1. Le colinde sono un’ampia categoria di canti rituali narrativi, eseguiti all’interno di una complessa cerimonia che coinvolge l’intera comunità tradizionale del villaggio romeno nel periodo del solstizio d’inverno, tra Natale ed Epifania. Nel vasto ed articolato sistema folclorico romeno, che comprende numerosi generi narrativi e lirici interamente affidati all’oralità, le colinde occupano un posto di assoluto rilievo, ponendosi assieme ai canti vecchi ai vertici della produzione poetica orale[1].
La pratica rituale di cui fanno parte va collocata tra le manifestazioni di vita religiosa che presso tutte le civiltà europee e del vicino Oriente, coincidono con il periodo del solstizio invernale, momento critico del ciclo calendariale, che prevede credenze, mitologie e attività rituali radicate nella storia più antica dell’umanità. All’interno della pratica cerimoniale romena ritroviamo, tanto nei gesti e nelle prescrizioni rituali, quanto nel contenuto dei canti, i principali significati mitico-religiosi del Capodanno agrario. La presenza di alcuni temi caratteristici e largamente diffusi, quali l’identificazione tra ciclo del sole e ciclo agronomico, in generale le connessioni con il rinnovo del ciclo vitale e delle riserve alimentari, permette di inquadrare con sicurezza le colinde romene in un ampio orizzonte culturale e religioso. Gli studi di folclore comparato hanno inoltre dimostrato che la pratica delle colinde è diffusa in forme sostanzialmente simili su di un area molto vasta, con attestazioni presso romeni, bulgari, ucraini e in forma minore presso polacchi e altri popoli slavi.
Il rito del colindat ha quindi un sostrato arcaico, precristiano, di vasta diffusione, legato alle antichissime credenze e pratiche cerimoniali ancestrali, legate per i popoli dell’Europa orientale al momento del solstizio invernale.
D’altra parte, allo stesso tempo, il rito del colindat, nelle forme in cui noi ora lo conosciamo e lo possiamo studiare, è un’importante manifestazione spirituale di una società di lunga e ininterrotta tradizione cristiana. Gran parte della storia delle colinde si è dispiegata sotto l’influsso millenario del cristianesimo. È facilmente comprensibile inoltre che l’occasione rituale e l’orizzonte di senso all’interno del quale si collocano le colinde, nella coscienza dei loro interpreti e destinatari popolari, siano strettamente legati alle grandi feste del Natale e dell’Epifania e ai loro significati religiosi.
Le colinde si configurano pertanto come un capitolo importante della storia del cristianesimo rurale in Romania. Esse ci appaiono come testimoni d’eccezione non solo della vita rituale e della produzione poetica e spirituale del villaggio romeno, ma anche delle tensioni e delle poste in gioco ideologiche che il processo di cristianizzazione ha incontrato lungo il suo cammino di confronto con i riti e le credenze della comunità tradizionale.
Nel terzo volume della sua Storia delle credenze e delle idee religiose, Mircea Eliade dedicava alcuni importanti capitoli alla «sopravvivenza delle tradizioni religiose precristiane» nell’Europa moderna. I materiali proposti alla discussione, con il compito di illustrare il sincretismo pagano-cristiano e la resistenza nel corso dei secoli del patrimonio tradizionale, provenivano, non a caso, in gran parte dal folclore romeno. La pratica ancestrale dei canti del solstizio invernale (colinde) – diventava in questo modo una tappa esemplare di un percorso critico, che mirava, in ultima istanza, a restituire un posto di primo piano, nel quadro di una storia religiosa dell’Europa, alle esperienze spirituali e alla creatività mitologica e poetica delle popolazioni rurali.
«Sfortunatamente non esiste ancora un’ermeneutica adeguata delle tradizioni rurali o, per meglio dire, un’analisi dei testi orali mitico-religiosi paragonabile all’interpretazione delle opere scritte. Un’ermeneutica di questo genere porrebbe in evidenza tanto il profondo significato dell’adesione al patrimonio tradizionale quanto le reinterpretazioni creative del messaggio cristiano. In una storia ‘totale’ del cristianesimo occorre anche tenere conto delle creazioni specifiche delle popolazioni rurali: accanto alle diverse teologie elaborate a partire dall’Antico Testamento e dalla filosofia greca occorre considerare gli abbozzi di “teologia popolare”, in cui si troveranno, reinterpretate e cristianizzate, parecchie tradizioni arcaiche, dal Neolitico fino alle religioni orientali ed ellenistiche».
2. Da un punto di vista etnografico, la pratica prende il nome di colindat. Nei villaggi romeni il rito assume forme particolarmente ricche e complesse, articolate in diverse categorie, ognuna con le proprie regole e funzioni. La categoria più importante, chiamato dai folcloristi colindat propriamente detto o di gruppo (de ceată), si distingue non solo per i modi e i tempi dell’esecuzione, ma anche per l’ampiezza e la profondità dei significati veicolati dai suoi canti, le colinde.
Gli esecutori del rito, chiamati colindători, sono persone del villaggio, che a partire dal 15 novembre e fino a una settimana prima di Natale, si organizzano in uno o più gruppi, ordinati gerarchicamente, con regole e ruoli prestabiliti, incontrandosi per imparare il repertorio di canti. La forma più arcaica, originaria, è rappresentata dal gruppo che comprende una sola categoria di età: i giovani maschi non sposati. L’esecuzione del colindat avviene di norma nella notte della vigilia di Natale (24 dicembre) e a Capodanno, solo sporadicamente in altre date. Il gruppo di colindători inizia a girare per le vie del villaggio subito dopo il tramonto, terminando il rituale all’alba. Loro compito principale è quello di fermarsi presso tutte le unità familiari del villaggio, cantare un numero variabile di colinde e augurare prosperità e salute. Il tipo di testo cantato varia in base all’età, al sesso, alla posizione sociale e professionale dei destinatari, in una ricca tipologia che prevede colinde specifiche per il padrone di casa, per la ragazza in età da marito, per i giovani sposi, per gli anziani, per il prete o per i vedovi.
Dal padrone di casa i colindători ricevono, in cambio dei loro canti e auguri alcuni doni rituali, dei quali i più importanti sono il colac, ossia una ciambella dolce, e il vino.
Accanto a questo tipo di cerimoniale, ve ne sono altri che si sono aggregati al colindat propriamente detto, essendo eseguiti nella stessa occasione rituale, a volte sovrapponendosi ad esso. Il colindat con le maschere ă chiaramente pratica ancestrale, sopravvivenza pre-cristiana del folclore estremamente conservativo dei romeni. Si gira di casa in casa, secondo la tipologia del colindat, con un uomo che indossa una maschera zoomorfa o teriomorfa (chiamata capra, turca, brezaia) accompagnato da strumenti musicali.
I ragazzi in età scolare girano invece cu steaua, con la stella, cantando i cosiddetti canti di stella. I canti di stella, a differenza delle colinde, sono di origine colta o semi-colta, hanno sempre alla base un testo scritto, diffuso dai rappresentanti del clero locale, i preti e i maestri el vullaggio, e entrato a far parte del repertorio eseguito oralmente dai ragazzi. Solo l’esecuzione è orale. Per le colinde, invece, la produzione e la creazione dei testi, avviene integralmente nella dimensione della oralità, all’infuori di ogni influsso della parola scritta. Sono canti tradizionali, che la comunità rurale si tramanda di generazione in generazione, per le vie dell’oralità.
3. Di cosa parlano i testi delle colinde? Come si sarà capito, il repertorio è estremamente vasto e diversificato. Ci sono testi che hanno temi che fanno parte della cultura tradizionale, pre-cristiana, della comunità rurale, testimonianze del fondo antichissimo di miti e immagini ancestrali, che le colinde sembrano aver preservato in modo più coerente e perspicuo rispetto ad altri generi folclorici: la caccia rituale, i riti iniziatici, le cosmogonie, la lotta con il leone, i fratelli cacciatori tramutati in cervi, e altri consimili.
Una delle caratteristiche che rendono unica la colinda romena nel panorama del folclore europeo è, infatti, la sua spiccata arcaicità, l’aspetto fortemente conservativo dei suoi contenuti. Non vi sono dubbi che alcuni generi orali romeni, quali la colinda, il canto vecchio e il canto di sepoltura, conservino, all’interno di forme poetiche perspicue e coerenti, praticate e fruite attivamente fino ai nostri giorni, tracce ancora leggibili del fondo più arcaico di temi, immagini, credenze della mitologia tradizionale europea.
I tratti arcaici riscontrabili nei canti popolari romeni sono stati, come abbiamo già notato, uno dei punti di forza delle indagini di Eliade nel campo specifico della storia delle religioni. I risultati critici così ottenuti non sono di poco conto ed anzi, ad essi si accompagna l’innegabile vertigine di una scoperta fondamentale: rileggendo i testi delle colinde si potrà constatare, ad esempio, che «nonostante sedici secoli di cristianesimo e altre influenze culturali, fino a solo una generazione fa, nelle società rurali dell’Europa sudorientale si potevano rinvenire tracce di scenari iniziatici», vale a dire pratiche e credenze ancestrali, articolate in un sistema mitico-rituale ancora solidamente strutturato.
Una gran parte del materiale narrativo delle colinde tradizionali romene è tuttavia di origine cristiana: la nascita, il battesimo, la passione di Gesù, la discesa dei santi e di Dio sulla terra, la Madonna con il bambino, il giudizio di Adamo, la disputa del grano, del vino e dell’olio santo, fanno parte asieme a molti altri motivi e formule di origine cristiana del repertorio fondamentale dei canti romeni per il solstizio invernale. Questo vasto materiale narrativo e simbolico, di natura orale e tradizionale, ha origine da fonti molteplici, che possono essere costituite da episodi biblici canonici e apocrifi, da leggende cristiane popolari, da racconti agiografici, da frammenti di testi liturgici, tutti rielaborati in maniera coerente con le prescrizioni e le funzioni del genere folclorico.
4. Sarebbe difficile sopravvalutare l’importanza del repertorio di testi del cosiddetto rito del colindat de ceată (‘colindat di gruppo’) ai fini di una compiuta interpretazione della cultura tradizionale romena. La complessa pratica cerimoniale di cui le colinde sono parte integrante coincide, come abbiamo mostrato, con uno dei momenti di maggiore concentrazione rituale del ciclo calendaristico, collocandosi al centro di un ampio orizzonte religioso, al cui interno si sovrappongono i significati del Natale cristiano e del Capodanno agrario, la storia sacra della salvezza e la rifondazione del ciclo vitale o, come direbbe Mircea Eliade, la rigenerazione periodica del tempo[2]. Le colinde romene si trovano quindi al crocevia di numerosi sistemi simbolici, fungendo da irresistibile polo d’attrazione per una vasta serie d’immagini, narrazioni, significati e tradizioni rituali di origine differente. La ricchezza e la densità del repertorio poetico veicolato dai testi del colindatè confermato dal grande indice tipologico della colinda approntato da Monica Brătulescu[3], che descrive, organizzandola per motivi e categorie tematiche, una realtà poliedrica, i cui diversi livelli di significato sono di fatto irriducibile a un’unica fonte o dimensione culturale.
Non molti anni fa Mihai Pop rilevava l’esistenza di sostanziali affinità fra i testi del colindat e la poesia medievale dell’Europa occidentale, ipotizzando che la poesia delle colinde avesse tramandato fino ad oggi le creazioni più importanti della letteratura romena medievale, che hanno preceduto la comparsa dei primi testi letterari scritti[4]. Più di recente Sabina Ispas ha affermato con forza, sul filo di raffinati esercizi interpretativi, il carattere essenzialmente cristiano del rito del colindat, considerando il medioevo quale periodo di massima vitalità della colinda romena. La studiosa ha anche opportunamente evidenziato che «quello che gli studiosi sono soliti definire “più recente” quando fanno riferimento allo “strato cristiano”, non si riduce nell’ambito della cultura romena a poche centinaia di anni, ma copre l’arco di più di un millennio e mezzo. Bisogna riconoscere pertanto che si modificano, in una certa misura, le dimensioni temporali e le implicazioni del cristianesimo nelle strutture e nei significati della cosiddetta “cultura popolare tradizionale” e del “folclore”»[5].
A nostra volta riteniamo remunerativa l’idea di una tradizione medievale presente nei canti del colindat de ceată, una tradizione orale e preletteraria (o meglio, extra-letteraria), che potrebbe, se filologicamente indagata, illuminare il senso e la dimensione poetica di molti motivi, immagini, soluzioni metaforiche e narrative, che fanno parte del repertorio tradizionale dei colindători. Il problema della ‘medievalità’ della colinda romena è d’altra parte strettamente connesso con quello del cristianesimo, con il significato, la natura e il peso che si vuole attribuire alla presenza cristiana nelle colinde. Le seguenti riflessioni riguardano queste due linee di ricerca, non costituendo nient’altro che un promemoria per fissare i punti di una discussione che resta tuttora aperta.
Preliminarmente si tenga conto di due precisazioni metodologiche : si tratta qui essenzialmente di un Medioevo a cui si arriva attraverso il folclore, leggendo stratigraficamente i testi popolari, di tradizione orale, e collocandoli nella ‘lunga durata’ del tempo folclorico. Solo riconoscendo la radicale diversità delle ‘fonti’, si potrà procedere ad un confronto proficuo con le tematiche, le tecniche compositive e le categorie mentali rappresentate nelle letterature medievali occidentali. Allo stesso modo, rifiutiamo l’idea dell’origine esclusivamente dotta e letteraria degli elementi cristiani delle colinde, a favore di un approccio più complesso, che rilevi l’interazione dei livelli culturali, i compromessi e i condizionamenti reciproci fra il sistema simbolico-liturgico del cristianesimo e il sistema mitico-rituale ancestrale della comunità folclorica. A questo proposito parliamo di ‘cristianesimo tradizionale’ e di ‘colinde cristiane tradizionali’, ove il termine ‘tradizionale’ si riferisce, diacronicamente, all’esistenza di un sincretismo originario, tramandatosi per stratificazioni successive, così come, sul piano sincronico, indica un diasistema, in cui sono compresenti, e di volta in volta egemonici, elementi cristiani ed elementi non cristiani. Tale sincretismo andrà inoltre proiettato sulla specificità storica del cristianesimo in Romania, tenendo conto del carattere periferico e profondamente rurale della chiesa romena tradizionale, che per un lungo periodo è vissuta e si è sviluppata in forme non istituzionali, vicina ai riti e alle credenze del villaggio. In questo senso Petru Caraman ha affermato che «sotto l’ala protettiva della chiesa orientale, davvero tollerante, la tradizione del colindat non è decaduta, ma si è ancora meglio conservata e sviluppata, rafforzandosi»[6].
Una prima questione che andrebbe affrontata in modo sistematico riguarda la presenza e il ruolo del cristianesimo non solo nel repertorio tematico e narrativo dei canti, ma anche all’interno delle prescrizioni cerimoniali, nelle azioni e nei gesti che compongono il rito collettivo e nei significati che ad essi sono attribuiti dalla comunità che vi partecipa. Ne accennava già G. Dem. Teodorescu, nel suo pionieristico lavoro sulle colinde, descrivendo un tipo fondamentale di testo, con evidenti funzioni protocollari, che mette in scena l’arrivo dei colindători nelle case del villaggio ed il modo in cui questi, con l’acqua fîntînii lui Iordan (della fontana del Giordano) bagnano e battezzano i cortili, le case e i loro abitanti. L’insigne folclorista affermava che in questo tipo di colinda «si parla del cristianesimo e della diffusione di questa religione, alludendo indubbiamente a quei tempi lontani. Trovandoci alla vigilia della nascita di Cristo ed essendo il battesimo il sacramento principale del cristianesimo, i colindători vi sono raffigurati come degli apostoli mandati a convertire e a battezzare il mondo»[7].
Senza dubbio, il repertorio narrativo del colindat comprende l’intero kerygma cristiano, cioè i contenuti fondamentali della predicazione apostolica, dall’Incarnazione fino alla Crocifissione e alla Risurrezione. Gli esecutori del rito (ceata, il gruppo di colindători) non solo annunciano al villaggio la buona novella della nascita di Cristo, ma diffondono con i loro canti l’intera storia evangelica, tramandando e rinnovando la memoria cristiana della comunità rurale. Non dimentichiamoci, tuttavia, che il colindat è un rito complesso, che persegue, tramite la sua precipua funzione augurale, l’efficacia e l’influenza diretta sul reale. I colindători assumono pertanto caratteristiche di ordine sacro e sovrannaturale, diventando ’santi’, personaggi che si muovono fuori della dimensione del quotidiano. Traian Herseni ha messo in evidenza questo processo di sacralizzazione degli esecutori di colinde, rappresentato nei testi mediante un cambio di denominazione, quindi junii satului (i giovani del villaggio, vale a dire i iuvenes, i maschi non sposati) diventano sfinţii lui Crăciun (i santi del Natale): Că nu vine cine-ţi pare, / Dar vin junii satului / Junii-s buni colindători, / Ma sono i santi di Natale / di Natale il vecchio [Perché non arriva chi ti appare / Ma arrivano i giovani del villaggio / I giovani sono buoni colindători, / Ma sono i santi di Natale, / Del vecchio Natale][8]. In altri testi i cantori di colinde portano materialmente Dio nelle case degli uomini : “Ia sculaţi, boieri, sculaţi / Ia sculaţi şi vă spălaţi, / Că vă vin colindători, / Noaptea pe la cântători / Şi nu vă vin nici cu-n rău / Ci v-aduc pe Dumnezeu [Sveglia, grandi signori, sveglia / Svegliatevi e lavatevi, / Che vi arrivano i colindatori / Di notte, verso l’alba / E non arrivano con qualcosa di male / Ma vi portano Dio].
Predicatori e santi, gli esecutori delle colinde, che portano i loro canti di casa in casa attraverso tutto il villaggio, sembrano dotati altresì di un potere (staremmo per dire di un carisma) sacramentale : essi possono convertire e mediare l’iniziazione alla nuova fede, facendo diventare, come si trova ripetuto in tante colinde, da pagani cristiani : “Şi ei se boteza / Din păgâni creştini, / Oameni de cei buni” [E loro si battezzavano / Da pagani, cristiani, / Uomini di quelli buoni].
L’idea della conversione, del passaggio iniziatico a una nuova fede, interessa una vasta zona del repertorio tradizionale del colindat, affiorando costantemente e in diverse forme nei testi, come a rimarcare la necessità della comunità rurale di ripetere, mediante la messa in scena rituale che apre ogni ciclo calendaristico, la fondazione della religione cristiana e la conversione (la cristianizzazione) della comunità stessa. In questa prospettiva andrebbero rianalizzate tutte le cosiddette colinde protocollari, cioè alcuni tipi fondamentali che descrivono l’arrivo dei colindători ed il risveglio del padrone di casa e stabiliscono gesti, funzioni e ruoli degli agenti e dei destinatari e altre prescrizioni cerimoniali. Congiuntamente sarebbe utile disporre di un’analisi dettagliata di tutti gli elementi autoreferenziali presenti nei testi, dai casi più semplici in cui sono citati la colinda e i suoi esecutori ad altre forme più complesse, tenendo presente che l’intero genere si fonda sull’interferenza fra piano della realtà rituale e piano narrativo. Un esempio significativo, fra i tanti che si potrebbero portare, lo troviamo nelle colinde sulla Madonna che va in cerca di Gesù e non lo trova perché è stato crocifisso : in alcune varianti la Madonna incontra sulla sua strada proprio il gruppo di colindători, ai quali chiede “Cete de feciori, / Juni colindători, / Pe unde aţi umblat / De aţi colindat / Nu mi-aţi voi văzut / Fiuşorul meu, / Dumnezeul vostru ?” [Voi gruppi di giovani, / Giovani colindători, / Dove avete girato / Che avete cantato le colinde / Non avete visto / Mio figlio / il vostro Dio].
Lorenzo Renzi ha parlato, non a torto, della dimensione performativa della colinda, rilevando che nei suoi testi il tema epico o narrativo in genere si riflette immediatamente nell’atto linguistico dell’augurio, sulla base del principio che “dire è fare” e che la parola pronunciata può modificare la realtà[9]. Lo studio incrociato delle regola autoreferenziali e performative dei testi potrebbe contribuire, crediamo, anche ad una più precisa valutazione di un’altra grande questione, quella dei rapporti che intercorrono fra il rituale del colindat nel suo complesso (comprese quindi non solo le sue pratiche, ma anche i contenuti veicolati dai suoi testi) e la liturgia cristiana, in special modo quella della chiesa ortodossa locale. Anche in questo caso, è essenziale, nonché discriminante da un punto di vista metodologico, affiancare ai dati puramente etnologici l’interpretazione dei testi, che spesso conservano significati e prescrizioni cerimoniali non più attestati, o incompresi, nella pratica più recente del rituale. Lo ha dimostrato di recente Sabina Ispas, che ha studiato un’immagine molto diffusa nel repertorio delle colinde, quella dei tre fiumi – di vino, d’olio santo e di acqua limpida – mettendo in evidenza non solo le sue profonde implicazioni eucaristiche, ma anche la stretta relazione con i riti d’iniziazione della Chiesa ortodossa, in particolare con i sacramenti del Battesimo e della Cresima[10]. La studiosa è anzi del parere che molti testi poetici delle colinde «esprimono, poiché insieme tematico e simbolico, i momenti principali della Liturgia cristiana, il contenuto dei sette Sacramenti e precetti di morale cristiana».
A nostro parere, i testi delle colinde indicano l’esistenza di rapporti complessi fra le pratiche liturgiche cristiane e il rito folclorico, che sembra collocarsi su di un piano emulativo e concorrenziale con i riti ufficiali della Chiesa, rappresentando a volte una vera e propria mise-en-abyme di quei riti e dei loro significati. Un esempio lo si può ricavare dalle colinde sul battesimo del figlio santo: in molte varianti Gesù, appena nato, accompagnato dalla Madonna, è portato in un luogo dove scorrono tre ruscelli – d’acqua, di vino e di olio santo – nei quali è immerso e battezzato da San Giovanni. I testi in questione sembrano particolarmente interessati alla descrizione dei gesti e delle materie rituali, stabilite dalle parole del santo : “Mai ia-ţi Maică fiu-n braţe / Şi mergi Maică mai-nainte, / Mai-nainte, nu-i departe, / Căci ştiu Maică trei râuri / Trei râuri, trei pârâuri, / Râu de vin ş-altul de mir / Ş-alt de apă limpejoară, / Intr-ăl de apă l-om scălda, / Cu vin bun l-om boteza, / Cu mir bun l-om mirui, / ‘Ntr-un veşmînt l-om primeni, / Sus în cer l-om ridica” [Prendi, Madre, il figlio in braccio / E vai, Madre, sempre avanti / Più avanti, non è lontano, / Conosco, Madre, tre fiumi, / Tre fiumi, tre ruscelli, / Fiume di vino e un’altra d’olio santo / e un’altra d’acqua limpida, / In quello d’acqua lo immergeremo, / Con vino buono lo battezzeremo, / Con olio santo e buono lo ungeremo, / Con un vestito lo addobberemo, / Su nel cielo lo innalzeremo].
Ricomponendo materiali di origine differente (ricordiamo la scena del bagno di Gesù Bambino presente nell’iconografia bizantina della Natività), le colinde costruiscono un quadro narrativo e simbolico di grande originalità : il battesimo di Gesù diventa pertanto non solo ipostasi delle pratiche battesimali correnti della Chiesa ortodossa, ma anche giustificazione, sul piano mitico-rituale, della liturgia cristiana dell’iniziazione e della santità delle materie liturgiche, rappresentando il momento in cui l’acqua, il vino e l’olio santo sono consacrati dal contatto con il corpo di Cristo. Per comprendere la poesia delle colinde bisogna dunque tenere presente le dinamiche di risemantizzazione degli elementi cristiani all’interno del sistema rituale tradizionale, nonché la fondamentale funzione del colindat quale azione liturgica collettiva, parallela a quella della Chiesa.
Non è un caso che le prove più convincenti di una tradizione “medievale” delle colinde si addensino proprio in corrispondenza di alcune tipologie testuali segnate profondamente dal cristianesimo, dal suo sistema simbolico, liturgico e dottrinario. Abbiamo tentato di dimostrarlo a proposito delle colinde sulla disputa dei fiori e sull’origine del grano, del vino e dell’olio santo[11], che rivelano una serie di sostanziali affinità, di struttura e di dettaglio, con alcuni testi letterari del Medioevo occidentale, medio-latino e romanzo. Le colinde romene mettono in scena una disputa allegorica: il grano, il vino e l’olio santo, in forma di fiori (floarea grâului, floarea vinului, floarea mirului), si contendono la supremazia, elencando ciascuno le proprie virtù. Dio, che assiste alla disputa in qualità di giudice, li riappacifica, ricordando in alcune varianti la comune origine santa dei tre fiori, che rappresentano rispettivamente la sua carne, il suo sangue e il suo battesimo. Siamo di fronte a testi di grande solennità rituale, che riassumono i principali significati eucaristici del colindat, fissando la sacralità di tre fondamentali materie liturgiche. La struttura della disputa, la rappresentazione dei contendenti in forma di fiori (inspiegabile nel contesto delle colinde), la presenza di un giudice superiore, le stesse allusioni all’Eucarestia e all’iniziazione cristiana, sono tutti elementi che ci riportano alla tradizione delle dispute allegoriche medievali, genere di vasta diffusione nella letteratura europea occidentale, mediolatina e volgare, che si articola in una molteplice tipologia di contendenti, quali l’Acqua e il Vino, L’Estate e l’Inverno, il Corpo e l’Anima, la Rosa e la Viola, per mezzo dei quali sono confrontate e giudicate qualità morali antitetiche. Per il raffronto con le colinde romene sono particolarmente interessanti il Certamen Rosae Liliique di Sedulio Scoto (metà del IX sec.) ed un conflictus anonimo fra la Rosa e la Viola, nonché in ambito romanzo la Disputa della rosa e della viola del milanese Bonvesin da la Riva (fine del XIII sec.) e i Denuestos del agua y el vino, fra le testimonianze più antiche della letteratura castigliana (inizio del XIII sec.). Le affinità fra questa serie di testi e le colinde romene sono, come abbiamo altrove mostrato, sorprendenti.
La convergenza delle motivazioni eucaristiche ci appare tanto più significativa se consideriamo i fondamentali significati cristiani delle colinde dei tre fiori, testi che stabiliscono la santità (quindi l’efficacia rituale) delle materie utilizzate dalla Chiesa per impartire i Sacramenti, da inquadrare all’interno delle dinamiche di sovrapposizione (e di concorrenza) fra la Liturgia cristiana e le parole pronunciate e cantate dai colindători sulla scena della cerimonia popolare. In questo senso le tradizioni poetiche di origine medievale conservate dalle colinde sembrano profondamente e organicamente legate alla formazione e allo sviluppo del repertorio di temi cristiani, un repertorio antico, che si è precocemente intrecciato con i temi, i significati e le esigenze cerimoniali preesistenti, fondando in sostanza il genere nella forma in cui noi lo conosciamo.
Non è sempre facile ripercorrere i processi di derivazione e di filiazione culturale dei temi e dei motivi di origine medievale presenti nelle colinde. Così come non è agevole razionalizzare tutta la serie di dati che abbiamo rapidamente, e in maniera incompleta, proposto alla riflessione. La posta in gioco di un tale esercizio ermeneutico è tuttavia importante : si tratta non solo di ridefinire il ruolo del cristianesimo all’interno del folclore e della cultura tradizionale romena, ma anche di scrivere un capitolo di quelle molteplici relazioni che si sono instaurate, spesso sulle vie oscure e imprevedibili dell’oralità, fra Europa occidentale ed Europa orientale. Si tratta, in definitiva, di collocare la poesia delle colinde nella prospettiva più ampia della tradizione culturale e letteraria europea.
[1] Per le colinde romene ci permettiamo di rimandare ora a Le Nozze del Sole. Canti vecchi e colinde romene, a cura di L. Renzi, D. O. Cepraga, R. Sperandio, Roma, 2004.
[2] Il riferimento è al classico M. ELIADE, Le Mythe de l’Éternel retour. Archétipes et répétitions, Parigi, 1949. Un’ampia prospettiva antropologica sulle colinde romene si troverà in M. BRĂTULESCU, “Winter Solstice Songs”, in Encyclopedia of Religion, a cura di M. ELIADE, New York, 1987 ; si veda anche G. COMANICI, “O lectură antropologică a riturilor de anul nou”, Revista de Etnografie şi Folclor 37 (1992), 2: 119-27.
[3] Cfr. M. BRĂTULESCU, Colinda românească, Bucarest, 1981 (l’indice tipologico è in versione bilingue, romeno-inglese).
[4] Cfr. M. POP, Obiceiuri tradiţionale româneşti, Bucarest, 1976: 43
[5] Cfr. S. ISPAS, “Maria – Maică a Domnului, Maică a întregii umanităţi, în sens ontologic”, Anuarul Institutului de Etnografie şi Folclor Constantin Brăiloiu, s. n., 5 (1994): 114 ; della medesima si veda anche “Calendae, Calendar, Colindat”, Revista de Etnografie şi Folclor, 4, 40 (1995): 387-406.
[6] Cfr. P. CARAMAN, Colindatul la români, slavi şi la alte popoare, Bucarest, 1983: 23.
[7] Cfr. G. DEM. TEODORESCU, Noţiuni despre colindele române, Bucarest, 1879: 33.
[8] Cfr. T. HERSENI, Forme străvechi de cultură poporană românească, Cluj-Napoca, 1977: 152-3.
[9] Cfr. L. RENZI, “Le systéme des genres épiques chez les Roumains”, in Essor et fortune de la chanson de geste dans l’Europe et l’Orient latin, Modena, 1984: 398.
[10] Cfr. S. ISPAS, “‘Râu de vin şi altu de mir şi altu apă limpejoară’ – o taină încifrată într-un text de colind”, in Imagini şi permanenţe în etnologia românească, Chişinău, 1992: 209-16.
[11] Per l’intera questione ci permettiamo di rinviare a D. O. CEPRAGA, “Il grano, il vino e l’olio santo nelle colinde romene”, in Studi rumeni e romanzi. Omaggio a F. Dumitrescu e A. Niculescu, a cura di C. Lupu e L. Renzi, Padova, 1995: 365-88.
L'autore
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Dan Octavian Cepraga insegna Lingua e Letteratura romena presso l’Università degli Studi di Padova. Romenista e filologo romanzo, si è occupato di poesia popolare romena e della formazione della lingua poetica romena dell’Ottocento. Nel campo della filologia romanza si è occupato principalmente di poesia provenzale e antico-francese. Ha pubblicato, tra l’altro, Graiurile Domnului. Colinda creștină tradițională, Cluj-Napoca, 1995; Le Nozze del Sole. Canti vecchi e colinde romene (in collaborazione con L. Renzi e R. Sperandio), Roma, 2004;Colinde din Bihor, adunate din Voivozi și Cuzap(in collaborazione con Sorin Șipoș), Cluj-Napoca, 2012; Esperimenti italiani. Studi sull’italianismo romeno dell’Ottocento, Verona, 2015.
Ha vinto il Premio “Città di Monselice per la traduzione letteraria” – Sezione “Leone Traverso – Opera prima” per il volumePoesie d’amore dei trovatori, a cura di D. O. Cepraga e Zeno Verlato, Roma, Salerno Editrice, 2007.
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