Gli amici di Brusuglio (Perrone, 2021) è il primo romanzo di Isabella Becherucci, professore ordinario di Letteratura italiana dell’Università Europea di Roma. Filologa, manzonista, grande conoscitrice del secolo xix, l’autrice presta la sua voce ad Alessandro Manzoni e a tutti i personaggi che attorno a lui costantemente gravitano, permettendoci di rivivere quegli anni tanto complessi per la storia politica nazionale, quanto tormentati per il giovane Lisander, in cerca di una tranquillità che troverà (o, almeno, cercherà di trovare) solo nella scoperta della fede. Sabato 16 dicembre 2023 ha ricevuto il premio Firenze per la sezione Manzoni; l’abbiamo intervistata a chiusura del 150esimo anniversario della morte dell’autore.
Sciogliamo subito un dubbio ai nostri lettori: cos’è un romanzo filologico?
Il sintagma è stato coniato da un mio studente del corso di laurea di Scienze della Formazione Primaria quando ha dichiarato che ci vorrebbero delle note quasi a ogni rigo del romanzo per il rinvio alle citazioni dalle opere e dai manoscritti manzoniani (il ragazzo aveva già fatto il corso di Letteratura italiana sulle tragedie). Infatti, come per il romanzo storico l’intento è quello di divertire ‘erudendo’, così anche per questo romanzo filologico: ma a differenza del primo, nel mio lavoro io non divulgo solo dati noti e studiati da altri, ma anche e soprattutto i risultati delle mie ricerche d’archivio sugli autografi, apografi, documenti manzoniani e di gran parte del primo Ottocento. Molti questi sono stati pubblicati su riviste scientifiche prima e durante e dopo la composizione del romanzo e ho intenzione di raccogliere i lavori extravaganti in un volumetto dal titolo Postille agli “Amici di Brusuglio” (in effetti, già il sottotitolo di ‘postilla’ accompagna i miei ultimi tre contributi).
Qualche esempio (purtroppo, per ragioni di collana, non è stato pubblicato l’indice): il racconto della revisione della prima stesura dell’Adelchi e il cambio del progetto sul protagonista (raccontato nel cap. 9della Parte I, I metodi non ufficiali della Censura austriaca, pp. 319-320) viene dagli studi concretizzati nell’edizione critica della tragedia (Accademia della Crusca, 1998), mentre l’idea di attenuare l’impatto della sua presentazione in Censura nel maggio 1822, ripubblicando quasi identicamente gli Inni Sacri del 1815 (proprio mentre stava a mezzo della composizione della Pentecoste: Parte II, cap. 10, La situazione precipita, p. 326) è dimostrata nell’articolo Gli Inni Sacri del 1822: strategie editoriali (in I «cantici» del Manzoni (…), a cura di G. Bardazzi, Pensa MultiMedia, 2015) e argomentata nel saggio Imprimatur. Si stampi Manzoni, Marsilio, 2020. E così per il capitolo 8 della Parte II, La morte di Napoleone, dove le vicende compositive e divulgative dell’ode del Cinque Maggio sono rappresentate nella nuova sua edizione critica a mia cura (in «Prassi ecdotiche della modernità letteraria», 4/9, 2019) e poi ancora una volta argomentate in Imprimatur. Si stampi Manzoni (cap. 5, Il «Cinque Maggio» e le sue vie segrete): nel romanzo quelle vicende sono sceneggiate, dando voce a tutti i partecipanti dell’intelligente operazione di promozione di una poesia pericolosissima, in un’epoca in cui era proibito persino pronunciare il nome di Bonaparte (e l’ode difatti non lo pronuncia mai, ma vi allude nel famoso pronome personale di terza persona, benché la data in fronte al componimento lo dichiari immediatamente). Una tappa importante di questa operazione clandestina, come quella della sua divulgazione attraverso la musica (Parte II, cap. 12, Esecuzioni musicali), è stata anche rappresentata nel video realizzato dai marchesi Berlingieri, proprietari della villa di Brusuglio, in occasione dell’anniversario dei duecento anni dalla composizione dell’ode e che si può rivedere sul sito privato della dimora: si ‘recita’ e si esegue la trasposizione in musica del maestro Gambarana (prima esecuzione moderna sul fortepiano originale) proprio nel giardino, accanto alla famosa catalpa dove Manzoni lesse l’annuncio della morte di Napoleone sulla Gazzetta Ufficiale del 16 luglio 1821.
Comunque, negli Amici di Brusuglio non solo sono ripresi i lavori – si può dire di una vita– ma si lanciano anche proposte nuove, sempre sul fronte filologico, per esempio nel cap. 6 della Parte II, dal titolo emblematico di Quasi un colpo di mano: nel quale si rappresenta Manzoni circondato dagli amici, reintegrati nel loro vero ruolo di comprimari, intenti a discutere della Prima introduzione al romanzo (poi Fermo e Lucia) addirittura nel mese di febbraio, quando ancora i due primi capitoli di questa prima stesura non erano stati composti: rovesciando, così, posizioni filologiche indiscusse (ho presentato questa ipotesi al convegno per i duecento anni dell’Adelchi: Durante la composizione dell’Adelchi: venti nuovi, «Rivista di studi manzoniani», VI, 2022, pp. 13-30). Ma per scendere su di un piano più leggero, la filologia entra anche nella rappresentazione della storiella d’amore fra Tommaso Grossi e Mademoiselle Perrière (Parte II, cap. 2, Digressione d’amore): l’epistolario dimostra chiaramente che la signorina fu licenziata per altri motivi che per l’aria malsana di Milano (si veda Seconda postilla a Gli amici di Brusuglio: gli ‘ardori’ di Tommaso Grossi, «Quaderni borromaici», 9, pp. 23-33).
Anche la domanda che segue è d’obbligo: cosa spinge una filologa a cimentarsi in prima persona col genere romanzo?
L’impulso alla narrazione è venuto dal riconoscimento che quel periodo fondamentale della vita di Manzoni – durante il quale nascono le sue opere più importanti – aveva tutte le caratteristiche per diventare un romanzo di formazione, non solo del grande autore, ma anche di coloro che gli stavano attorno. Un’avventura, insomma, in cui tutti i personaggi compiono un percorso originale verso la loro presa di coscienza di sé, mascherato, meglio occultato, per non incorrere nella imputazione di rivoluzionari: perché ciò per cui Manzoni e gli amici stavano lottando era, infatti, una vera e propria rivoluzione attuata attraverso i loro scritti, metodologici e artistici, molti dei quali propagati sul giornale romantico dal titolo antifrastico Il Conciliatore e comunque pubblicati dall’intraprendente editore Vincenzo Ferrario. E poi c’era la volontà di riformare il sistema scolastico, allargando – come si direbbe oggi – l’utenza per mezzo delle Scuole di Mutuo Insegnamento («Erano convinti che la via principale per la conquista di una patria libera e unita doveva passare tramite la formazione scolastica delle nuove generazioni. Il ruolo imprescindibile della scuola nella società, quello era un tasto fondamentale», Parte II, cap. 3, A ciascuno la sua parte, p. 240). Il rischio era altissimo perché la polizia austriaca indagava proprio sugli intellettuali schierati all’opposizione, la cui speculazione e le cui iniziative gettavano esca ai moti carbonari culminati nella congiura del marzo 1821.
D’altronde gli studenti dei miei corsi me lo chiedevano da tempo, «professoressa, perché non ci scrive su un romanzo?»:posso dire, dunque, che è una sfida che ho raccolto anche dietro la loro sollecitazione e ho l’orgoglio di confessare che me ne sono venute gratificazioni straordinarie dal compito scritto che hanno svolto come prova d’esame: ricordo, tra i tanti titoli che avevo dato loro, in particolare due tracce più generali, Manzoni e la scrittura: l’arte come arma con cui combattere la società del malcostume e La cultura come chiave per il cambiamento della società, nelle quali le studentesse mi hanno confermato che la mia missione di tramandare il ‘progetto’ di un gruppo di uomini straordinari del primo Ottocento ha colpito nel segno: la narrativa, insomma, è un conduttore ideale di materiali altrimenti non fruibili dai giovani di oggi e si oppone con le vecchie armi dell’affabulazione alla schiavitù degli slogan e della massificazione cui essi sono sottoposti, esaltando le loro capacità di ragionamento e di intraprendenza.
Una “manzonistissima” caratteristica de Gli amici di Brusuglio è la presenza di un’introduzione, che non ci conduce, però, direttamente ad un autore anonimo fittizio ma a una sorta di “giallo” da risolvere …
Un manoscritto dimenticato, classico escamotage di una linea narrativa molto manzoniana, è celato nella biblioteca privata del magistrato inquirente Antonio Salvotti, ancora conservata nella sua villa sulla collina di San Giorgio a Trento, e viene ritrovato dal figlio, il rivoluzionario Scipio, tre giorni dopo la morte del padre. Si tratta di un romanzo anepigrafo che si apre con una denuncia anonima di sobillazione tramite scritti (art. 57 del Codice Penale Austriaco) e di alto tradimento (art. 56) contro Alessandro Manzoni e i suoi amici. È questo il motore del romanzo presentato nell’Introduzione, ripreso nel capitolo centrale Intermezzo e chiarito alla fine (Conclusione): la cornice, insomma, che racconta dell’indagine reale condotta dal famoso magistrato (si vedano gli atti nell’Archivio di Stato di Milano, Processi politici, vol. I, cartelle relative al Processo contro la Carboneria, Processo di Milano del 1821 e Appendice: cartelle 26-67e in particolare cartella 42, con la relazione del Salvotti del 5 agosto 1822, Rapporto riservato al solo presidente). Ma nella stessa cornice, proprio nelle ultime pagine del romanzo, è proposta una diversa soluzione del «Caso Manzoni» (Parte II, cap. 13): l’autrice è una donna che ha lavorato parallelamente all’inquisitore su materiali originali, giungendo a una valutazione opposta sul delatore. Un risultato al quale, nelle vie ufficiali, non sarebbe stato dato alcun credito, considerato il maschilismo allora imperante (e forse ancora oggi, almeno nell’accademia): attraverso una rielaborazione romanzesca dell’azione sobillatrice di Manzoni & Company, la scrittrice arriva a proclamare un’altra verità. Come la fittizia autrice degli Amici di Brusuglio attese un riconoscimento che giunse tardivo e privato, ma risolutore dei rapporti fra padre e figlio Salvotti, così la reale autrice lo ha ricevuto, parimenti in via confidenziale, dai discendenti del traditore, che le hanno anche mostrato un inedito suo ritratto: un quinto quadretto da attaccare idealmente accanto a quello dei quattro amici nella camera da letto di Manzoni a Brusuglio? Anche chi fino ad oggi era stato considerato il famigerato traditore si era, in realtà, attivato alla promozione delle opere dell’antico compagno di scuola, attraverso i suoi canali che, come quello musicale o pittorico (si pensi ai quadri di Hayez, utili quanto la musica del Gambarana), congiurarono felicemente contro l’ostruzionismo della censura austriaca.
La costruzione dei personaggi, nel suo romanzo, è sapientemente ragionata e porta il lettore a vivere la storia insieme a loro, a calarsi nel tempo e nel costume dei protagonisti. Da qui, due domande in una: come è stato trattare il Manzoni-personaggio, veicolarne i pensieri, i sentimenti, le parole … ? Al di là di don Lisander, c’è qualche personaggio che ha amato più degli altri raccontare?
Il desiderio di rendere vivi e operativi i miei personaggi si è manifestato come un flusso immediato e continuo, a cui avevo finalmente aperto una via: forse erano anni che attendevo il momento giusto e i tempi lunghi della reclusione domestica nei mesi più aspri della pandemia di Covid-19 me lo hanno regalato. Di certo mi hanno aiutato i precedenti lunghi soggiorni a Brusuglio, ospite dei marchesi Berlingieri, durante i quali mi sono immersa nell’atmosfera della casa, conoscendone a fondo tutti gli anfratti, compresi i percorsi riservati ai domestici e i loro locali a ovest rimasti intatti, come integro è ancora lo studio a piano terra di Manzoni (a tutt’oggi senza luce né riscaldamento). D’altronde con il grande scrittore erano anni che convivevo: la conoscenza approfondita della sua calligrafia, per esempio, è stato un viatico fondamentale per la ricostruzione della sua personalità. Dal modo in cui la scrittura si distende sulla pagina si vede tutto dell’autore, specialmente nel caso di un artista: ci regala sprazzi di luce inimmaginabili sul suo benessere o malessere giornaliero. Il personaggio, comunque, mi era ben noto anche grazie alle numerose e ottime sue biografie. Potrei scrivere fiumi di parole sui ‘miei amici’. Mi limito a dire che ho molto amato Ermes Visconti per la sua ribellione alle aspettative di famiglia: è stato uno scapolone impenitente (riservatissimo sui suoi affari di cuore) e non ha mai dato l’erede atteso al casato, di cui lui rappresentava l’ultimo rampollo. Naturalmente mi sono rispecchiata in tutte le donne e in Giulia Beccaria ho trasposto molti tratti di mia madre (compresi i frizzi e il suo modo di stare in società). Ho cercato di rivalutare la povera Enrichetta, di cui non si ha nemmeno un ritratto, a parte il piccolo ovale in coppia con Alessandro realizzato per il loro matrimonio, e che Manzoni amò appassionatamente. Significativa la dedica dell’Adelchi: «Alla diletta e venerata sua moglie / Enrichetta Luigia Blondel / la quale insieme con le affezioni conjugali e con la sapienza materna / poté serbare un animo verginale / consacra questo Adelchi l’autore / dolente di non potere a più splendido e a più durevole monumento / raccomandare il caro nome e la memoria di tante virtù». Il personaggio di Enrichetta, dunque, nel mio romanzo acquista uno spazio maggiore rispetto a quello di donna Giulia, anche sulla quale, fra l’altro, esistono ben documentate biografie. Ma soprattutto mi sono riconosciuta e rispecchiata nell’autrice del romanzo, che condivide con me l’essere la consorte di un professionista dedito alla ricostruzione delle responsabilità penali e civili dei suoi imputati. Mi fermo qui.
Gli amici di Brusuglio ha un’altra peculiarità che mi è parsa tutta manzoniana: una lingua elevatissima che si accompagna ad una leggibilità incredibilmente scorrevole e piana, oggettivamente aperta a tutti i livelli di lettura. Ce ne parla?
Ho passato gran parte della mia vita a scrivere anche sul fronte della narrativa, senza rendere pubblico alcun che fino agli Amici di Brusuglio: diciamo che mi sono allenata. In fondo anche per la scrittura vale la regola di tutte le arti, fisiche e intellettuali: fare esercizio tutti i giorni. E poi ho letto molto, a partire dalla narrativa ottocentesca (compresi i romanzi di appendice) in lingua originale, visto che in casa mia si parlava in francese e c’era una biblioteca attrezzata.
Gli studi letterari e Manzoni hanno fatto il resto. Ho voluto riecheggiare molto dei Promessi sposi in ampi passi del mio romanzo: per esempio nel capitolo 4 della Parte I, Conversione una e trina, dove la ricerca di Manzoni della sua Enrichetta smarrita nelle feste per il matrimonio di Napoleone è tutta ricamata sulla falsa riga di Renzo recatosi nel lazzaretto con la volontà di trovare Lucia.
E ho anche lavorato per il commento al testo, con proposte forse un po’ provocatrici, come quella di riconoscere nella celebre descrizione manzoniana del passaggio di Gertrude dall’infanzia alla pubertà («si era inoltrata in quell’età così critica … in cui una potenza misteriosa entra nell’animo…») l’avvento del menarca nella primogenita di Manzoni: «Visconti (da una postilla autografa al Fermo e Lucia): “A quattordici anni? Dunque è il principio della vera adolescenza?”. Ma Manzoni pensava ad altro. Un ‘uccellino’ gli aveva rivelato una gran notizia e per lui, papà affettuosissimo, ancorché sempre sulle sue, era stata una emozione forte: c’era ora una signorina in famiglia!». Questo ‘parlato’ viene dalla mia esperienza personale, ché allora così si descriveva l’evento fondamentale della vita di una donna. Ma potrei moltiplicare gli esempi di questa assunzione dal ‘lessico famigliare’ di casa Becherucci.
Tornando a Manzoni: nel romanzo si comprende a fondo come la sua conversione fosse non solo un passaggio intimamente sentito dallo scrittore ma avvertito dalla sua intera famiglia, Enrichetta in primis, specie dopo la nascita di Giulietta … andò effettivamente così?
Se Manzoni non ha voluto mai parlare direttamente di questo evento, nei Promessi sposi lo descrive ampiamente, come è ben risaputo, attraverso il racconto delle conversioni di tanti dei suoi personaggi (la più celebre è quella dell’Innominato). Anche su questo l’aneddotica è amplissima e si rischia di scadere in luoghi comuni. A chi, comunque, fosse ancora interessato a sviscerare l’annosa questione, suggerisco di leggere e meditare un’opera fondamentale per la composizione del capolavoro manzoniano: le Osservazione sulla morale cattolica, di cui sta per uscire per l’Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di A.M. il testo della prima edizione con il commento a cura di Giovanni Bardazzi e con la mia collaborazione (per la parte filologica).
Un’ultima domanda. Cosa pensa di questo 150esimo anniversario manzoniano che sta per chiudersi? Crede che abbia prodotto unicamente contributi di alto livello scientifico o che questi si siano persi, come già per Dante nel 2021, nel mare magnum dell’onda mediatica e della frenesia celebrativa?
Saluto con entusiasmo ogni lavoro che si ispiri all’opera manzoniana nel suo insieme: ma i centenari costituiscono spesso occasioni, purtroppo, anche di speculazione economica. Quando questa si sposa con dei buoni contributi, sono nozze felici; in caso contrario vale il verso dantesco: «Non ragioniam di loro, ma guarda e passa». Ad ogni modo, a questo mondo non solo c’è giustizia finalmente, ma anche – grazie al web – c’è finalmente posto per tutti.
teresa.agovino@unimercatorum.it
L'autore
- Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.
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