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Péguy il laico, il cristiano

“Il laico, il cristiano” è un titolo perfetto per Charles Péguy. Se c’è un autore che è stato laico e, al contempo, cristiano, questi è Péguy. Si tratta di una posizione rara, non usuale, dacché le tendenze comuni si muovono tra l’aut aut e l’et et: ora sono dialettiche (laicismo-clericalismo), ora sono dualistiche. Péguy, al contrario, si muove fuori dall’alternativa. Sa, per esperienza, la distinzione (tomista) tra grazia e natura e sa che il cristiano e il laico si incontrano là dove l’amore al cielo è amore alla terra. Ciò spiega il suo iter biografico nel quale la scoperta della fede non è il frutto di una conversione ma di un approfondimento che non rinnega il suo ideale socialista[1]. Il questo senso il “laico-cristiano” di Péguy è assolutamente originale. Lo è nella Francia, e nell’Europa, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 dove l’alternativa è tra clericalismo e anticlericalismo.  Da un lato c’è una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel proprio linguaggio, che ha perso il rapporto con il mondo, la società, i poveri. Dall’altro un laicismo parimenti integralistico, dogmatico e intollerante, elevato a culto da una borghesia falsamente liberale che fa del chierico il capro espiatorio per distogliere lo sguardo dai gravi problemi sociali.  In questa contesa Péguy non è il terzo tra laicisti e clericali. L’avversario è unico: il clericalismo. Come scriverà in Veronique:

Noi navighiamo costantemente tra due curati, noi manovriamo tra due bande di curati; i curati laici ed i curati ecclesiastici; i curati clericali anticlericali, ed i curati clericali clericali; i curati laici che negano l’eterno del temporale, che vogliono disfare, smontare l’eterno dal temporale, da dentro al temporale; ed i curati ecclesiastici che negano il temporale dell’eterno, che vogliono disfare, smontare il temporale dall’eterno, da dentro all’eterno[2].

Péguy è un “anticlericale”, nella linea di Dante. Laico-cristiano è l’uomo libero che si oppone a tutti i clericalismi. Si tratta, però, di una posizione peculiare che va compresa. L’anticlericalismo di Péguy non è quello di Julien Benda  nella sua nota opera Le Trahison des Clercs (1927). In essa risuonava l’accusa contro i chierici, gli intellettuali, i quali nella loro passione “politica” (socialismo, nazionalismo) avrebbero tradito la loro missione custodita nel distacco da ogni impegno diretto nel mondo. Tra questi intellettuali Benda collocava, accanto a Charles Maurras, il teorico dell’Action Française, e a Maurice  Barrès apologeta del nazionalismo, anche Charles Péguy. Come osserva Alain Finkielkraut: «quando il libro apparve, il miscuglio fu subito notato e fece scandalo. Persino i parenti prossimi di Benda, come sua cugina Simone, furono sbalorditi nel vedere il giustiziere di tutti i tradimenti voltare le spalle all’amico che aveva ammirato senza riserve – quando era vivo e sconosciuto – e tradirlo senza vergogna, adesso che era morto e coperto di gloria»[3]. Al di là del giudizio di Benda, che comunque peserà (negativamente) nella valutazione postuma su Péguy, certo è che la posizione di quest’ultimo differiva radicalmente da quella dell’autore de Le Trahison des Clercs. Per Péguy il vero tradimento non è quello denunciato da Benda. Il motivo è chiaro. Benda è, filosoficamente, dalla parte di un kantismo platonizzante per il quale ogni rapporto dell’intellettuale con il mondo ha il sapore di una contaminazione impura. Péguy, al contrario, è per l’incarnazione. Il punto non è nella politica in quanto tale, ma nel rinnegare la mistica.

Tutto ha inizio con la mistica, con una mistica, con la (propria) mistica e tutto finisce con una politica qualunque. Il problema importante, ciò che conta, ciò che è interessante, non è che tale politica abbia il sopravvento su questa o quella politica, non è di sapere chi avrà il sopravvento su tutte le politiche. L’interesse, il problema essenziale è che in ogni ordine, in ogni sistema, LA MISTICA NON VENGA DIVORATA DALLA POLITICA ALLA QUALE HA DATO ORIGINE[4].

Il peccato non risiede nell’impegno verso il mondo, come vuole lo gnostico Benda, ma nel tradimento dell’ideale. Benda è il kantiano stoico, l’uomo dei doveri e della morale, è colui che «ha le mani pulite, ma non ha le mani. E noi, [con] le nostre mani callose, le nostre mani nodose, le nostre mani peccatrici, noi abbiamo talvolta le mani piene»[5].

L’anticlericalismo di Péguy non può essere confuso con quello kantiano. Ha sì a che fare con la libertà, ma, proprio per questo, anche con la grazia. Ha a che fare con la salvezza della terra. Ha a che fare, da ultimo, con la vicenda personale di Péguy. Sono le tre direttive in cui possiamo leggere la dimensione del “laico-cristiano”. Partiamo dall’ultima, la vicenda biografica.

La formazione di Péguy, al di là del catechismo ricevuto da bambino, è quella tipica della Repubblica francese di fine ‘800. «Estraneo alla cultura cattolica tradizionale della sua epoca, Péguy appartiene alla cultura laica nata dalla Rivoluzione francese. I suoi punti di riferimento originale sono il “credo” di Julies Ferry, la letteratura classica greca e latina e l’utopia repubblicana»[6]. Aderisce al dreyfusismo come ad una religione e al socialismo con una passione mistica. Sua moglie, Charlotte Boudovin, sposata il 28 ottobre 1897 con rito civile, condivide i suoi ideali e non è credente. I figli  verranno battezzati solo dopo la morte del padre quando anche la madre si convertirà. Donde il dramma di Péguy nel momento in cui si riavvicina alla fede. Come scrive Bastaire: «In verità, Péguy ha sofferto atrocemente d’esser stato privato dell’eucarestia e della confessione, per non parlare poi del sacramento del matrimonio»[7]. Come confiderà a Henri Massis, nel 1913: «Non vado mai a messa. Sarebbe troppo per me. Io entro in chiesa per pregare, ma sempre prima della messa»[8]. Quest’uomo che ha una devozione speciale verso l’Eucarestia, come documenta Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, deve rinunciarvi.  Dramma nel dramma è poi l’allontanamento degli amici, in primis di Jacques Maritain che nel suo zelo proprio del convertito mostra di non capire la situazione “anomala” della famiglia Péguy[9]. L’intransigentismo e il rigorismo maritainiano porteranno il filosofo al pregiudizio e alla incomprensione de Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, una delle più belle creazioni del teatro cristiano del ‘900[10]. Un intransigentismo partecipato anche da un sacerdote di fiducia, dom Louis Baillet, a cui Péguy scrive nel 1909: «È difficile vivere da cristiano sulle frontiere nelle quali io sono stato posto»[11]. Peguy sta sulla frontiera. E questo non solo per la sua vicenda familiare, ma anche per il suo essere incrocio, punto di incontro tra il cristianesimo e il mondo socialista dei “Cahiers de Quinzaine”. Un punto delicato che lo induce a rimandare l’annuncio pubblico del suo ritorno alla fede che Maritain – ancora lui – non capisce[12]. L’amico lo giudica, ingiustamente, un tatticista, senza capire che Péguy ha come preoccupazione quella di non scandalizzare, nella Francia laicista per la quale ogni cattolico appare come un bigotto clericale e reazionario, i suoi vecchi compagni che vuole portare, gradualmente, a non diffidare della fede. Egli, come ha bene compreso, Hans Urs von Balthasar, è «dentro e fuori la chiesa, è chiesa in partibus infidelium, dunque là dove essa dev’essere»[13]. In tal modo è attraverso due “strettoie” che si manifesta il “laico- cristiano”: la sua anomala condizione familiare, il suo ritorno silente alla fede. Divenuto (o tornato) cristiano, rimane laico: per rispettare la volontà della moglie, per non scandalizzare i suoi amici e lettori. L’essere laico significa qui l’essere alla “frontiera”.

V’è, però, anche un secondo significato, per Péguy, dell’essere laico-cristiano. Un significato che ha a che fare con l’amore al reale, con l’Incarnazione. Laico-cristiano è il Péguy anti-gnostico. Su questa intuizione von Balthasar costruisce il suo capitolo su Péguy nel volume di Gloria dedicato agli Stili laicali. Pensatore “estetico”, per la sua sconfinata adesione al mondo nel suo aspetto “sensibile”, egli è il correttivo indispensabile per ogni caduta idealistica. «Forse, dopo la lunga storia delle variazioni platoniche nella storia cristiana dello spirito, la chiesa non si è mai insediata in modo altrettanto deciso nel mondo, dove però l’idea di mondo rimane libera da ogni sfumatura di acritico entusiasmo, da ogni mitologia ed erotologia, come pure da ogni ottimistica fede nel progresso»[14].Libera, quindi, dalla mitologia del mondo e della sua evoluzione propria di un Teilhard de Chardin. «Egli – scrive Balthasar – rilancia l’arco teso verso il nostro punto di partenza: verso Ireneo»[15]. Ireneo di Lione, colui a cui è dedicato il primo saggio di Stili laicali, il padre della Chiesa che insieme a Tertuliano si è battuto contro l’eresia gnostica che negava la realtà della carne del Verbo, trova la sua ideale prosecuzione in Péguy. Si tratta di un’intuizione profonda che consente a Balthasar di scorgere in Péguy un autentico autore cristiano, uno dei più rappresentativi del ‘900. Capace non solo di oltrepassare Kierkegaard, con il suo dualismo estetico-etico-religioso, ma – possiamo aggiungere – di misurarsi con il neopaganesimo di Nietzsche. Lo spiritualismo dominante, così come l’orizzonte clericale, non sono certo prospettive che consentono di raccogliere la sfida del filosofo con il martello. Occore un laico-cristiano che ami la terra come una patria e la sappia vedere con lo stupore della grazia. Péguy è l’anti-Nietzsche nel senso della Aufhebung hegeliana. Era quanto comprendeva Henri de Lubac, nel suo Le drame de l’humanisme athée del 1944, quando l’ombra del germanico superuomo si stendeva sull’Europa e sulla Francia occupata. «Se Socrate – scriveva – equivale all’uomo moderno noi saremo sì contro di lui, senza però essere per questo con Nietzsche. Piuttosto con Péguy: infatti Péguy ci salverà da Nietzsche»[16]. È soprattutto in Veronique. Dialogue de l’histoire et de l’âme charnelle che Péguy esprime, nella forma più lucida, la sua posizione antignostica. È qui che viene chiarito il significato che ha, per lui, il termine clericus, una categoria che unisce tanto i clericali quanto gli anticlericali, accomunati entrambi dall’essere parte della casta intellettuale[17]. Sono i due curati che veleggiano alti, nel mondo e nella storia, perché la realtà li impegna solo con la testa. Il cuore, le mani, il corpo, restano fuori. La polemica di Péguy contro gli intellettuali è parte della sua polemica contro l’evasione gnostica, la diserzione dal reale. Diversamente dai chierici il vero laico è qui il padre di famiglia, l’eroe del quotidiano, colui che non si sottrae. Lui è l’incarnato.

Lui solo è letteralmente impegnato nel mondo, nel secolo. Letteralmente lui solo è avventuriero, corre un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono impegnati solo con la testa, ciò che è niente. Lui al contrario vi è impegnato con tutte le sue membra. Gli altri soffrono solo essi stessi. Ipsi. Lui solo soffre di altri. Alii patitur. Al secondo, al ventesimo grado. […] Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, la malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. Gli altri navigano al riparo. […. L’avvenimento, la disgrazia, la malattia, la morte, tutto l’evento, tutta la disgrazia ha del vantaggio su di lui, sempre esposto a tutto, in pieno, di fronte, perché egli naviga su un’enorme larghezza. Gli altri si defilano. Sono soprattutto dei corsari. […]. Lui solo paga per tutti. Capo e padre di ostaggi egli stesso è sempre ostaggio. Che importano agli altri le guerre e le rivoluzioni, le guerre civili e le guerre straniere, l’avvenire di una società, l’avvento e l’evento della città, la decadenza di tutto un popolo? Essi vi rischiano solo la testa. Niente, meno di niente. Lui al contrario non è solo impegnato da tutte le parti con la città presente. A causa di questa famiglia, per la sua razza, per la sua discendenza, per i suoi figli è impegnato da tutte le parti nella città futura, nello sviluppo ulteriore, in tutto il temporale evento della città. […]. Gli altri si defilano sempre. Giocano caso mai solo con la testa. Lui, bisogna che navighi con tutte le spalle, che risalga tutte le correnti. Egli è necessario che passi in mezzo alle tempeste con le spalle, con il corpo e con tutte le sue membra[18].

Il padre di famiglia, quindi, lui solo è “carnale”. Lui, figura nella quale Péguy, nel suo dramma familiare, si rispecchia pienamente, è nel mondo.

A partire da questa incarnazione si chiarisce il terzo significato del laico-cristiano in Péguy: quello del cattolico anticlericale. Laddove la critica non è verso le ricchezze o il potere ecclesiastico, la qual cosa nella Francia di fine’800-inizi ‘900  non aveva molto senso, ma verso il clericalismo, il misconoscimento del sociale, il «misconoscimento di ciò che è la creazione»[19]. Rispetto ad esso la posizione atea-materialistica, quella che vuole separare l’eterno dal temporale, non è un grande pericolo. La mistica materialistica, propria dell’intellighenzia laicista, «non è affatto (molto) pericolosa. Essa non raggiunge, essa è senza prestigio sulle anime tenere, sulle anime inquiete, (sulle anime molli), sulle anime profonde, essa non esercita nessuna attrazione sulle anime propriamente mistiche, sulle anime propriamente (pre) destinate al cristianesimo, sulle anime cristiane in anticipo, antecristiane. Essa è inoffensiva, incapace di offendere a causa della sua grossolanità, a causa della sua stessa grossezza»[20]. Molto più pericolosa è l’altra mistica, quella dei chierici ecclesiastici, «quella che nega, quella che nega il temporale dell’eterno, quella che vuol disfare, togliere, smontare, il temporale dall’eterno è come più propriamente anticristiana, cade in […] una mistica per così dire più propriamente anticristiana»[21]. Questa mistica, nutrita di «spiritualismi, idealismi, immaterialismi, religiosismi, panteismi, filosofismi»[22], questa è anticristiana. Come avverte Péguy nella sua prosa poetizzante:

Negare l’eternità, amico mio, amico mio, ragazzo mio, e tutto fondare su di me povera disgraziata, mio povero ragazzo è una cosa così grossolana da essere avvertiti, prevenuti, vaccinati contro una così grossolana operazione. Ma negare al contrario la temporalità, la materia, la grossolanità precisamente, l’impurezza, negarmi, rinnegare me la temporale, ecco al contrario qualcosa che ha della finezza, del puro e della purezza, del sublime puro. Ecco la cosa più grave, l’infinitamente grave e la tentazione delle grandi anime. È precisamente ciò che entra davvero in disputa con il cristiano. Io comincio decisamente a convincermi che è proprio questo dei due contrari, che è proprio questo che è il più pericolosamente, il più profondamente incristiano[23].

Lo è perché:

Ciò che è la caratteristica del cristianesimo, ciò che costituisce il proprio, è proprio questo, questo maschio di incastro e questa femmina, questo innesto, questo aggiustamento di due pezzi così straordinario, così inverosimile, l’uno nell’altro, e naturalmente reciprocamente, il temporale nell’eterno, l’eterno nel temporale. Smontato quest’incastro, scardinato quest’aggiustamento, messo fuori asse, scalato, tutto cade. Tutto ciò che è al centro, è proprio questo. Questo impegno del temporale nell’eterno e dell’eterno nel temporale. Sciolto questo legame non vi è più niente. Non vi è più un mondo da salvare. Non vi è più anima da salvare. Non c’è più alcun cristianesimo. […]. Non vi è più né tentazione, né salvezza, né prova, né passaggio, né tempo, né niente. Non vi è più né redenzione, né incarnazione, né creazione stessa. Non vi è più né Ebrei, né Cristiani. Non vi è più né promesse, né gli adempimenti della promesse, i compimenti delle promesse, le promesse mantenute. Non c’è più cristianesimo, non vi è più niente. Non ci sono più gli antecedenti e gli avventi, i compimenti ed i coronamenti. Non c’è più l’operazione della grazia[24].

Il laico cristiano riconosce la natura e riconosce la grazia, riconosce l’ “incastro” del temporale con l’eterno. Smontato l’incastro non rimane nulla. I chierici, quelli ecclesiastici, negano la natura e, con ciò, negano la grazia.

Essi tolgono la creazione, l’incarnazione, la redenzione, il merito, la salvezza,il prezzo della salvezza, il giudizio ed alcuni altri; e naturalmente, e più di tutto, la grazia: più di ogni altro mistero il mistero e l’operazione della grazia. […].[La] caratteristica di questi interventi, è di ostacolare sempre l’azione della grazia, la sua operazione; di prenderne sempre il contropiede, con una specie di spaventosa potenza. Egli marcia nei giardini della grazia con una spaventosa brutalità. In questa terra leggera, in questa terra benedetta, in questa terra di grazia tutti i loro passi lasciano il segno, essi marciano nelle regolari aiuole, essi affondano i talloni, e fanno delle zolle di terra[25].

Il deserto che segna la Chiesa di Francia non è allora, in primo luogo, il frutto del laicismo dei chierici materialisti. Anche di loro, certamente. Ma una responsabilità più grande spetta, secondo il laico-cristiano Péguy, agli ecclesiastici, al clero di Francia. L‘incristianizzazione, la decristianizzazione, è l’esito di «una colpa di mistica»[26] e non già del tempo storico, avverso e non favorevole. «Essi dicono: Sono i tempi cattivi. È una formula. È anche una formula comoda. È anche una formula intellettuale. Ed anche universitaria, scolastica, scolasticamente storica,libresca, una formula di storico. Soprattutto è una formula. Comoda per mascherare la pigrizia, per nascondere, per nascondere agli altri, a tutti, forse soprattutto per nascondere a se stessi le loro spaventose responsabilità. È una formula e naturalmente, subito, come tale, essa è immediatamente falsa. Non vi è una disgrazia propria dei tempi. (È una formula professionale, ufficiale, formale, fissata). Vi è la disgrazia dei chierici»[27]. Non è la malvagità dei tempi , come mostra la genesi del cristianesimo, che può bloccare il cristianesimo.

Ma venne Gesù. Egli aveva da fare tre anni. Egli fece i suoi tre anni. Ma egli non perse affatto i suoi tre anni, egli non li impiegò a gemere ed a interpellare il malore e la disgrazia dei tempi. Vi era comunque la disgrazia dei tempi, del suo tempo. Il mondo moderno veniva, era pronto. Egli tagliò (corto). Oh, in un modo semplice. Facendo il cristianesimo. Intercalando il mondo cristiano. Egli non incriminò, egli non accusò nessuno. Egli salvò. Egli non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo. Questi (altri) essi vituperano, essi raziocinano, essi incriminano. Ingiuriosi medici, che se la prendono con il malato. Essi accusano le sabbie del secolo, ma al tempo di Gesù vi era anche il secolo e vi erano anche le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, ma sulla sabbia del secolo una sorgente, una sorgente di grazia, inotturabile colava[28].

Non il tempo cattivo ma la negazione del tempo, la negazione del reale, questo è ciò che blocca l’incastro tra l’eterno e il temporale. «Così negare l’una o l’altra parte, è egualmente negare il tutto, smontare il meraviglioso apparecchio. Un Dio uomo. Un uomo Dio. Ma negare il cielo non è quasi certamente pericoloso. È un’eresia senza avvenire. È così evidentemente grossolano. Negare la terra al contrario è tentante. Anzitutto, è una cosa distinta. Ed è il peggio. È dunque questa l’eresia pericolosa, l’eresia con un avvenire»[29]. Di fronte a questa, l’eresia del futuro,  Péguy, il custode “laico” dell’ortodossia  sta sul crinale, in partibus infidelium. In questa polarità risiede il fascino e l’attualità della sua figura.

[Il testo è tratto dal dossier di “Studium”, 3 (2023), pp. 360-425, curato dall’autore, dedicato a: Charles Péguy. A 150 anni dalla nascita. Il saggio concerne le pp. 365-373 del dossier].

[1]             Per la biografia di Péguy si cfr. P. COLOGNESI, La fede che preferisco è la speranza. Vita di Charles Péguy, prefazione di D. Rondoni, Bur, Rizzoli 2012.

[2]             C. PEGUY, Veronique. Dialogue de l’histoire et de l’âme charnelle, Éditios Gallimard 1972, tr. it.,  Veronica. Dialogo della storia con l’anima carnale, a cura di A. Prontera, Edizioni Milella, Lecce 1994, p. 116.

[3]             A. FINKELKRAUT, Le mécontemporain. Péguy, lecteur du monde moderne, Éditions Gallimard, Paris 1992, tr. it., L’incontemporaneo. Péguy, lettore del mondo moderno, Lindau, Torino 2012, p. 12. Benda si mostrò ingrato e ingiusto verso colui che aveva pubblicato, nel 1911, L’Ordination nei suoi “Cahiers”, un testo che aveva suscitato verso l’editore Péguy le accuse di Jacques e di Raissa Maritain. «Molte cose ci irritavano nella condotta di Péguy, soprattutto la sua politica nei confronti dei collaboratori e degli abbonati dei “Cahiers”. Una di queste cose doveva anche provocare una specie di rottura (prima della definitiva riconciliazione). Péguy pubblicò nel 1911, se non sbaglio, un romanzo di Julien Benda – L’Ordination – che ci parve un’opera tanto cattiva che impertinente e non potevamo perdonare a Peguy, che si diceva cattolico, di averla pubblicata. Jacques scrisse dunque a Bourgeois dicendogli che, se per l’avvenire fosse stato pubblicato un altro “Cahier” di quella sorta, lo pregava di non inviarglielo. Péguy rispose radiando il nome di Jacques dal numero degli abbonati, ciò che era una specie di scomunica maggiore. Tuttavia il nostro giudizio negativo su L’Ordination non procedeva da un eccesso di ortodossia. Henri Massis, che racconta questo incidente in Notre ami Psichari, aggiunge che George Sorel giudicava nello stesso modo questo romanzo di Benda e Péguy che l’aveva pubblicato: “Se Péguy fosse un convertito, diceva Sorel, non pubblicherebbe nei suoi ‘Cahiers’ un libro, il cui merito principale è di contenere ingiurie rivolte al cattolicesimo”» (R. MARITAIN, Les grandes amités, Desclée de Brower, Paris 1949, tr. it., I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 1973, pp.172-173).

[4]             C. PÉGUY, Notre jeunesse, in: Ouvres en prose, 1909-1914, Bibliothèque de la Pléiade, Éditions Gallimard, Paris 1961, tr. it. , La nostra gioventù,a cura di D. Bienaimé Rigo, in C. PÉGUY, La nostra gioventù – Il denaro, UTET, Torino  1972, p. 70.

[5]             C. PÉGUY, Ouvres en prose, 1909-1914, cit., p. 827.

[6]             J. BASTAIRE, Péguy, l’inchrétien, Gedit S.A:, Tournai et Proost, Paris 1991, tr. it., Péguy, il Noncristiano, Jaca Book, Milano 1994, p. 67.

[7]             Op. cit., p. 28.

[8]             Op. cit., p. 29.

[9]             Per i contrasti tra Maritain e Péguy si cfr. R. MARITAIN, I grandi amici, cit., pp. 167-178; J.-L. BARRÉ, Jacques et Raïssa Maritain. Le Mendiants du Ciel, Éditions Stock, Paris 1996, tr. it., Jacques e Raissa Maritain. Da intellettuali anarchici a testimoni di Dio, Paoline, Milano 2000, pp. 100-116;  P. VIOTTO, I difficili rapporti di Péguy con Maritain. Tra mistica e politica, in <<Prospettiva Persona>>, 91[2015], pp. 63-78.

[10]            Cfr. J.-L. BARRÉ,  Jacques et Raïssa Maritain. Le Mendiants du Ciel, cit., pp. 115-116.

[11]            R. MARITAIN, I grandi amici, cit., p. 171.

[12]              Cfr. J.-L. BARRÉ, Jacques e Raissa Maritain. Da intellettuali anarchici a testimoni di Dio, cit., pp. 102-103.

[13]            H. U. VON BALTHASAR, Herrlichkeit. Fächer der stile: Laikale stile, Johannes Verlag, Einsiedeln 1962, tr. it., Gloria. Stili laicali, Jaca Book, Milano 1976, p. 379.

[14]            Ibidem.

[15]            Op. cit., p. 381.

[16]            H. DE LUBAC, Le drame de l’humanisme athée, Éditions Spes, Paris 1945 (3 ed. ), tr. it., Il drama dell’umanesimo ateo,premessa di M. Borghesi, Morcelliana, Brescia 2013, p. 71. Sul legame ideale  che unisce de Lubac a Péguy si cfr. H. DE LUBAC – J. BASTAIRE, Claudel et  Péguy, Aubier-Montaigne, Paris 1974 (nuova ediz. Ed. du Cerf, Paris 2008), tr. it., Claudel e Péguy, Prefazione di L. Negri, Presentazione di J. Bastaire, Marcianum Press, Venezia 2013.

[17]            Cfr. C. PÉGUY, Veronica. Dialogo della storia con l’anima carnale, cit., pp. 111 sgg.

[18]            Op. cit., pp. 105-106.

[19]            Op. cit., p. 89.

[20]            Op. cit., p. 117.

[21]            Ibidem.

[22]            Op. cit., p. 118.

[23]            Op. cit., p. 119.

[24]            Op. cit., pp. 121 – 122.

[25]            Op. cit., p. 91.

[26]            Op. cit., p. 95.

[27]            Op. cit., p. 96.

[28]            Op. cit., pp. 147-148.

[29]            Op. cit., p. 124.

L'autore

Massimo Borghesi
Massimo Borghesi è professore ordinario di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione, dell'Università di Perugia.

Si è laureato in filosofia all’Università di Perugia, nel 1974, con una tesi su Hegel guidata dal prof. Armando Rigobello. Dopo la tesi si è trasferito a Roma dove tuttora risiede. Dal 1984 al 1992 è stato ricercatore in filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma-Tor Vergata e successivamente, dal 1992 al 1996, professore associato di Storia della filosofia morale presso la Facoltà di Magistero dell'Università di Lecce. Ha insegnato, dal 1981 al 2007, Estetica, Etica, Teologia filosofica, presso la Pontificia Università S. Bonaventura in Roma dove è stato, dal 2000 al 2002, direttore della “Cattedra Bonaventuriana”. Dal 2008 al 2017 ha insegnato Filosofia e religione presso la Pontificia Università Urbaniana. E’, dal 2019-21, coordinatore del Dottorato di ricerca in Etica della Comunicazione, della Ricerca Scientifica e dell’Innovazione Tecnologica, presso l’Università di Perugia.

E' membro del consiglio scientifico della rivista Studium, dove coordina la sezione “Filosofia on-line”. E’ consulente della rivista Humanitas. Revista de antropología y cultura della Pontificia Universidad Católica del Cile. Fa parte del Comitato Scientifico del Centro Internazionale Studi su Pascal (CISP) dell’Università di Catania. E’ membro del Comitato Scientifico ed Editoriale del Nuovo Giornale di Filosofia della Religione.È membro, dal 2006, del Comitato editoriale delle Edizioni Studium, dove dirige la Collana filosofica “Interpretazioni”. È stato membro, dal 1984 al 2002, del comitato di redazione della rivista Il Nuovo Areopago; dal 1984 al 2012 della rivista internazionale 30 Giorni; editorialista, dal 2005 al 2011, del quotidiano L'Eco di Bergamo.

Relatore in molti convegni, in Italia e all'estero,  i suoi volumi sono tradotti in varie lingue.

Nel 2013 ha ricevuto il premio Capri-San Michele per il volume Augusto del Noce. La legittimazione critica del moderno edito da Marietti.

Nel 2017 ha pubblicato il volume Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book, Milano 2017, cui sono seguite le traduzioni in lingua inglese, spagnola, portoghese, polacca, croata, tedesca.

E' autore delle seguenti monografie: La figura di Cristo in Hegel, Studium, Roma 1983; Romano Guardini. Dialettica e antropologia, Studium, Roma 1990 ( 2° ediz. 2004); L’età dello Spirito in Hegel. Dal Vangelo “storico” al Vangelo “eterno”, Studium, Roma 1995; Posmodernidad y cristianismo, Encuentro, Madrid 1997; Il soggetto assente. Educazione e scuola tra memoria e nichilismo, Itacalibri, Castel Bolognese (RA), 2005 (Edizione spagnola, Encuentro, Madrid 2005; UCSS, Lima 2007); Secolarizzazione e nichilismo. Cristianesimo e cultura contemporanea, Cantagalli, Siena 2005 (Edizione spagnola, Encuentro, Madrid 2007); L’era dello Spirito. Secolarizzazione ed escatologia moderna, Studium, Roma 2008; Maestri e testimoni, Edizioni Messaggero, Padova 2009; Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno, Marietti, Genova-Milano 2011; Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson. La fine dell’era costantiniana, Marietti, Genova-Milano 2013; Senza legami. Fede e politica nel mondo liquido: gli anni di Benedetto XVI, Studium, Roma, 2014; Luigi Giussani. Conoscenza amorosa ed esperienza del vero. Un itinerario moderno, Edizioni di Pagina, Bari, 2015; Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book, Milano 2017; Hegel. La cristologia idealista, Studium, Roma, 2018; Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva, Jaca Book, Milano, 2018; Modernità e ateismo. Il dibattito nel pensiero cattolico italo-francese, Jaca Book, Milano 2019; La terza età del mondo. L’utopia della seconda modernità, Studium, Roma 2020; Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo, Jaca Book, Milano 2021(Edizione inglese, Liturgical Press, Collegeville [Minnesota] 2021, Edizione spagnola, Encuentro, Madrid 2022); Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco, Jaca Book, Milano 2022.

Per un approfondimento del suo pensiero si cfr l’intervista a Serena Meattini: Il libro su Bergoglio e la mia formazione intellettuale, in <>, 27-02-2019 (http://www.insulaeuropea.eu/2019/02/27/il-libro-su-bergoglio-e-la-mia-formazione-intellettuale-serena-meattini-dialoga-con-massimo-borghesi/).