, ma, a mano a mano che la tecnologia avanza – e il progresso recede – l’ignavia diviene più pericolosa.

“Il dolore fisico dell’anima dannata può essere dunque concettualizzato come la rivelazione e la manifestazione della propria essenza”, scrive Gragnolati nel suo libro Amor che move, sulla corporeità in Dante, mi sembra che questo concetto sia stato perfettamente rappresentato dalla performance in cui il corpo risulta il centro della narrazione, anche grazie alla collaborazione con il Circus Zambia. Perché il circo quindi, il corpo come linguaggio, e non una compagnia teatrale? Come è nata questa collaborazione?

Circus Zambia, con i suoi acrobati e contorsionisti, è stato fondamentale nella rappresentazione della corporeità dantesca. I ragazzi con cui ho lavorato nelle ultime settimane hanno subito compreso questo aspetto. Ma hanno anche capito, credo, i concetti profondi, il senso morale e il significato politico alla base del tormento. È questa la lezione, il messaggio che portiamo: l’interpretazione della natura umana, che non è cambiata di molto da settecento anni fa a questa parte.

Dante prende quindi vita attraverso il corpo, ma anche attraverso la lingua, i suoni: non è stato portato il testo in traduzione, ma la lingua viva di Dante, intervallata dall’interpretazione delle terzine in inglese, da cosa è nata questa scelta? Come è stata poi recepita dal pubblico in sala?

Il testo in inglese era disponibile in sala, ma credo che più importante della traduzione, (che comunque è in inglese arcaico, e quindi poco comprensibile ai più), sia stata la spiegazione, fatta prima di ciascuna scena. Illustrare in inglese al pubblico l’universo dantesco e quello che stava per succedere ci ha permesso di presentare i versi in italiano, con la loro musicalità e la loro forza poetica intatte. Era importante farlo perché Dante e la sua Commedia non rappresentano solo una tappa fondante della lingua italiana, ma anche uno dei pilastri più solidi della nostra identità nazionale. Noi siamo italiani in quanto abbiamo letto, abbiamo masticato e digerito Dante. Spiegare Dante a chi non ci conosce equivale, dunque, a spiegare noi stessi. Far loro sentire i versi di Dante è come far loro ascoltare il battito del nostro cuore. E lo hanno capito.

Dante in rosso e poi l’insieme indistinto dei dannati, tra tutte le figure spicca quindi l’unica maschera, la maschera di Caronte, quali sono state le ispirazioni per crearla?

Il caso. In questo caso, solo il caso. Qui in Zambia non c’è tanto da scegliere, una barba bianca per rappresentare le lanose gote non c’era, ma Caronte si doveva distinguere dagli altri, in qualche modo.

Alla luce anche della ricezione dello spettacolo, vorresti riproporre questa collaborazione con il Circus Zambia per altre performance, magari continuando anche il filone dantesco?

Sarebbe molto bello, sì. Che canto suggeriscono i lettori per la prossima rappresentazione?

L'autore

Emanuela Monini
Emanuela Monini
Emanuela Monini (1997) si laurea a Perugia in Filologia Romanza con una tesi riguardante le terzine provenzali della Commedia. Ha parlato ai convegni del ciclo Charun dimonio e l’immaginario mitologico dantesco, presso il MANU (Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria), portando le figure di Medusa e della Ruota della Fortuna. Le piace il Signore degli Anelli, e ha deciso di farne un tratto della personalità, si appassiona a problemi filologici ma solo se irrisolvibili, e ogni tanto scrive qualche poesia.