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Cetrioli all’inchiostro. Un ricordo di Alfred Jarry

L’immagine di copertina è una vecchia locandina pubblicitaria
per l’assenzio, naturalmente a sfondo verde

Negli Anni del banchetto Roger Shattuck ha studiato come la Francia della Belle époque sia stata l’originario focolare delle avanguardie europee, tra le cui fiamme appare anche Alfred Jarry, flagrante esempio di netta difformità tra mitizzazione della sua figura e indifferenza verso la sua opera. Ciò malgrado, Jarry è all’origine di un cordiale e spettinato movimento di visione della realtà, la ben nota Patafisica, e per tale ragione l’8 settembre di ogni anno – giorno in cui, nel 1873, nacque nella cittadina bretone di Laval – viene ricordato con celebrazioni organizzate di volta in volta in diverse città. Qui desidero ricordarne la figura mediante un particolare biografico: l’abuso che faceva di assenzio e alcolici.

Alfred Jarry morente (coll. Félicien Marbœuf - Alain Rivière)
Alfred Jarry morente (coll. Félicien Marbœuf – Alain Rivière)

 

Cetrioli all’inchiostro

Dalla macerazione in acquavite di artemisia absinthium, anice verde e altri vegetali, si ottiene un distillato amaro che, pur oscillando tra 65 e 90 gradi, circolava un tempo liberamente in Francia. Aveva una tonalità verdognola, e da ciò sorse il crittogramma con cui l’assenzio fu battezzato nell’uso delle persone che vi si erano consacrate: la fée verte, la fata verde.

A farne qualcosa di nocivo era lo specifico narcotico contenuto nell’artemisia, il thujone, in grado di causare allucinazioni o peggio: convulsioni, crisi epilettiche, evacuazioni involontarie, respiro affannoso e danni cerebrali permanenti. Ma l’effetto ricercato era proprio quello narcotico, perseguito mediante una fedeltà che portava allo stadio edenico, come narra Oscar Wilde: «Il primo stadio ha gli effetti del bere ordinario, nel secondo cominci a vedere cose mostruose e crudeli, ma se perseveri entrerai nel terzo stadio, dove si vede ciò che vuoi vedere, cose meravigliose e curiose».

Negli anni compresi tra 1880 e 1914 la fata verde era in Francia il liquore «dell’abbandono parigino», indispensabile a ogni esistenza bohémienne. Se ne consumava più che altrove e in crescente quantità: da 700.000 litri all’anno ai 36 milioni di fine periodo. D’altra parte era uno stupefacente in libera circolazione e i francesi si facevano rapire beati dalla nube torbida e iridescente, che li stava dissolvendo come popolo, se nel 1915 non fosse intervenuto quel decreto che mise il liquore al bando.

Ma nei decenni dell’uso, era proprio diventato bevanda ‘culturale’, inondando la pittura: un’atmosfera opalina avvolge nelle tele il bevitore di assenzio, che assume una posa di abbandono passivo, come se la fata verde lo dominasse con una bacchetta magica narcotica. Manet, Degas, Jean-François Raffaelli e perfino Picasso ritraggono bevitori di assenzio. Toulouse-Lautrec dipinse con insistenza postriboli e caffè-concerto e oggi ne conosciamo la segreta causa: riempiva di assenzio il bastone cavo da passeggio e nelle pause zoppicanti se ne inebriava. Anche Van Gogh dipinge il liquore in bottiglia e bicchiere, ma poiché usa una tonalità verde fa trapelare a quale bevanda si fosse votato.

Stessa cosa in letteratura: un’intera generazione di scrittori e poeti maledetti si dedicò alla ricerca di quei paradisi artificiali che il padre-flâneur Baudelaire aveva cantato in un’epoca in cui ancora dominavano oppio e hascisc. E dopo di lui, asserviti alla verde musa alcolica furono Rimbaud, Verlaine, Oscar Wilde, Edgar Allan Poe. E Alfred Jarry appunto, che frequentava con dedizione l’adorata «erba santa», per la quale non esitava – con un dilettevole gioco di parole che integra assenzio e danaro – a «se mettre au vert», a «finire al verde» svuotandosi le tasche pur di avere un bicchiere in più di verde fata.

Si spiega allora la reazione che ebbe nel 1901. Nel febbraio di quell’anno l’astemio militante Émile Faguet aveva attaccato l’alcoolismo dalla prima pagina del quotidiano «Le Journal». Poche settimane dopo Jarry pubblicò sulla «Revue Blanche» una nota di risposta (M. Faguet e l’alcoolismo) in cui definiva malati gli antialcoolisti, perché uomini preda di un veleno corrosivo – l’acqua – buono soltanto per le abluzioni e per fare il bucato, ma reo di avariare la purezza di altri liquidi. Ad esempio l’assenzio, corrotto da una sola goccia d’acqua.

La difesa a lancia in resta, lo stesso accenno alla delicatezza di un liquore che non tollera altro, provano a sufficienza quanto ne trangugiasse lui, e con quale fedeltà. Lungo gli anni ne bevette quantità sempre maggiori, pagando con la salute le conseguenze dell’abuso. Non si trattava infatti solo di assenzio: c’era anche la ragguardevole quantità di alcolici di vario genere. Accompagnava infatti la scarna alimentazione (cetrioli e carne fredda, soprattutto) con almeno due litri di vino al giorno, un numero imprecisato di aperitivi, digestivi e grappe.

Ma forse l’intruglio più curioso era quello con cui si augurava la buonanotte: un Pernod allungato con aceto e inchiostro. Saremmo propensi a pensare che – causa i coloranti che contiene – l’inchiostro sia un liquido assai velenoso, ma il fatto è che in quei decenni conteneva l’aceto come mordente e l’assenzio come antimuffa. Tutto si chiarisce: è molto probabile che a Parigi circolasse in quegli anni molto inchiostro a doppio uso, appositamente distillato per gli artisti, un liquido utile a riempire pagine e aizzare miraggi.

Una cosa è certa: i fegati rovinati dovevano essere frequenti nella Parigi di fine Ottocento. Anche Jarry sarebbe giunto all’insufficienza epatica, se il destino non ci avesse pensato prima: morì di meningite tubercolare in un letto della Charité, l’1 novembre 1907, a trentaquattro anni d’età. Era venuto al mondo il giorno della Natività della Beata Vergine, se ne andò a Ognissanti: una vita di laica sacralità.

L'autore

Antonio Castronuovo
Antonio Castronuovo è saggista, traduttore e bibliofilo. È nelle redazioni delle principali riviste italiane di bibliofilia e scrive per il domenicale della «Gazzetta di Parma». Ha fondato l’opificio di plaquette d’autore “Babbomorto Editore”, dirige le “Settime diminuite” per l’editore Pendragon e le “Edizioni Libreria Galliera”. I suoi ultimi lavori: Dizionario del bibliomane (Sellerio), I luoghi di Pinocchio (in Pinocchio: un bugiardo di successo, La Nave di Teseo), Il male dei fiori: Baudelaire a processo (Rubbettino).