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Un poeta in ombra. Luce sull’opera di Maurizio Marotta

Non ricordo più chi abbia detto che un libro se non merita di essere riletto non merita neanche di essere letto, ma è una massima che faccio mia senz’altro mentre mi torna in mente dopo aver ripercorso – davvero non saprei dire quante volte – la chiaroscura, enigmatica e purtroppo postuma antologia poetica di Maurizio Marotta (Ombra da viaggio. Poesie 1983 – 2017, Giometti & Antonello, Macerata 2024, 200 pp.). L’ha curata, unendo la pietas per l’amico scomparso e l’intelligenza critica che gli è consueta Roberto Deidier, premettendovi un’intensa ricapitolazione della ai più sconosciuta vicenda esistenziale e letteraria dell’autore. Inconsueto è stato infatti il percorso poetico di Maurizio Marotta, segnato da un precoce esordio in pregevoli edizioni sullo scorcio degli anni ottanta cui ha fatto seguito un silenzio mai interrotto, fuori che in poche raffinate edizioni d’arte (le stampava a Salerno l’amico Gaetano Bevilacqua, un maestro) o in ottime riviste di esigua tiratura.

Ombra da viaggio. Poesie 1983 – 2017 mette assieme le due raccolte pubblicate (1989 e 1991) con quella che, rimasta invece inedita, avrebbe dovuto essere la terza stazione del poeta e il cui titolo è stato ora scelto per comprenderne l’intera opera, in un volume contenente anche un mannello di poesie disperse e una breve silloge di imitazioni (Afanasij A. Fet, Robert Frost, Emily Dickinson). Alla terza raccolta Marotta cominciò a lavorare già nell’85 e vi ritornò più volte negli anni a venire, se è vero che gli ultimi interventi attestati risalgono al 2014, senza mai decidersi a pubblicarla. Quanto autorizza a interrogarsi su quale fosse l’idea di poesia del giovane autore, quale il suo rapporto con quanto in quel torno di anni costituiva, in più direzioni, il rinnovamento operato dai poeti della sua generazione, quali i suoi dubbi, i dissensi, i motivi condivisi. L’Urbino in cui approda da studente fuorisede e si laure con una tesi su Penna discussa con Katia Migliori è luogo che ne favorisce il contatto con un ambiente letterario assai vivace e ricco di stimoli; è vicino alla rivista “lengua” e il suo primo libro esce con una cordiale prefazione di Gianni D’Elia che nel tracciarne un quadro letterario di riferimento ricorre ai nomi di Gatto e di Cattafi. E sono nomi ai quali saranno in seguito accostati quelli di De Libero e Bodini, secondo una linea di cauto “surrealismo meridionale” che certo Marotta ebbe presente, ma che non ne limita o esaurisce l’orizzonte, sicuramente lirico. Né manca la luce di Sandro Penna, seppure in termini antifrastici (“Dal vagone deserto dell’alba / escono rari i passi umani / incerti alcuni, altri / frettolosi a una meta.”), il cui influsso, sottraendolo a un “pennismo” interpretativo di maniera, mette bene in rilievo Deidier nella sua introduzione.

Fin dal titolo Ombre da viaggio – quasi endiadi del nicciano Il viaggiatore e la sua ombra – enuclea i due temi destinati ad animare le sue pagine, quali dramatis personae, dopo un surreale incipit posto a mo’ di emblema sotto le ali di wendersiani “arcangeli / che rischiano la vita ai cornicioni / e che non sanno dove andare con le scale”. Tale smarrimento, in continuità con quanto si respirava nelle raccolte precedenti  – “Mi porto dentro un viaggiatore oscuro” era il verso inaugurale della prima – sembra approfondirsi e al tempo stesso decantare in una misura stilistica volta a costituire la cifra riconoscibile dell’autore. Impressiona l’organizzazione del suo verso nell’articolare una sintassi non di rado complessa, scandita da iperbati e cesure, parche rime e calcolate allitterazioni, nei modi di un fraseggio che predilige il pianissimo, la sprezzatura, l’intarsio delicatamente condotto (“Perché finisce qui la nostra gita / se altra possibile meta / sembrava corrisposta per destino?”) È su questo terreno, sorvegliatissimo, e a queste condizioni, che l’autore può allora concedere la parola alla nostalgia e all’assenza, alla provincia e all’infanzia perduta (“Sono spariti i numeri a carbone / tracciati da un’infanzia sopra i muri”), alla fratellanza e alla lontananza (“Non scrivo che per voi, amici, e pensandoci / con quella verità che sola può raggiungervi presto.”) e appunto al viaggio e all’ombra. Ed è del pari interessante come alla luce di quanto ora pubblicato sia dato di vedere in che termini Marotta, accanto alla raccolta a cui continuava ad attendere, ponesse negli stessi anni mano ad altre tessiture, altre brevi articolazioni liriche che – se si eccettuano le piccole edizioni d’arte di cui s’è detto – si possono leggere adesso per la prima volta e si segnalano per il nitore ineffabile e personale della versificazione. Personale anche nell’andare incontro, severamente filtrandolo, a uno dei momenti alti, anzi altissimi della lirica del Novecento, quello che nelle coordinate numinose dell’acmeismo vide il sorgere della poesia di Osip Mandel’štam. Non va taciuto come costituisca merito non ultimo di chi ha curato questa antologia aver richiamato l’attenzione su tale punto, non ancora sfiorato da una critica fin qui, per la stessa storia e il “vivere discosto” del poeta, necessariamente episodica. Si tratta, come anche da questi brevi cenni si può evincere, di un nodo di grande rilievo che merita di essere approfondito e contribuisce a fare di questo singolarissimo autore volontariamente ma anche misteriosamente “in ombra” un caso tra i notevoli, e tutto da scoprire, della poesia italiana degli ultimi decenni.

marcovitale58@gmail.com

 

 

 

L'autore

Marco Vitale
Marco Vitale
Marco Vitale (Napoli 1958) vive a Milano dove al lavoro in biblioteca unisce la traduzione letteraria e le collaborazioni editoriali. Tra le sue traduzioni le Lettere portoghesi, Bur 1995, Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand, Bur 2001, Stanze della notte e del desiderio di Jean-Yves Masson, Jaca Book 2008, Miseria della Cabilia di Albert Camus, Nino Aragno Editore 2011. La sua poesia è raccolta nel volume Gli anni (Nino Aragno Editore 2018, premio Luciana Notari e premio Dino Campana 2019, premio internazionale Gradiva 2020) e comprende cinque volumi di versi.

È stato tradotto in tedesco da Maja Pflug (Ein Winter, Josef Weiss Editore, Mendrisio 2008) e in inglese da Barbara Carle (Emblems of Sleep, Gradiva, New York 2020). Collabora a “Cenobio”, a “Poesia”, a “Succedeoggi” e fa parte della redazione delle Edizioni di poesia Il Labirinto.

(foto di Dino Ignani)