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Una modesta interpretazione della biodiversità

L’immagine di copertina è di Enrico Pulsoni

“Siamo fortunatamente tutti diversi ma tutti figli di Dio”. La vita su questo piccolo pianeta è una sola e si esprime e si è espressa in una moltitudine di forme (a seconda della prospettiva molte o poche).

 Interpretazione nel recente passato

 La vita organica è una nuova forma di avvenimenti, in generale, che contiene la storia dei processi chimici e fisici: in particolare la forma si differenzia per la trasmissione di un linguaggio, cioè la coscienza. L’assumere una forma nel corso degli avvenimenti è fondamentale: le possibilità degli avvenimenti è legata alla forma del momento. Una nuova stella può nascere se esiste una nebulosa di gas, il passato quindi non viene meno e il numero delle possibilità aumenta. Il tempo è asimmetrico tra passato e futuro. Quello che ora è passato una volta fu futuro. Il brodo primordiale sulla Terra ha dato origine a tutto, ma come forme è stata la situazione più povera. Miliardi di anni sono stati necessari perché la turbolenza di gas iniziale trovasse un evento che facesse nascere un sistema planetario, e su di esso miliardi di anni perché si formasse un organismo unicellulare e ancora miliardi di anni per uno pluricellulare. Dall’attuale situazione le possibilità di una rivoluzione o crisi sono infinitamente maggiori, ciò non giustifica modelli matematici di previsione di un accadimento come se il sistema delle possibilità fosse una macchina. Quest’ultima è stata inventata dall’uomo, ma l’uomo non può essere spiegato come fosse una macchina.

La biologia deve molto alla filosofia aristotelica, da cui ha preso il concetto di specie (visione, aspetto). Platone usa la parola idea, in tedesco fenomeno visibile è “Gestalt”. Quello che si può dire delle specie o di fenomeni visibili è il logos. Discutere di logos è parlare di evoluzione. Una specie si riproduce, ma quando evolve, quella precedente, in genere, scompare. La conservazione degli individui è un effetto secondario dell’evoluzione dal punto di vista biologico ma la possibilità di conciliare evoluzione e conservazione, secondo la moderna biologia, sta nel fatto che anche l’individuo, nel suo particolare, nella sua unicità come forma nel tempo evolve. Quindi l’evoluzione in quella forma è rappresentata dalla crescita. Successivamente l’interpretazione dominante fu la teoria della selezione naturale, ma, in essa «gli eventi casuali» sono visti da un punto di vista statistico e quindi indipendenti gli uni dagli altri.

La visione «olistica» data dalla teoria dei quanti valuta questa interdipendenza come puro accostamento. La selezione del «gene egoistico», oltre a validare la base biologica del razzismo, contraddice la «necessità di comportamenti morali», sia per quanto riguarda l’uomo che le altre specie, altrimenti l’umanità non avrebbe avuto la necessità di una morale proibitiva.

La vecchia metafisica prevedeva l’uomo come soggetto conoscente dell’oggetto conosciuto: la natura, ma: 1) la natura è più antica dell’uomo; 2) l’uomo viene prima della scienza della natura; 3) la natura non conosceva « la storia naturale» del sapere umano.

La metodologia della scienza moderna evoluta con la teoria quantistica si presenta con un approccio «circolare» alla interdipendenza del sapere, così schematizzabile:

metafisica-fisica-evoluzione-cultura -metafisica

Una teoria scientifica, a volte, resiste per secoli finché una nuova la rimpiazza. La sua durata è proporzionale al numero di indirizzi che propone, quelle con poche vie sono destinate a breve durata

(alcune propongono solo una decina di strade). La fisica dei quanti oggi ne propone almeno un miliardo, e questa situazione è applicabile alla biodiversità e alla sua evoluzione: comparsa di nuove specie, giustificazione delle possibili infinite specie succedutesi nell’arco di tutta la vita sul pianeta.

Tutte le forme di vita hanno e hanno sempre avuto un rapporto circolare con l’ambiente: la vita modifica l’ambiente e l’ambiente seleziona le specie adatte a esso. La biologia moderna esprime così le caratteristiche della vita comuni per tutte le specie viventi: 1) Esistere; 2) Sopravvivere; 3) Crescere; 4) Evolversi.

Le possibilità sono ereditate e sviluppate e sintetizzate nella loro autopoiesi e cognizione. Certo è che gli esseri viventi si autoproducono (autopoiesi) e posseggono in sé il processo che caratterizza l’autoproduzione (cognizione), e qui la natura si mostra generosa, artistica, creativa ma soprattutto è al momento una scienziata irraggiungibile.

Prima di offrire una spiegazione sintetica, occorrono alcune considerazioni:

  • L’individuo di ogni specie non può sfuggire alla sua sorte paradossale (essere parte della sua specie-forma): egli è una piccola particella della vita, un momento effimero, un feto, ma nello stesso tempo manifesta in sé la pienezza della realtà vivente – l’esistenza, l’essere, l’attività -, e così contiene in sé la pienezza, senza cessare di essere una unità elementare di vita.
  • Allo stesso tempo, manifesta in sé la pienezza della realtà. Contiene in sé (come un ologramma) il tutto della sua specie senza cessare di essere l’unità elementare della stessa.

Ora è certo che le singole cellule sono individui completi e complessi (basti pensare agli organismi unicellulari), ma quando sono parte di un organismo pluricellulare sono e si comportano come elementi di una orchestra, dove tutti hanno memoria e strumenti cognitivi del singolo il quale ha la capacità linguistica di autodeterminarsi e autoevolvere.

La natura ha dotato ogni organismo di strumenti e linguaggi propri, le possibilità espressive sono infinite e di conseguenza, forse, anche di inventarsi nuove melodie. Assolutamente verosimile, e la scienza lo sta dimostrando, è che la cognizione di una singola specie interagisca con la cognizione di tutte le altre specie e quindi genera un sistema scientifico autoprotetto, una connessione che crea una vera e propria filosofia.

La scienza umana attuale, troppo spesso, non cerca di rispondere alle domande universali, ma si concentra spesso solo sulle domande che essa stessa si pone. E l’origine di queste domande viene dal committente che chiede risultati da mettere a profitto. Gli effetti, a esempio, dell’uso delle particelle possono essere deterministici e stocastici: i primi prevedibili, semplificati quasi sempre catastrofici, mentre gli altri risultati incerti. Essi vanno ad intaccare la cognizione naturale e universale, e creano un “ambiente” disturbante alla naturale crescita ed evoluzione. Il concentrarsi sugli esperimenti sul DNA ha creato scienziati che lavorano con esso come “impiegati”, con compiti ripetitivi privi di inventiva, ispirazione, neutralità.

Queste manovre possono causare danni irreversibili sulla autoproduzione, compresa quella di mantenere e produrre nove specie. La biodiversità attuale ha avuto infinito tempo per realizzarsi: cercare artificialmente delle scorciatoie è affermare che l’attuale umano tenta di mettersi in una posizione altra dalla natura, credendosi superiore. Credo che ciò sia un errore gravissimo; io ritengo che la biodiversità sia un alfabeto, nel quale si possono scrivere poesie libri lingue originali. Ma al momento la scrittura è patrimonio solo della natura.

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Essendo molto orgoglioso della mia terra, qui di seguito fornisco alcune postille curiose:

  • in Abruzzo sono annoverate 2.600 specie vegetali, l’intera Italia ne annovera 5.600, l’Irlanda 1.150, la Danimarca 1.400, Belgio e gran bretagna 1.800;
  • si stima che in 500 mq delle nostre colline fino agli anni 50, un contadino che seminava grano con sementi autoprodotte seminasse oltre 50 varietà, all’incirca quante se ne seminano ora in metà pianeta;
  • considerato che milioni di ettari vengono coltivati con una sola varietà di agrumi, se dovesse comparire una malattia specifica, scomparirebbero. Da noi invece c’erano ortaggi e legumi diversi per ogni varietà. Se si insiste nel produrre varietà sterili, abbatteremo la gran parte delle biodiversità esistenti.

Merita una citazione quanto accaduto nella oblast di Chernobyl: il catastrofico incidente ha provocato la morte massiva delle specie ivi sviluppatesi, ma i sopravvissuti hanno sviluppato nuove forme vegetali e animali( in un tempo brevissimo), non sappiamo come vivranno, sopravviveranno e si evolveranno ma attirano l’attenzione di coloro che brevettano. Converrà riprodurre l’incidente? A suo tempo ho studiato la vita e l’opera di Nikolaj Ivanovic Vavilov, e mi venne da proporre alla mia regione di realizzare una banca delle sementi locali e nel percorso scoprii che molte di esse erano scomparse, ma per alcune sarebbe stato possibile recuperarle nel Corno d’Africa, dove erano state portate dai coloni,  e mantenute e riprodotte in coltura , anche perché non si potevano permettere di comprare le “bustine” commerciali dei semi o lì ancora non era arrivato il mercato globale.

Oggi sono stato a visitare i nostri cari al cimitero e ho portato fiori da me coltivati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'autore

Romeo Pulsoni
Romeo Pulsoni (campomonticchio@gmail.com) è medico, esperto di fisica delle particelle, contadino, coofondatore nel 1988 con Giovanni Bollea di “ALVI” (Alberi per i vivi), e già docente a contratto dell’Università dell’Aquila. Nel 2009 è stato responsabile sanitario dei territori identificati come COM 1 (L’Aquila Città) e COM 4 (area tra Pianola e Celano) per l’emergenza sisma. Questa funzione, svolta per l’intero periodo emergenziale, comprendeva la gestione della Sanità pubblica, dell’Igiene pubblico e ambientale, dell’organizzazione dell’assistenza, della vigilanza e controllo delle attività commerciali e produttive. Per tale impegno è stato insignito della Medaglia d’argento per la Sanità pubblica dal Presidente della Repubblica.