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«Odi le spade orribilmente urtarsi». Dialogo con Teresa Agovino e Matteo Maselli

Teresa Agovino, addottoratasi in Letterature Romanze presso l’Università ‘Orientale’ di Napoli, attualmente insegna presso le università di Mercatorum (Roma), Telematica Pegaso (Napoli) e SSML Internazionale (Benevento). Esperta di Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri e del modello manzoniano nella letteratura del XX-XXI secolo. Ha pubblicato i volumi Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento; Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino); I conti col Manzoni (La scuola di Pitagora, Napoli) e “Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023) e «Sotto gli occhi benevoli dello stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, 2024)

Matteo Maselli è dottorando presso l’Università di Macerata con un progetto su Dante Alighieri. Si è formato a Bologna, dove è cultore della materia in Critica Letteraria & Letterature Comparate, e ha studiato alla University of Oxford e alla University of Notre Dame. Ha pubblicato saggi su Dante in riviste di fascia A e presentato gli esiti delle sue ricerche a convegni in Europa e in Nord America. È attualmente docente a contratto UniPegaso.

Innanzitutto, carissima Teresa e carissimo Matteo vi ringrazio per aver accettato di parlare al pubblico di Insula europea della vostra prima curatela Armi e Armature nella letteratura italiana, edito per Cesati Editore. Qual è stata l’ispirazione iniziale per il vostro libro e come è stato sviluppato il tema nel corso del tempo?

Questo volume nasce da un’idea di Giorgio Patrizi che, a seguito di un panel AdI (Congresso 2022, Foggia, Scenari del conflitto), pensò di raccogliere un maggior numero di studi critici incentrati sul ruolo preponderante dell’arma e dell’armatura nella letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri. Dal panel di cui dicevamo, il progetto si è poi dilatato esponenzialmente per mezzo di una Call for Papers che aveva originariamente riunito circa quaranta valide proposte, in seguito ridimensionate da una stringente peer review, finendo per inglobare quattordici ricerche complementari e pluridiscorsive. Giorgio è, purtroppo, scomparso proprio nelle prime fasi del progetto e, consultandoci con i direttori di collana (Pietro Gibellini e Raffaella Bertazzoli) abbiamo deciso insieme di proseguire nel suo ricordo, dedicandogli poi il lavoro. Arricchiscono il volume i preziosi contributi di Floriana Calitti e Rino Caputo che gentilmente ci hanno concesso squisite pagine di raffinata esegesi e che approfittiamo per ringraziare per la loro pronta disponibilità a collaborare, anche in ricordo dell’amico e collega che troppo presto ci ha lasciati. A tal proposito, ci teniamo a ringraziare sentitamente anche Daniela Carmosino e Gianluca Patrizi per essersi prodigati con estrema disponibilità nella ricerca, purtroppo infruttuosa, della bellissima introduzione che Giorgio Patrizi aveva approntato proprio in occasione del nostro panel AdI e che ci sarebbe piaciuto molto poter inserire nel volume. Seguendo un ordine quanto più possibile cronologico, si è proposto, quindi, un libro collettaneo che include, in quella che ci è sembrata la versione più versatile ed esaustiva possibile, ricerche inedite che spaziano dall’arma bianca alla bomba atomica, passando per pistole, fucili, cannoni, fino a estendersi ad armi figurate o non convenzionali come le saponette radioattive. Insomma, un processo lungo ed emotivamente faticoso, ma alla fine tanto soddisfacente per entrambi.

Quali contributi contiene Armi e armature nella letteratura italiana?

Il volume è il frutto di un vasto lavoro collettivo, che ha visto studiosi di ogni età collaborare su un tema comune. Dopo una breve Nota dei curatori, il testo si apre con l’approfondita introduzione sul tema di Floriana Calitti, per poi dividersi in due parti: la prima che va dalle Origini all’Ottocento e la seconda dedicata alla letteratura più recente (Novecento e anni Duemila). Noi curatori abbiamo contribuito con «Venne a la porta, e con una verghetta / l’aperse»: l’arma angelica e la conversio spirituale nella Commedia (Matteo Maselli) e «Lecito a ciascuno / è ciò che si guadagna con la spada». Sulla centralità delle donne armate nel Morgante (Teresa Agovino). Vi si trovano poi, in ordine cronologico, le ricerche di: Jennifer Gómez Esquinas, «Coverto d’arme fiammeggianti accese»: l’armatura di Alfonso d’Ávalos nel duello contro il dio Marte nelle Metamorfosi di Cariteo; Federica Maria Giallombardo, Il ricordo incancellabile del Sole.La simbologia dei riflessi sugli scudi; Tommaso Gennaro, «Durerà ancora tanto?». Duelli d’altri tempi e altri tempi dei duelli; Giampiero Giuseppe Marincola, «Con livree, con insegne e con cimieri». Armi e armature della «pace» nel c. XX dell’Adone di Giovan Battista Marino; dei direttori di collana Pietro Gibellini («Mejjo er cortello»: le armi nei sonetti e nella Roma di Belli) e Raffaella Bertazzoli (Coltelli e coltellacci: per una semantica dell’uso delle armi nell’opera di Giovanni Verga). La seconda sezione si apre con Roberta Colombo, «Un disguido bombardamentale». Le armi fanta-ironiche di Primo Levi e Juan Rodolfo Wilcock e prosegue con Giuseppe Marrone, Le armi della «parte sbagliata» nei romanzi di Giorgio Soavi, Giose Rimanelli e Carlo Mazzantini; Silvia Longhi, Giovanni Giudici e le armi di Achille; Salvatore Francesco Lattarulo, «Ma la rivoltella era in cima ai suoi pensieri»: il gioco adulto delle armi ne Il conformista di Alberto Moravia fra trasgressione e normalità; Daniela Bombara e Ellen Patat, Riscritture ‘bellicose’. Inferno di Ruijters e il videogioco Dante’s Inferno; Samuele Fioravanti, Armature e «identità cangianti» nella poesia italiana recente. Chiude una bella postfazione di Rino Caputo.
Ci fa molto piacere poter menzionare tutti i partecipanti in questa sede, perché senza il loro lavoro preciso e puntuale, questo libro non esisterebbe.

Con due ambiti di studio e formazioni tanto distanti (Matteo lavora su Dante, Teresa su Manzoni e la contemporaneità), da dove nasce la vostra collaborazione?

Ci siamo incontrati al convegno CAIS (Canadian Association for Italian Studies) 2022 e abbiamo iniziato a lavorare insieme nell’organizzazione di vari panel, nazionali e internazionali, tra cui proprio quello AdI dello stesso anno, in collaborazione con l’indimenticato Giorgio Patrizi. Quando il professore ha avanzato la proposta di un volume ci siamo detti che valeva la pena tentare anche una collaborazione editoriale. Pare abbia funzionato …!

Tornando al libro, qual è stata la strategia editoriale per assicurare una varietà di prospettive sul tema delle armi e armature nella letteratura italiana?

Accordatici, dapprima, con i partecipanti al panel AdI del 2022, abbiamo, innanzitutto, cercato di far circolare il più possibile la call. Questo ci ha dato modo di raccogliere, come dicevamo, moltissime proposte di vario tipo da diverse parti del mondo. Chiaramente non era possibile accoglierle tutte e abbiamo dovuto affidarci a un serrato processo di valutazione esterna che ci permettesse, alla fine, di ottenere lavori centrati sul tema, complementari tra loro e che coprissero il più possibile tutti i secoli della nostra letteratura. A conti fatti, ci manca solo il secolo XVIII che, purtroppo, non ha visto alcuna proposta ma nel complesso pensiamo di essere riusciti nel nostro intento iniziale … il resto è stato tutto un lungo e dettagliato lavoro di limatura e sistemazione editoriale, nel quale siamo stati eccellentemente affiancati dalla redazione di Cesati.

Matteo Maselli, secondo te in che modo l’interpretazione delle «armi angeliche» nella Divina Commedia potrebbe influire sulla comprensione della trasformazione del testo del poema in ottica spirituale?

La questione è molto delicata perché riguarda, come ho cercato di mostrare, un processo di trasformazione del senso che è intrinseco al modo in cui Dante pianifica la sua narrazione. Quindi forse è meglio spostare l’attenzione su questo aspetto, cioè sulla presenza di un sostrato di senso che è in attesa di essere svelato. Voglio dire che l’arma angelica di Inf. IX è semplicemente un’«occasione» – e non la norma – che credo Dante abbia sfruttato per ricordare ai suoi lettori, particolarmente attenti e predisposti a letture di «secondo grado», l’importanza della natura polisemica della sua Commedia. Ciò vuol dire che sono diverse le possibilità che, anche scenicamente, riproducono un’apertura verso significati ulteriori rispetto a quello letterale e, tra questi, certamente anche quelli spirituali. Data l’importanza della questione sono convinto che questa sia una delle sfide più urgenti nella dantistica – forse lo è fin dai primi commentatori – e sarebbe quindi auspicabile pianificare uno studio che possa portare a una ricognizione di questi passaggi di transizione del senso, certo non facile perché presuppone una solida conoscenza del retroterra biblico su cui poggia il poema di Dante (conoscenza, che, mi sento di dire, è indispensabile, insieme a una competenza sul repertorio delle fonti poetiche, per capire oggi la grandezza e il funzionamento della Commedia).

Teresa Agovino, nel tuo saggio discuti il ruolo delle donne armate nel Morgante. In che modo queste figure si distinguono nel poema pulciano?

Cerco di semplificare al massimo. Ho incontrato, nel poema pulciano, due categorie di donne: quelle armate e quelle disarmate. Laddove le seconde (con rarissime e motivate eccezioni, come nel caso di Florinetta) non godono di ampio spazio narrativo nel poema e, spesso, neanche del privilegio di un nome che le identifichi, le donne in armi diventano invece vere e proprie protagoniste della storia, al pari degli uomini con cui spesso si trovano a combattere (tanto al loro fianco che contro di loro). Ho voluto, quindi, indagare la centralità dell’abilità nell’uso dell’arma proprio in rapporto a queste figure e come una tale capacità di combattimento con la spada sia rilevante per queste guerriere, giovani e belle, che guadagnano così lo status di veri e propri personaggi, uscendo di fatto dal topos di fanciulle, senza storia, nome o voce utili solo in quanto soggetti anonimi «da salvare» per conferire un qualche valore al paladino. Ci sono poi le altre combattenti – amazzoni o gigantesse mostruose, come Creonta – che, pur non manifestando particolare grazia e bellezza fisica e morale, pure godono di un discreto spazio nel poema, unicamente in virtù delle loro capacità combattenti (cioè delle loro abilità con le armi, più o meno convenzionali che siano). E poi c’è Lucrezia Tornabuoni, un caso a parte, che lascio al lettore.

Qual è la differenza sostanziale tra la prima e la seconda parte sulla tematica delle armi?

La spada domina, come ovvio che sia, il panorama medievale – non scevro dall’utilizzo insolito di armi canoniche come la verghetta – e rinascimentale, come si può leggere nei primi saggi del volume. Brandita da uomini e donne, la lama riluce non meno dello scudo, foriero, a sua volta, di rinvii simbolici. Lo stesso dicasi per insegne, armature e vesti, cavalli e bardature, che evidenziano la novità della rappresentazione bellica, paradossalmente accolta persino in un poema di pace. Ancor più dell’arma da fuoco, l’arma bianca ipostatizza la prodezza del cavaliere in duello, consumato persino contro la divinità; eppure, essa deve cedere inevitabilmente il passo all’avvento di archibugi, schioppi, moschetti più funzionali allo scontro a distanza ma configurati in modo tale da avvantaggiare la mano più veloce a scapito di quella più abile. Nonostante ciò, ancora nel secolo XIX, non mancano prove letterarie che vedono al centro della narrazione l’uso del coltello, strumento di offesa che, in certi ambienti, sopravvive strenuamente al naturale evolversi della tecnologia bellica. In tal modo si chiude la prima parte, per poi avviare una disamina sul Novecento e gli anni Duemila. Tra i timori della minaccia atomica e le riprese dei classici, questo secolo, con l’inizio del successivo, apre un orizzonte di studi tanto multiforme quanto complesso. Non solo il romanzo, ma anche la poesia e persino le risemantizzazioni mediali, innalzano l’arma e l’armatura a modelli fanta-ironici, trasgressivi e latori di identità cangianti. In definitiva, seguendo il filo dei vari contributi si riesce in gran parte a comprendere anche l’evoluzione stessa dell’arma nella società occidentale, mediata dallo sguardo di poeti e scrittori.

Quali saranno i vostri progetti futuri? Ci saranno ulteriori studi sulle armi e armature nella letteratura italiana?

A questa domanda rispondiamo separatamente.

Teresa: per me, questo, è il terzo libro in un anno. Dopo Non baste essere bravi, uscito per il centocinquantesimo anniversario della morte di Manzoni e Sotto gli occhi benevoli dello Stato, pubblicato solo poche settimane fa, penso di fermarmi per un po’ nella stesura e curatela di volumi. Ma, in futuro, chissà … la collaborazione tra noi e con i direttori di collana è stata un’esperienza interessante, formativa e molto coinvolgente. Come direbbe Califano: «Non escludo il ritorno»!

Matteo: Rispetto a Teresa sono di certo un «neofita» in fatto di volumi pubblicati. Procedo quindi per step progressivi. Per ora, all’orizzonte c’è la discussione della mia tesi di dottorato – «Sotto ’l velame de li versi strani». Allegoria e allegorismo nella Commedia e nell’esegesi medievale. Studio critico e impostazione del Database Allegorico Dantesco (DAD) e, magari, provare a proseguire le mie ricerche in Italia o all’estero. Quanto a una possibile continuazione dei lavori sulle armi, sarebbe certamente interessante approfondire determinati aspetti che nel volume sono stati accennati ma lasciati sullo sfondo. Magari potrebbe essere anche la volta buona per colmare il vuoto di saggi sul secolo mancante.

anna.raimo@live.it

 

L'autore

Anna Raimo
Anna Raimo è nata a Pisa il 25 dicembre 1995. Laureata magistrale con il massimo dei voti in Linguistica e didattica dell’italiano nel contesto internazionale presso l’Università degli Studi di Salerno e l’Universität des Saarlandes di Saarbrücken, ha in seguito conseguito un Master di II Livello in Didattica dell’Italiano L2 presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. I suoi interessi di ricerca spaziano dalla linguistica e didattica della lingua italiana alla storia, letteratura e poesia contemporanea. Si è infatti occupata dell’italiano dei semicolti nella sua tesi di Laurea Magistrale e ha recentemente pubblicato un articolo su una particolare varietà della lingua italiana: "L’e-taliano: uno scritto digitato semifuturista?", in (a cura di S. Lubello), Homo scribens 2.0: scritture ibride della modernità, Franco Cesati Editore, Firenze 2019, pp. 159-164. Tra i suoi autori preferiti vi sono Mario Vargas Llosa, Jung Chang, Philip Roth, Azar Nafisi, Orhan Pamuk, Anna Achmatova, Rainer Maria Rilke, Federico García Lorca, Alda Merini, Bertolt Brecht e Wisława Szymborska. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura di poesie e i viaggi, soprattutto in Germania, paese di cui adora la storia, la cultura, l’arte e i magnifici castelli.