In primo piano · Libro d’artista

Arte anche per la Scuola. A tu per tu con Sara Montani

Chi ha avuto l’opportunità di conoscere a fondo la lunga e fertile esperienza artistica di Sara Montani, nata a Milano nel 1951, non può non essere rimasto colpito dalla stretta e costante relazione esistente tra la sua vita artistica e la sua professione di insegnante. Sembra quasi che, attraverso il suo ruolo di docente di educazione artistica nella scuola media inferiore, Sara raggiunga un humus speciale, che le permette di coltivare e sviluppare la sua creatività assieme ai suoi studenti, ponendosi, quindi, non come semplice portavoce di nozioni, ma come artista che, nello stesso momento in cui attua il proprio progetto formativo, persegue la propria completezza espressiva e creativa. Nel suo metodo didattico vengono coinvolte le materie ufficiali intrecciate al “fare teatro” e suo obiettivo preminente sembra essere condurre i ragazzi a valorizzare la creatività motivando le attività anche con partecipazioni a mostre e concorsi d’arte. Nel 1990 progetta e cura la realizzazione di uno spettacolo su Ignazio di Loyola, in cui gli attori sono 209 ragazzi della scuola media statale “Arcadia” di Milano, dove allora la Montani insegnava. Nel 1991 abbandona l’insegnamento, per aprire un proprio studio, sempre a Milano, dove continua però il suo lavoro di ricerca artistica, sempre a stretto contatto con il mondo giovanile. Nel 1999, assieme a un gruppo di artisti, dà vita alla nascita del laboratorio “La Stamperia BcomeBottega” dapprima presso l’Università Cattolica, quindi alla scuola primaria Thouar-Gonzaga di Milano, dove la stamperia rimane attiva fino al 2020. Dal 2023 la Stamperia è stata donata al Comune di Milano. Il lavoro di Sara Montani procede tutt’ora a ritmi serrati e si orienta verso l’impiego della stampa originale, monoprint e monotipo; pittura e scultura, fotografia, installazioni, libri d’artista, teatro e ombre sono i linguaggi della sua ricerca, dedicata spesso a questioni sociali e a tematiche di genere. Una copiosa bibliografia accompagna il procedere e le varianti del suo cammino artistico, sempre proiettato in avanti. Le sue opere sono raccolte in collezioni pubbliche e private, in Italia e all’estero.

La costante del tuo lavoro è non disgiungere l’arte dalla sua proiezione nella scuola. Come e quando hai saputo che essere artisti non basta, se non si trovano giovani pronti a recepire il messaggio che si esplicita nelle opere, come accade appunto per le tue in primis?

poi le mogli, le figlie e le nuore. 2017 stampa fotografica Fine Art su carta cotone, 81x60
poi le mogli, le figlie e le nuore. 2017 stampa fotografica Fine Art su carta cotone, 81×60

Essere artista non basta, non mi basta. Bambini e ragazzi si lasciano sempre catturare se si lascia loro spazio creativo.   Mi hanno insegnato molto, ma soprattutto convinto che nell’educazione, il linguaggio – in ogni sua forma – è un gesto espressivo, mosso dall’esperienza dell’ascolto, di ciò che riusciamo a cogliere e accogliere, in noi, dell’altro.

Con intensità poetica, Martin Grotjanh dice: Io non voglio vivisezionare l’usignolo per trovare il segreto del suo canto: io cerco di ascoltarlo e di capirlo; mentre l’ascolto ne godo, e ciò potrà migliorare la mia comprensione.

Bambini e giovani hanno bisogno di fare e il saper fare deve passare attraverso il saper pensare in modo creativo. Un pensare e un fare che sempre interpellano l’Arte: l’arte dell’accoglienza, dell’ascolto, della condivisione, della fiducia e della spontaneità, della comunanza, della solidarietà, del rispetto delle diversità di ciascuno. Un pensare di fare che sia trasformativo. Che dia ai giovani l’opportunità di motivare lo studio e di cimentarsi in impegni che sortiscano autostima.

Un esempio attuale può essere Vestali, la ormai prossima mia mostra personale che inaugurerò l’8 marzo 2024: si inserisce nell’ambito delle iniziative proposte dal Comune di San Giuliano Milanese (Milano) per la Giornata Internazionale della Donna 2024; è una mostra allestita con il contributo degli studenti del Liceo Primo Levi, nell’ambito di un Percorso per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO), in cui docenti, alunni e professionisti si sono confrontati in un’esperienza fortemente educativa.

La mostra, dal titolo volutamente evocativo, vuol far riflettere sulla donna e sul suo ruolo, spesso determinato o condizionato dalla società in cui vive. Con me e l’insegnante di Storia dell’Arte, attraverso incontri mirati a far loro conoscere il mio lavoro, i giovani sono stati preparati per collaborare all’allestimento della mostra e stanno progettando le visite guidate che poi effettueranno durante i giorni dell’esposizione. La mostra potrà così essere anche la loro mostra e costituire un ponte tra artista, contenuti e fruitore.

Abito l'abito, ceramolle 2001, ceramolle su rame cm.97x60
Abito l’abito, ceramolle 2001, ceramolle su rame cm.97×60

Con metodo sempre più consapevole, attraverso la sperimentazione, hai a lungo saldato l’attività di formazione con l’attività artistica, che nel tuo iter procedono ancora di pari passo. L’avere abbandonato la scuola non ti ha procurato un distacco, anche se momentaneo, difficile da gestire?

Ho abbandonato la scuola, ma in verità non ho mai abbandonato la didattica, l’insegnamento e i ragazzi.

Nel 1991 ho aperto il mio primo studio: aveva tre locali, nel più grande ho collocato un torchio e per alcuni anni mi sono dedicata all’incisione calcografica, sperimentando, con incredibile foga e piacere, ogni genere di materiale per la realizzazione delle matrici. In un altro locale ho posto tele, colori, cavalletto e un tavolo, sempre zeppo di carte e progetti. La stanza più piccola aveva invece il grande tavolo e una bella libreria, da me disegnata a vent’anni. In quegli anni i miei figli erano adolescenti e della stessa età erano stati i ragazzi delle scuole dove per 23 anni avevo insegnato. Decisi così di attivare laboratori con bambini in età prescolare, proponendo loro le stesse attività svolte con i grandi. Cosa sarebbe accaduto? Come avrebbero risposto? A loro riservai proprio la stanza piccola: l’assenza di spazio per correre e giocare tra loro, facilitava la concentrazione e i libri attiravano la loro attenzione, stimolando la creatività. Ho così incontrato quella speciale libertà espressiva tipica dell’infanzia, la facilità per cui si pensa, decide, ci si esprime ed agisce in autonomia, con la volontà di ideare e mettere in pratica l’idea, mediante una scelta, a proprio piacimento, di mezzi e strumenti utili a realizzarla.

Per una decina di anni ho lavorato con i piccoli, dando spazio a tecniche e linguaggi espressivi con estrema spontaneità, scoperte e gioia, mia e loro, mescolando regole e libertà di sperimentazione che in modo del tutto istintivo si sono poi ribaltate nel mio lavoro, connotandolo di libertà tecnica, vivacizzandolo di entusiasmo e passione creativa. La stessa che mostravano gli occhi dei bambini.

Eri vestita in giallo, 2023 tessuto e resina 89x52x50 cm
Eri vestita in giallo, 2023 tessuto e resina 89x52x50 cm

Successivamente con un torchio calcografico, stabilmente tenuto in auto, ho attivato percorsi e laboratori nelle scuole, dalle primarie alle secondarie, riuscendo a mettere a punto un metodo di incisione e stampa che individua con materiali e strumenti già conosciuti dai ragazzi, un nuovo approccio all’incisione. Nei primi anni 2000 la ricerca consente di definire una metodologia che vede la tecnica incisoria come contributo e stimolo alla crescita evolutiva della persona e di un gruppo, persegue lo sviluppo di capacità e atteggiamenti non solo cognitivi e operativi, ma anche di natura affettiva, sociale, morale, civile. Nasce allora la Stamperia BcomeBottega.

L’idea di fondo è quella di orientare verso una scuola capace di dar valore al piacere di imparare, che promuove la relazione umana, affettiva ed emotiva, che sa divenire il luogo dove gli incontri quotidiani suscitano quegli stessi interessi e stimoli che i giovani incontrano fuori dalla scuola; ma soprattutto che, valorizzando le peculiarità e potenzialità di ragazzi e insegnanti, sa dare significato al fare creativo. Il progetto propone l’ascolto nell’educazione, lasciando intendere che il linguaggio creativo è un gesto espressivo mosso proprio dall’esperienza dell’ascolto, del pensare e del fare che si relazionano con l’arte, dove complice è la manualità.

La metodologia intende sollecitare nei ragazzi un ruolo attivo, pro­muovere stimoli critici, favorendo la necessità di intra­prendere, in classe con il proprio insegnante, percorsi metodologici alternativi e complementari della tradizionale didattica, che consentano di stabilire nuove relazioni attraverso l’esperienza pratica vissuta nel laboratorio di incisione: l’espressi­vità, come occasione socializzante, consente la rielaborazione di contenuti, di crescita e autostima.

L’aver lasciato la scuola mi ha permesso di fare nuove esperienze che mi hanno convito che quel bambino, con un ricco tipo di pensiero creativo, può esistere per tutta la vita sia nell’adulto che nell’anziano, consentendogli una irrefrenabile esuberanza vitale, un’esistenza che trasgredisce il tempo.

Lo studio e il rapporto ravvicinato con il teatro quanto hanno influito sulla tua poetica e sull’attività di formazione all’arte, mai venuta meno in quella che tu chiami la “palestra” e che trova un preciso sbocco pure nella didattica della calcografia?

 Il teatro è il linguaggio dell’accoglienza delle differenze e delle diversità tra individui e tra linguaggi; accoglienza che ha in sé funzioni educative e di rispetto di ogni altro e, al contempo, manifesta segreti e meraviglie della persona. E questo avvicina i ragazzi, li unisce. Favorisce l’ascolto delle proposte che si fanno loro, consentendo così il risveglio di entusiasmo e voglia di mettersi in gioco. Accade anche per la realizzazione a più mani del libro d’artista, (esperienze condotte in qualità di artista nelle classi negli anni dopo il 2000): ognuno “scrive” la sua pagina, la condivide gratificato e l’insieme racconta di un noi ricco di valori.

Negli anni di insegnamento ho amato il fare teatrale fino a renderlo mia essenziale modalità didattica. Il fare teatro a scuola vuole orientare verso una scuola che è capace di dar valore al piacere di imparare, che promuove la relazione umana, affettiva ed emotiva, che sa divenire il luogo dove gli incontri quotidiani suscitano quegli stessi interessi e stimoli che i giovani incontrano fuori dalla scuola, ma soprattutto che, valorizzando le peculiarità e potenzialità di ragazzi e adulti, sa dare significato al fatto creativo.

Ho iniziato nel 1972, per passione, durante gli anni di frequenza all’Accademia di Belle Arti di Brera, nel corso di Scenografia. Lì riconosco ora il germe di molte mie scelte successive: il sapere acquisito sui banchi e il fare poi insieme ai ragazzi. Il pensare e il fare non possono essere disgiunti.

Ho condotto negli anni, esperienze in ambiti scolastici ed extrascolastici differenti, che si sono avvalse di più competenze specifiche, dove l’attenzione, offerta a differenti livelli, anche da parte di Enti pubblici e privati, ha dato testimonianza di sensibilità ed interesse.

Questo è il percorso storico delle iniziative corali più significative condotte nella scuola.

– 1975. Un’esperienza. Scuola media statale Giovanni XXIII. Venticinque ragazzi progettano uno spettacolo durante le ore delle Libere Attività Complementari. Opera (Milano).

– 1988. Visivo, musicale, corporeo, verbale… linguaggi diversi, unico obiettivo. Scuola media statale Arcadia: mostra dei lavori pertinenti e spettacolo con 250 ragazzi. Milano.

— 1991. Ignazio, sempre! Scuola media statale Arcadia. Con 209 ragazzi. Messa in scena dello spettacolo presso il teatro del Centro Culturale S. Fedele. Milano.

– 1994. Anno 1994. Alla ricerca del Dante perduto. Liceo scientifico Maria Immacolata. Spettacolo teatrale. Milano.

– 1996. Vale la pena di…. Mostra a tema di bambini, giovani e artisti, allestita presso la galleria Prospettive d’arte, Milano.

– 1997.  … Non stiamo seduti! Mostra-manifestazione presso la galleria Prospettive d’arte. Milano.

Grumi neri 2015 collage_vernice coprente 21,5 x 30,5 cm
Grumi neri 2015 collage_vernice coprente 21,5 x 30,5 cm

Il fare teatro nella scuola è stata una scelta naturale, quasi ovvia, maturata negli anni di frequenza dell’Accademia.

Ricordo con piacere i mitici anni di Brera, nella scuola di Scenografia. Sono stati anni molto importanti per la mia crescita: chi più chi meno, tutti i docenti/artisti hanno dato un’impronta indelebile alla mia formazione e al mio fare di oggi.

Oggi credo di aver sviluppato un linguaggio che mira a considerare l’arte come elemento di aggregazione, coesione ed unità. Il rapporto umano che hanno saputo creare tra noi, ragazzi di ieri e artisti di oggi, è rimasto immutato nel tempo, come il sentimento dell’amicizia che va oltre la visione individuale del proprio lavoro artistico.

Lavorare creativamente insieme ad altri, ragazzi o adulti, è stata la prassi del mio fare, una sfida continua nel fidarsi delle risorse di tipo creativo che è la persona quando opera attraverso determinate realtà e secondo precisi scopi, una sfida alla ricerca di equilibri e una risorsa stimolante in termini di emozioni, difficoltà, soddisfazioni e opportunità di scoperte, il tutto intessuto da quell’entusiasmo inarrestabile che il nuovo sempre mi suscita. Ed è proprio stata quell’infinità di semplici e complesse intuizioni che mi ha catturato di frequente, facendo leva su una certa mia sensibilità nei confronti del diverso da me, conducendomi così alla ricerca di contributi e collaborazioni di altri, superando decisa la soglia di tutti i timori.

Mi avvince il rimettermi in gioco, la scoperta dell’incerto e dell’insolito, il non sostare sulle certezze acquisite, l’affidarmi all’imprevisto, il vivere dando pieno credito e fiducia al rapporto nuovo che va delineandosi con l’altro.

Così anche nella scuola ho cercato di far vivere a giovani e giovanissimi un’educazione che consentisse la condivisione del piacere dello stare assieme, del progettare assieme, del sentire e pensare di fare assieme con Arte, provando questo non ordinario modo di cogliere l’esperienza-conoscenza di sé tramite l’altro.

Il vestito della festa 2019, resina e cotone, 100x85x63
Il vestito della festa 2019, resina e cotone, 100x85x63

Inoltre, la ricerca di relazione si manifesta anche negli allestimenti delle mie mostre: presento sempre opere realizzate con più linguaggi, dalla scultura alla calcografia o alla cianotipia ecc. Attribuisco alla scuola di scenografia aver favorito l’idea di creare comunanza e rapporti tra vari linguaggi e contenuti. E poi l’idea di una messa in scena aleggia sempre nella progettazione di un mio progetto. Così, come accade in teatro, ogni opera assume il ruolo di “personaggio” e va cercando un contesto per una relazione. Per questo gli indumenti non bastano nella loro cruda identità oggettuale, ma vanno “atteggiati” sul piano: devono diventare “attori” su una scena che ne rivelerà una vita nascosta. Possono persino animarsi come dei veri e propri personaggi fluttuanti in un mondo privo di coordinate spazio-temporali: la rappresentazione si risolve infatti sul piano, con movimenti traslati soprattutto sulla superficie del foglio di carta o della lastra calcografica.” Così scrive Luca Nicoletti nella presentazione del mio libro Le regole del gioco.

I linguaggi sperimentali e il “collettivo” sono inscindibili nella tua arte, come pure nella tua attività di organizzatrice di eventi. Da ultimo hai ripreso temi atti a sottrarci all’omologazione del gusto. Il vestito in bacheca, la scultura dell’abito di giovinetta chiuso ermeticamente, si possono interpretare come una chiave, che lascia presupporre come sia possibile imprigionare l’esistenza passata. È questo il tuo messaggio o la tua vuol essere considerata ‘opera aperta’?

L’altro e la diversità: sono sempre stati motivo di attrazione e di attenzione gli incontri con qualsivoglia diversità. Insieme e diversi, che si parli di linguaggi, colori o persone. Per questo, nel mio fare, si mescolano indifferentemente persone o tecniche, linguaggi e forme si incontrano e si sovrappongono creando rapporti, concatenazioni o legami significanti, mantenendo allo stesso tempo la propria specificità.

Ho da sempre amato condividere il piacere di ideare insieme, del dar vita a qualcosa che non rappresentasse solo me. L’esperienza del confronto di pensiero e della conoscenza dell’altro attraverso il fare, unita ai molteplici significati che il noi invece dell’io comporta, mi hanno sempre catturata sino a farmi privilegiare molto spesso le attività corali. Il piacere della scoperta, del creare, della bellezza, per essere tale, va condiviso.

Cooperare è stata quasi la normale modalità del mio agire. Oltre a diversi spettacoli, realizzati con ragazzi a scuola e in teatri, raramente con attori professionisti, ma sempre con parecchie persone di ogni fascia d’età, ho curato e allestito mostre collettive e personali, realizzato opere e libri d’artista, talvolta vivendo in città diverse. Dal 2000 si è imposto il desiderio di lavorare gomito a gomito con amici artisti. Non è stato facile, pur conoscendosi, è stato necessario mettersi a nudo gradualmente con slanci e attese, coraggio e rispetto.

Illumino il nero 2023 metacrilato inchiostro 59x55 cm
Illumino il nero 2023 metacrilato inchiostro 59×55 cm

Ho considerato poi, le riflessioni di Massimo Recalcati quando afferma che l’esperienza che noi possiamo fare della bellezza attraverso l’arte sia un evento che scuote il consueto del mondo e ci introduce ad un altro mondo. Si può pensare che la storia dell’arte sia la “Storia della bellezza”, per dirla con Umberto Eco, proposta nelle categorie della proporzione, dell’armonia, dell’equilibrio, dell’ordine, della perfezione e che la bellezza abbia avuto, come finalità fondamentale, quella di oscurare il terrificante, coprendone la ferita. Questa idea di rappresentazione della bellezza si è modificata profondamente nell’arte contemporanea, portando con sé il tentativo di incorporare la ferita nella bellezza.

Nella mia opera Il vestito della festa, scultura in resina nella quale ho “congelato” l’abito indossato da mia mamma in occasione del primo incontro con mio padre, ho sentito la necessità, di non esorcizzare il terrificante, la ferita – ovvero la scomparsa della mamma -, bensì di includere la ferita, il dolore, nella bellezza, per pensare che esista una bellezza della ferita e confrontarmi con ciò che appare inesprimibile, la perdita. La forza dell’opera sta nel restituire qualcosa di ciò che non ha immagine, nel rappresentare l’irrappresentabile, nel raffigurare l’irraffigurabile.

Queste riflessioni mi riportano a Cecilia De Carli e a quanto affermava nella presentazione in catalogo della mia mostra Sosia D’ombra del 2004: […] il filosofo Dino Formaggio, che scrive un capitolo magistrale sulla possibilità progettuale dell’arte (Arte, Isedi, Milano 1973), sostiene che ‘mentre il sensibile traccia percorsi reali che portano al certo, traccia anche insieme i percorsi continuamente trasplananti, fondamentalmente immaginativi, della possibilità progettuale, e quindi dell’arte’. In questo si identifica la nascita sensibile del possibile che diventa temporale, di segni che mimano incessantemente i sensi spesso inafferrabili del mondo, per concludere che ‘è l’invisibile a dare senso al visibile, ma nella misura in cui l’invisibile s’incarna, si fa corpo, materia e segno’.

Il lavoro di Sara Montani mi ha fatto riaffiorare questo pensiero filosofico per la sua esplicita volontà di manipolazione del reale, quasi come regola del suo fare arte per dar valore all’incontro delle differenze, degli opposti, della ricerca interpretativa che passa attraverso la proiezione della propria individualità […]

Lib(e)ri per giocare 2015 tempera su carta da spolvero e tessuto; testi a stampini; copertina in acetato e colori acrilici; realizzato con Arian
Lib(e)ri per giocare 2015 tempera su carta da spolvero e tessuto; testi a stampini; copertina in acetato e colori acrilici; realizzato con Arian

 

Ecco, con l’opera aperta, l’opera d’arte si trasforma da oggetto a processo. Per “opera aperta” si intende un’opera d’arte la cui identità estetica, formale o materiale non è definita una volta per tutte, ma soggiace a fattori di variabilità che la rendono sempre diversa. Nelle mie sculture in resina inoltre, accade anche che il materiale, per fattori climatici, caldo o freddo, subisca lievi modifiche della forma.
La mia ricerca nel corso del tempo, si è concretizzata in una riorganizzazione archeologica e antropologica, fatta con oggetti/reperti, da cui trarre a volte opere materiche, altre incisioni, stampe monoprint e monotipi o sculture e installazioni. L’abito, quale traccia privilegiata del vissuto, segno equivalente al linguaggio, possiede la capacità di salvaguardare stralci di vita, costumi passati, memorie di ciò che non ha immagine, che è irraffigurabile.
L’abito, la sottoveste, la camicetta, un grembiulino, un colletto o il bavaglino mettono al centro l’Uomo, trattengono in modo effettivo, concreto, fisico la vita, il valore dell’esistenza. Sono oggetti del quotidiano in cui sono impresse tracce, vissuti e memorie, echi di corpi e di presenze fisiche, che perdono la loro funzione originaria e banale e, attraverso l’impronta, evidenziano la resa scultorea del vuoto, si trasformano in forme evocative cariche di rimandi. Il dar loro nuova forma mi prende, l’invisibile dà senso al visibile, si incarna, si fa corpo, materia e segno e, allo stesso tempo, mi consente di recuperare immagine storica e tradizione. È il processo artistico che trasforma le cose in forme evocative cariche di rimandi.

L’abito ha un significato culturale e sociale: concentra la funzione pratica, legata alla vestibilità e al gusto dell’epoca, e quella simbolica, che identifica uno status sociale, civile e religioso. Attesta l’evoluzione dal punto di vista antropologico-etnografico, documenta la trasformazione del costume, della moda, del consumo e anche il punto di vista socioeconomico. Degli abiti si possono quindi studiare le materie prime impiegate, i tessuti, gli aspetti estetici e quelli simbolici, i
fattori economici e le gerarchie sociali.  Io sono stata catturata soprattutto dalle loro impronte.
In tale senso, dunque, un’opera d’arte, forma compiuta e chiusa nella sua perfezione di organismo perfettamente calibrato, è altresì aperta, possibilità di essere interpretata in mille modi diversi senza che la sua irriproducibile singolarità ne risulti alterata. Ogni fruizione è così una interpretazione e una esecuzione, poiché in ogni fruizione l’opera rivive in una prospettiva originale. (Umberto Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962).

Hai ricevuto importanti premi non solo a livello nazionale. Sei stata più volte membro della Commissione Artistica Annuale della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano, ed ora sei stata nominata nel Consiglio direttivo per il triennio 2022-2025. Hai faticato a farti riconoscere? Hai avuto difficoltà nell’essere una donna artista? Che consigli puoi dare ad artiste principianti?

Libertà va cercando, 2002 ceramolle acquaforte17x120cm
Libertà va cercando, 2002 ceramolle acquaforte17x120cm

Il pensiero di farmi riconoscere non mi appartiene. Non so proprio come rispondere a questa domanda: non me ne sono mai curata. Ho insegnato, cresciuto tre figli, partecipato a molte mostre collettive e allestito tante personali, in Italia e all’estero; ho curato mostre a carattere socioculturale e regie di moltissimi spettacoli con ragazzi e giovani; ideato più progetti didattici per avvicinare l’arte ai ragazzi, la stamperia BcomeBottega, la galleria delle Lavagne, Artinaula, OcomeOmbra, ma mai mi ha sfiorato l’idea di essere riconosciuta. L’esperienza di farsi riconoscere come artista può variare notevolmente da persona a persona. Il mondo dell’arte è sicuramente molto competitivo con numerosi artisti in cerca di visibilità.

La caparbietà, la coerenza, la persistenza nella produzione artistica e la presentazione di opere di alta qualità, possono favorire gradualmente una maggiore notorietà e contribuire al riconoscimento. Come anche l’avere una solida rete di contatti nel mondo dell’arte. Partecipare a eventi, mostre e connettersi con altri artisti può essere prezioso e può contribuire a creare una presenza nel settore.

Credo tuttavia che sviluppare una ricerca artistica autentica e unica possa distinguere un artista dagli altri, attirando l’attenzione di collezionisti e curatori.

Nevicare 2021 particolare stampa a secco e monoprint carta Graphia 310g, testi a caratteri mobili
Nevicare 2021 particolare stampa a secco e monoprint carta Graphia 310g, testi a caratteri mobili

È importante poi notare che il percorso di ciascun artista è unico, e il successo può richiedere tempo. La perseveranza, la dedizione e la ricerca costante di opportunità possono contribuire a superare le sfide e ottenere riconoscimento nel tempo. Anche il continuare a sviluppare le proprie abilità e rimanere aggiornati sulle tendenze artistiche mantiene l’interesse e l’attenzione del pubblico.

Le sfide che una donna artista può incontrare sono spesso influenzate da dinamiche sociali,

culturali e di genere. Alcune delle sfide più comuni includono il bilanciamento tra carriera artistica e responsabilità familiari. E c’è anche la necessità di affermare la propria voce e visione artistica in contesti in cui le voci femminili possono essere trascurate o minimizzate.

È importante anche considerare che queste sfide possono variare notevolmente, a seconda del contesto culturale e geografico, ma mi pare che le donne artiste, oggi, spesso affrontino queste sfide con forza, impegno e notevole creatività e capacità, al fine di superarle e affermare la propria presenza nel mondo dell’arte.

Ad un’artista principiante mi sento di manifestare un solo consiglio: “Sii aperta agli errori e alle sfide. L’arte è un processo di apprendimento continuo, e ogni errore può essere un’opportunità di crescita.”.

www.saramontani.com

info@saramontani.com

Linkedin: Sara Montani

Instragram: Sara Montani Arte

Studio: via Noto 15 – 20141 Milano

L'autore

Maria Gioia Tavoni
Maria Gioia Tavoni
M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it