Il cantore dei contadini, a cura di Antonio Mucciaccio con prefazione di Francesco D’Episcopo, è il saggio di recente pubblicazione che lo studioso molisano dedica alla figura di Francesco Jovine giornalista e a Le terre del Sacramento, un testo che, come dice l’autore stesso nella Premessa, non si pone come saggio letterario, bensì come un saggio storico.
Un libro-documento dunque vagliato alla luce delle fonti, per ricostruire fatti ed eventi con scrupolo documentario e di ricerca, senza inficiare con l’immaginazione o con l’interpretazione critica una materia che si vuole mantenere riconducibile alla «verità effettuale della cosa» e dunque prettamente e storicamente autentica. In questo interessante studio dell’universo Jovine, suffragato dalla ricerca delle fonti (in particolare l’autore ricorda di aver raccolto ed editato due lettere finora sconosciute al pubblico, le ultime lettere di Jovine, scritte a Luigi Russo il 3 marzo e il 10 aprile 1950) Mucciaccio attua un percorso conoscitivo che si snoda dall’intento documentario a quello di ricostruzione attenta e matura della biografia di Jovine, con una precisione storiografica che non dimentica luoghi e forme, dalla toponomastica alla vita amministrativa. Prende corpo così un macrocosmo che si arricchisce di figure e nomi d’autore, da quello della moglie di Jovine, Dina Bertoni, la compagna della vita, a quello di Giose Rimanelli, a quello dei letterati e degli studiosi del tempo, all’insegna di un cenacolo umano come culturale che infarcisce un documento di vita, prima che storico- letterario.
Al centro del volume, Jovine giornalista e soprattutto, Le terre del Sacramento, il romanzo consacrazione e testamento dell’autore molisano, scomparso prematuramente nel 1950, all’età di soli 48 anni, e prima purtroppo che arrivasse quello stesso anno il Premio Viareggio per il romanzo edito da Einaudi. Mucciaccio, suffragato dalla volontà tipica dello storico che è quella di fare chiarezza, e di andare dunque oltre le ambiguità e le leggende, ci conduce su quella terra che Jovine tanto amava, dove istituzioni laiche e religiose, villaggi, contadini e favolosi orti diventano materia vivente, nel regno delle immagini, di quell’intimo afflato che ha sempre costituito, attraverso il sogno, l’altra faccia della realtà. La terra di Jovine rappresenta infatti una memoria del cuore, è il luogo natìo che dialoga con l’anima, dunque diventa esaustiva di una archeologia sentimentale che si fa filologia letteraria e affettiva, materia intessuta dal sogno e dunque consapevole della possibilità della disillusione, e tuttavia intimamente legata all’io dello scrittore, in virtù della sua precarietà.
Scrive infatti Jovine, in versi posti in calce da Mucciaccio: «Ho voluto rendere il farsesco e il tragico, / il rozzo e raffinato senso della vita / che hanno i nostri contadini; / ho voluto farli cantare all’unisono / con la terra generosa e matrigna / e col cielo troppo lontano e irraggiungibile» (Lettera a Nicola Perazzelli, 1942). Il richiamo dell’origine, la «mormorante memoria» di un tempo sepolto e la familiarità del luogo natale creano una sorta di realismo speciale, rappresentativo di un rapporto sentimentale e identitario che tra volontà di denuncia e bisogno di rassicurazione si mescola in maniera sapiente con le fantasie e i miti originari di un mondo svanito. Lo spazio letterario ricostruisce una realtà primigenia in cui la durata della vita si occulta negli archetipi di un mondo discostato dalla realtà, scandito dai ritmi stagionali e della natura, pertanto non soggetto al senso della fine ma permeato di mitologia e fantasia, un mondo non provvisorio ma statico, quello della campagna molisana, ove tutto è eterno perché definitivo, predeterminato dalla catena indissolubile degli eventi. Eppure, da questo immobilismo, da questo Molise liminare e periferico, chiuso endemicamente a qualsiasi richiamo della modernità imperante nel resto d’Italia, il discorso si sposta sulle terre del Sacramento, per ampliarsi fino ad abbracciare il tema della feudalità terriera (già ampiamente affrontata da Giuseppe Maria Galanti e da Francesco Longano) e dell’usurpazione delle terre da parte dell’aristocrazia terriera locale. Emerge così, nella ricostruzione di Mucciaccio, man mano che scorrono le fonti selezionate e vagliate con rigore critico e precisione, la figura di uno Jovine intellettuale dedito al lavoro letterario con quella stessa intensità mostrata dai contadini molisani nella loro terra. Jovine quel mondo lo ha attraversato, raccontando alcuni degli snodi più importanti che hanno accompagnato la rappresentazione del Molise e del Mezzogiorno: il passaggio all’Unità visto dalla parte del mondo contadino (Signora Ava, 1942); la prima grande emigrazione transoceanica (Il pastore sepolto, 1945), il fascismo in Molise (L’Impero in provincia, 1945), la contrastata condizione del giovane intellettuale provinciale (Un uomo provvisorio, 1934), fino a Le terre del Sacramento (1950), vincitore del premio Viareggio. Emerge, dall’ampia produzione joviniana, il contrasto dicotomico tra la città, emblema della mondanità e del vuoto e la campagna, terra di una purezza originaria, fino al compenetrarsi di questi due elementi in un rapporto dialettico che approda all’elaborazione di una vera e propria posizione ideologica: il miglioramento etico dell’individuo si realizza solo quando le energie dell’uomo si indirizzano in un’attività politica volta al miglioramento generale e alla conquista di una identità più salda e consapevole.
Sulla copertina del libro di Mucciaccio c’è Guardialfiera, con la diga che dalla fine degli anni ’60 è diventata iconica di un paesaggio molisano sospeso tra cielo e fazzoletti di campi e terre: quella diga che avrebbe separato il Molise di Jovine per un collegamento più diretto al mare, e che avrebbe spezzato la sacralità dei favolosi orti dove i contadini molisani mostravano il loro attaccamento identitario alla terra. Jovine non fece in tempo a vedere la costruzione della diga, e restano come memorie accorate le pagine in cui l’autore ricorda come ad esempio il Biferno avesse il potere di sconvolgere le leggi del tempo, quando il fiume veniva passato a guado o addirittura divenisse totalmente inaccessibile, separando nei mesi invernali, la riva destra da quella sinistra.
«Conosco il Molise attraverso i racconti di mio padre e un po’ per istinto. In me quella terra è come un mito antico tramandatomi dai padri e rimasto nel sangue e nella fantasia» ha dichiarato Jovine in una intervista del 1949. Mucciaccio ricostruisce questo mito, rivelando l’uomo, l’artista, la storia che si fa letteratura e da oggi documento.
L'autore
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Laura D’Angelo è scrittrice e poetessa. Dopo la laurea con lode in Lettere classiche e Filologia classica, consegue un Dottorato di ricerca in Studi Umanistici. Docente di materie letterarie, pubblica articoli accademici su riviste scientifiche e saggi in volumi collettanei, approfondendo lo studio della letteratura e della poesia contemporanea. Giurata in diversi Premi nazionali di poesia e narrativa, partecipa a convegni internazionali e svolge attività di critica letteraria, curando presentazioni di libri e interviste. Ha scritto per diverse testate giornalistiche ed è autrice di riviste culturali e letterarie. Tra i suoi testi scientifici: Dante o dell’umana fragilità, in «Sinestesieonline», a. X, n. 32, 2020; L’Isottèo di Gabriele D’Annunzio e la poetica della modernità, in Un’operosa stagione. Studi offerti a Gianni Oliva, Carabba, Lanciano, 2018; Gabriele D’Annunzio e le case della memoria, in Memories &Reminiscences; Ricordi, lettere, diari e memorialistica dai Rossetti al Decadentismo europeo, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Chieti-Vasto, 20-21 novembre, 2019, in «Studi medievali e moderni», a. XXIV – n. 1/2020; Music and Soul: Gabriele D’Annunzio and his Abruzzo Homeland, in Bridges Across Cultures, Proceedings, Vasto, 2017; Dante tra web e social network, in «Studi medievali e moderni», a. XXV – n. 1-2/2021; L’etica dell’acqua, in «Gradiva», International Journal of Italian Poetry, n.62/2022, ed. Olschki, Firenze; La “Prima antologia di poeti dialettali molisani” di Emilio Ambrogio Paterno, in «Letteratura e dialetti», vol. 16, 2023; Da “Cuore” a “L’appello” per una scuola dell’inclusione, in «Nuova Secondaria Ricerca», n.8, aprile 2023. Ha pubblicato inoltre il volume di prose poetiche Sua maestà di un amore (Scatole Parlanti, 2021), semifinalista al Concorso di Poesia “Paolo Prestigiacomo” e il volume Poesia dell’assenza (Il Convivio editore, 2023). Sta recentemente approfondendo lo studio della poesia e della letteratura molisana.
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