Il nome di Ana Blandiana, la maggiore poetessa romena del secondo Novecento, ci è sufficientemente noto grazie ad almeno tre sue raccolte di versi, uscite in Italia negli ultimi vent’anni, a partire dal fortunato volume edito nella Collana Donzelli Poesia: Un tempo gli alberi avevano occhi.[1] La sua creatività e la sua personalità sono di fatto ben più sfaccettate e poliedriche, basti ricordare che è anche autrice di racconti fantastici,[2] di un importante romanzo Applausi nel cassetto,[3] di scritti saggistici[4] e di vari libri di letteratura per l’infanzia.
La figura e l’opera di Blandiana danno un’impressione di fragilità e di forza, una sensazione che proviene dalla modalità precipuamente interrogativa della sua scrittura e da un’aspirazione decisa e totale per il vero. Il côté etico della sua opera scaturisce da un altalenare tra l’innocenza originaria e la consapevolezza del male, espresso il più delle volte nel registro della compostezza melanconica, e allo stesso tempo nella probità di un codice che pone quesiti, in modalità di preferenza incifrate. Nel difficile contesto dell’Europa dell’Est dei decenni ’60, ’70 e ’80, la poesia (e non soltanto quella romena) si è trovata ad essere caricata di valenze in buona misura allotrie rispetto alle contemporanee prassi poetiche dell’Occidente: nella dimora mentale dei lettori la poesia diventava infatti un serbatoio di verità nascoste, mentre l’autore riacquistava il delicato ruolo, dismesso da secoli, di poeta theologus. È anche per questo, forse, che Blandiana ha potuto confessare, in anni lontani, la propria delusione per avere “come unico organo per comunicare, la parola”, quasi a conferma del fatto che per la sua generazione le parole avevano esaurito le proprie potenzialità espressive, erano ormai come bruciate: “Non sono mai corsa dietro alle parole,/ Tutto ciò che ho cercato/ è stata la loro ombra… […]/ E non hanno più ombra,/ le parole che hanno venduto la propria anima” (Caccia). Per potere essere “poeti” occorreva dunque un atto estremo, di rifondazione del senso, che è il compito che si è dato la corrente neo-modernista grazie alle voci liriche di Nichita Stănescu, Ana Blandiana, Ileana Mălăncoiu, Marin Sorescu.
Il saggio che è stato appena presentato a Torino, alla XXXV edizione del Salone del Libro, Falso trattato di manipolazione,[5] emblematico per la condizione esistenziale dello scrittore vissuto sotto un regime dittatoriale, è un testo complesso, mirabilmente scritto e costruito intorno all’idea del bisogno di libertà, di autenticità, di indipendenza etica, un’idea che si coniuga in forme variegate con la primaria necessità dell’assunzione di ciò che è vero, e giusto. La diffusa rilassatezza dei principi, la relativizzazione delle norme morali, l’indebito affievolirsi degli argomenti di fronte alla forza bruta o all’abiezione sono tare dell’umano stigmatizzate di volta in volta dall’autrice di questo Falso trattato, per la quale l’appartenenza a un “popolo vegetale” – quello romeno, severamente strattonato in uno dei quattro celebri componimenti di Blandiana apparsi nel dicembre 1984 sulla rivista “Amfiteatru”, immediatamente ritirata (unico esempio di szamizdat in terra romena, cosa che comportò per lei il divieto per un intero anno di firmare e pubblicare) – ha costituito una delle drammatiche disillusioni che hanno segnato la sua scrittura e la sua coscienza critica. Il libro è uno spietato esercizio di lucidità, portato caparbiamente avanti per l’arco di decenni, fin da quando bambina assistette nel ’49 all’arresto del padre, professore di filosofia e pope nella cattedrale ortodossa di Oradea, con l’accusa di ‘complotto contro lo Stato’. Salvo che “questo non è un libro di memorie (…), non è un tentativo di raccontare la mia vita, ma un tentativo di comprenderla. (…)” tant’è che con grande schiettezza l’autrice si pone sartrianamente la domanda: “di fatto, pian piano (…) le ossessioni si sono ridotte a una sola, che potrebbe essere racchiusa nella domanda: quanto di ciò che ho vissuto è un risultato della mia volontà e quanto è dovuto alle influenze, alle pressioni e alle manipolazioni che sono state esercitate su di me?” Nell’impossibilità di seguire qui le martoriate vicende dell’ossessivo decennio staliniano, del successivo disgelo e ancor più le astute scelte operate da Ceauşescu – non ultima l’abolizione ufficiale della censura! – il punto più dolente che colpisce il lettore riguarda in realtà il passaggio dalla dittatura alla libertà, apparentemente conquistata nel fatidico dicembre ‘89, tramite quella che potremo a buon diritto chiamare ‘pseudo-rivoluzione’. Nel memorabile capitolo “27 dicembre 1989” Blandiana ci porta nelle stanze del nuovo potere, un potere che aveva evidente bisogno di volti e figure che fossero garanzia d’integrità, sicché, accanto al poeta Mircea Dinescu, comparso sul balcone dei manifestanti fin dal primo giorno, venne fatto, da parte del leader Silviu Brucan, il tentativo di cooptare Ana Blandiana, proponendole un prestigioso ruolo di “vicepresidente” (di un qualcosa non meglio definito), ma al suo rifiuto seguì, da parte di un esasperato Ion Iliescu, futuro Presidente del Paese, un imperioso “Non hai il diritto di rifiutare, abbiamo bisogno di qualcuno molto amato.” E qui il racconto sui molteplici tentativi di manipolazione potrebbe ulteriormente arricchirsi, sappiamo però che sul suo scrittoio Ana Blandiana aveva appuntato, per sua e per nostra fortuna, un’aurea sentenza di Erasmo da Rotterdam: “Non lasciarti usare da nessuno.” Grazie Ana, e grazie a Elliot per avere meritoriamente pubblicato la traduzione di questo libro, importante direi per la Storia tout court, una traduzione che Mauro Barindi aveva già approntato da anni e che ha dovuto però attendere a lungo (misteriosamente) per vedere ora la luce, in Italia, presso una casa editrice indipendente.
(l’articolo è uscito in precedenza su “Tuttolibri” n. 2343 di sabato 17 giugno 2023)
[1] Per la cura di Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni, Roma 2004, con un significativo saggio di Blandiana La poesia, tra silenzio e peccato. Seguiranno poi La mia patria A4. Nuove poesie, Aracne, Roma 2015 (a cura di M. Barindi, pref. di D.O. Cepraga), e L’orologio senza ore, Elliot, Roma 2018 (a cura di B. Mazzoni).
[2] In italiano è possibile leggere Progetti per il passato e altri racconti, Anfora, Milano 2008 (a cura di M. Cugno).
[3] Elliot, Roma 2019 (per la cura di L. Valmarin).
[4] In italiano Il mondo sillaba per sillaba, Saecula ed., Montorso Vicentino 2012 (trad. di M. Barindi, postfazione di L. Renzi).
[5] Elliot, Roma 2023 (a cura di M. Barindi).
L'autore
- Bruno Mazzoni (Napoli, 1946), già professore di Lingua e Letteratura Romena all’Università di Pisa (avendo altresì insegnato nelle Università di Bucarest, UBB/Cluj-Napoca, della Calabria, Roma-La Sapienza, Firenze) e Preside per due mandati della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, è stato membro fondatore dell’Associazione Italiana di Romenistica-A.I.R. ed è doctor honoris causa dell’Università di Bucarest e di Universitatea de Vest di Timişoara. Ha pubblicato studi sulla poesia romena (I. Budai-Deleanu, M. Eminescu, T. Arghezi, I. Barbu, N. Stănescu, A. Blandiana, M. Cărtărescu), ha curato l’edizione critica di un ampio carteggio B.P. Hasdeu-Hugo Schuchardt (Liguori, 1984), di un ampio corpus di iscrizioni del cosiddetto “Cimitero allegro” di Săpânţa (ETS, 1999), si è occupato di problemi di storia della linguistica romena e romanza del XIX sec., ha coordinato il volume Geografia e storia della civiltà letteraria romena nel contesto europeo (Pisa University Press, 2010, insieme con A. Tarantino). Ha tradotto versi e prosa dall’opera di Ana Blandiana (Un tempo gli alberi avevano occhi, Donzelli, 2004, in collaborazione con Biancamaria Frabotta; L’orologio senza ore, Elliot, 2018, Variazioni su un tema dato, Donzelli, 2023), di M. Blecher (Accadimenti nell’irrealtà immediata, Keller, 2012; Cuori cicatrizzati, ivi, 2018), di Mircea Cărtărescu (per l’opera in prosa, edita da Voland: Travesti, 2000, 20162; Nostalgia, 2004, 20122; Perché amiamo le donne, 2009; i tre volumi L’ala sinistra, 2008, Il corpo, 2015, L’ala destra, 2016, che compongono l’ampia trilogia intitolata Abbacinante; il prosimetro Il Levante, 2019; per il Saggiatore, Solenoide, 2021 e, per La Nave di Teseo, Melancolia, 2022; nonché due antologie di versi cartareschiani: Poesie d’amore. CD doppio, Pagine, 2003; Il poema dell’acquaio, Nottetempo, 2015), di Denisa Comănescu (Ritorno dall’esilio, in collaborazione con Mihai Banciu, Transeuropa, 2014), di Herta Müller, premio Nobel 2009 per la Letteratura, con l’unico suo libro di versi-collage composto in lingua romena (Essere o non essere Ion, Transeuropa, 2012), di Matei Călinescu (Vita e opinioni di Zacharias Lichter, Spider&Fish, 2021), di Matei Vişniec (Lisistrata, mon amour), di Cătălin Pavel (L’archeologia dell’amore. Dal Neanderthal al Taj Mahal, NEO ed., 2022). Per l’attività scientifica e culturale svolta per la diffusione della Romenistica in Italia, gli è stato conferito dal Governo romeno l’Ordine Nazionale “al merito” col titolo di Comandor (2002); per la sua attività di traduttore dal romeno ha ricevuto, da parte del Presidente della Repubblica Italiana, il Premio nazionale per la Traduzione del Ministero dei Beni Culturali (2008), è stato insignito infine dall’Università di Pisa dell’Ordine del Cherubino (2013).