Fenomeno di grande rilevanza nel Sassi di Matera è il vicinato che è frutto di un processo storico di un insediamento urbano lungo e complesso durato fino agli anni Cinquanta, quando cominciò il fenomeno dello sfollamento del quartiere antico di Matera. Premesso che i Sassi sono un complesso particolare di architettura spontanea nella Matera antica, il vicinato è quel gruppo di famiglie le cui case sono disposte in modo di affacciarsi su una delimitata area comune, cortili a pozzo o recinti. La vita familiare è in stretta relazione con la vita del vicinato. Lo spazio vicinale costituisce un paradigma interessante sul piano topografico-spaziale per la particolare struttura morfologica ad alveare del quartiere antico e sul piano antropologico per la ricchezza della cultura contadina.
Parliamo quindi di vicinato come di un’unità sociale, organizzata in un comune spazio abitativo, caratterizzata da una ricca dinamica relazionale positiva nella reciprocità interpersonale, nella solidarietà, nell’affetto umano, nella mutualità e latentemente negativa nell’invidia inevitabile tra persone costrette a vivere pubblicamente il loro privato per angustia di spazio vitale.
Il vicinato, che qui si va a descrivere, non è un mito, una trasfigurazione favolosa-surreale al di là della storia e del tempo, ma è la lettura di un fenomeno sociale, di una realtà di miseria rassegnata ad una quotidianità tanto dolorosa e ineluttabile. Lo studio del vicinato dei Sassi ci permette di fissare i ricordi, le concezioni superstiziose e magiche dell’antica civiltà contadina materana al fine di trasmettere, in linea di continuità alle generazioni future, il senso della fatica, del sacrificio, dell’amicizia, del sostegno, della concordia di un mondo ormai passato.
Per capire la dinamica del vicinato dei Sassi di Matera è necessario aprire una piccola finestra sullo scenario ambientale che costituisce un insieme architettonico e urbano di qualità eccezionale, che affonda le sue radici nell’antichità. Lo sfondo ambientale dei Sassi, che costituisce il cuore antico di Matera, viene ben descritto da Carlo Levi: «La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria dell’Idris, che pareva ficcata nella terra. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante. E cominciai anch’io a scendere per una specie di mulattiera, di girone in girone, verso il fondo. La stradetta, strettissima, che scendeva serpeggiando, passava sui tetti delle case, se così quelle si possono chiamare. Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone: ognuna di esse ha sul davanti una facciata; alcune sono anche belle con qualche ornato settecentesco. Queste facciate finte, per l’inclinazione della costiera, sorgono in basso a filo del monte, e in alto sporgono un poco: in quello stretto spazio tra le facciate e declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Le porte erano aperte per il caldo. Io guardavo passando, e vedevo l’interno delle grotte, che non prendono altra luce e aria se non dalle porte. Alcune non hanno neppure quella: si entra dall’alto, attraverso botole e scalette. Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha, in genere, una sola di quelle grotte per tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie» (Levi, 1954).
Insomma un contesto antropologico di straordinaria complessità, un labirinto urbano ed umano in cui si è ramificato un millenario sistema di vita. «La preistoria e la storia di Matera muovono dalla ruvida asperità di uno scenario severo e dalla solitudine di un luogo di remota lontananza. L’anfiteatro naturale dell’altipiano murgico, che fronteggia il versante antropizzato dei Sassi, accoglie in sé i segni di una presenza umana stabile dal Paleolitico al Neolitico, fino all’età del Bronzo e del Ferro, Greco e Romana» (Demetrio, 2001).
I Sassi, cioè rupi, pietre, rocce sono, così, un sistema abitativo creato nella materia geologica stessa, in una roccia calcarea, localmente chiamata tufo, lungo i pendii di un profondo vallone dalle caratteristiche naturali, singolari e grandiose, la Gravina.
Dal punto di vista topologico, come stadio successivo a quello della grotta usata come abitazione, si può individuare la forma costruttiva del lamione (unico ambiente di tufo con volta a botte), un vano unico generalmente sviluppato in profondità con volta a botte.
La forma costruttiva del lamione, unico ambiente in tufo con volta a botte costituisce lo stadio successivo a quello della grotta naturale e artificiale. L’unità abitativa dei Sassi, a partire dalle origini, propone dunque un’identità di tipologie elementari: il vano unico oppure sommato ad altri in senso orizzontale o verticale, scavato nel tufo o costruito all’esterno secondo la regola codificata dalla consuetudine, di tipizzazione degli elementi strutturali.
Fulcro dell’assetto urbano dei Sassi è la Civita (parte alta della città antica) sita nella parte centrale orizzontale e più elevata. Le abitazioni si immergono nella parete rocciosa con profondi ambienti sotterranei e si aprono all’esterno con terrazzi e giardini pensili. Raggruppate secondo unità abitative, esse formano il vicinato, un modello esemplare di organizzazione comunitaria e di composizione architettonica studiata e portata ad esempio dalle moderne scienze sociali e urbane. Più precisamente a partire dal Quattrocento nei Sassi aumenta notevolmente il numero delle abitazioni di cui si infittiscono le schiere seguendo le curve di livello e gli abbozzi delle strade.
«Le abitazioni dei Sassi sono disposte a presepio in tre vallette contigue nelle quali alle primitive grotte si sono aggiunte costruzioni successive, sovrapponendosi liberamente e genialmente in una struttura urbanistica quasi ad alveare, in cui le strade sono i tetti delle case sottostanti e ne lasciano venir fuori i camini; ma il libero e spontaneo articolarsi delle costruzioni, seguendo forse anche un primitivo schema naturale di grotte disposte quasi a cerchio su un vano unico (cortile a pozzo), ha dato origine a frequentissimi vani rientranti o piazzette o cortili in senso lato sui quali si affacciano diverse case, che costituiscono u vicinanz (gruppo di case contigue negli stessi cortili, piazzette o vani rientranti), cioè il vicinato e non solo in senso topografico, ma anche in senso sociale con un preciso valore determinato dalla cultura locale» (Malpica, 1847).
Il vicinato, quindi, è rappresentato da un gruppo di “case” contigue. La “casa” è la normale abitazione dei Sassi, questa è una grotta scavata interamente nella roccia, o con una parte di costruzione in tufo, ma sempre comprendente un unico vano, senza bagno e cucina con letti quasi improvvisati, con rare eccezioni di scarso rilievo in cui si hanno piccoli vani laterali adibiti a stalla o cucina o ripostiglio. «Una vera lotta per la sopravvivenza: niente aria, niente luce, nessuna finestra, una sola porta a far da tramite tra dentro e fuori, solo buio e squallore» (Del Parigi, 1994). Il gruppo di case costituenti il vicinato sono così vicine da essere quasi interdipendenti e acquisiscono il ruolo di nodi connettivi del tessuto urbano dei Sassi e una funzione peculiare nell’organizzazione della vita domestica e sociale degli abitanti. Occorre precisare che, parallelamente all’affermazione e alla sistemazione nelle nuove dimore del Piano di una classe borghese di professionisti, latifondisti, funzionari ed amministratori del Regno, ha inizio per i ceti subalterni un lento processo di emarginazione. Le due realtà sociali trovano conferma nel nuovo assetto urbanistico: l’insediamento borghese del Piano e, immediatamente a ridosso, l’agglomerato dei Sassi dove una fitta concentrazione abitativa denuncia degrado e fatiscenza. La stessa analisi topologica delle abitazioni, evidenzia due realtà contrapposte: da un lato il lamione ambiente in tufo, quale struttura successiva alla grotta naturale e artificiale e dall’altro i palazzi nobiliari a più piani, quelli posti sulla Civita e nel Piano. I Sassi sono la formalizzazione di una lotta di classe giunta a concepire la distribuzione fisica degli uomini in due spazi contrapposti, in un sopra e in un sotto, in un dentro e in un fuori: la città borghese dei Piano e la città contadina dei Sassi; il sito dominante della Civita e la marginalità archeologica del Rione Malve.
Queste due realtà così distinte non solo non interagiscono tra loro, ma vivono al limite della coesistenza, in quanto quella propria del ceto povero esprime una difficoltà quotidiana perfino per il soddisfacimento dei bisogni primari. Nei vicinati la dimensione dei rapporti umani e sociali è decisamente proiettata all’esterno per le strade. Un vincolo sociale molto importante nasce dalla vicinanza delle abitazioni: infatti, come già sottolineato, con la parola vicinato nei Sassi si indentifica quel gruppo di famiglie le cui case sono disposte in modo da affacciare su una delimitata area comune.
I vicinati più facilmente riconoscibili sono quelli costituiti da abitazioni affacciantisi sui cortili a pozzo o sui recinti. L’esistenza del vicinato è sancita ufficialmente in un rito di lontana origine pagana, che ha luogo il primo agosto, ricordato come “la crapiata o festa del prodotto”. Funzioni principali del vicinato sono quelle di svago, associazione di mutuo aiuto e di controllo sociale. «Nella piazzetta comune si svolge buona parte della vita domestica, giocano e si accapigliano bimbi e siedono gli adulti a chiacchierare» (Baldoni, 1962).
L’integrazione vicinato-famiglia ha notevole importanza soprattutto per le donne, le quali sono legate alla casa non solo dalle interminabili faccende domestiche, ma anche da una non ancora tramontata legge locale per cui le donne devono stare in casa. «La donna, quindi, non potendo allontanarsi da casa in osservanza della norma tradizionale di comportamento femminile e, non volendo nemmeno trascorrere isolata nella squallida ed umida abitazione-grotta la sua giornata trova naturale sfogo nella presenza e compagnia delle vicine, sue confidenti, dalle quali può ricevere protezione e consigli» (Del Parigi-Demetrio, 1994).
La loro vita sociale si svolge quindi principalmente nell’ambito del vicinato e questo spiega abbastanza l’importanza che esso ha assunto nella comunità.
Infatti, in ossequio alle norme di un sistema di comportamento che vieta loro di uscire, le donne rompono l’isolamento tendenziale nello spazio ristretto della casa e trovano nella condivisione comune del vicinato uno spazio effettivo di integrazione interfamiliare, che è anche un humus di rapporti umani; l’unica forma di associazione amicale e di mutuo sostegno, di aiuto nel lavoro e in molti frangenti della vita (parto, malattie). Le donne ricevono assistenza da parte delle vicine anche per la cura quotidiana dei figli e nell’ipotesi di allontanamento per necessità, dalle stesse ottengono conforto, sfogando i loro crucci e le loro preoccupazioni di tutti i giorni.
I pellegrinaggi religiosi sono l’unica possibilità nella vita di queste donne di una breve evasione dal loro ambiente sia pur per un raggio di pochi chilometri superabili a piedi per devozione, o con un carro; vi si va in gruppo, con le famiglie a cui si è legati da parentela o amicizia ed il fatto costituisce sempre una specie di festa per tutti. Il tipo di mutualità che nasce nei vicinati, dove le relazioni interpersonali sono più importanti dei rapporti di parentela, deriva da una estrema necessità di sopravvivenza. Gli abitanti dei Sassi sono coinvolti nella stessa difficoltà e nelle stesse tragedie, si sostengono a vicenda e mettono a disposizione quello che posseggono, nutrendo piena fiducia gli uni negli altri.
«Accanto a valori comunitari, come la solidarietà e il controllo sociale sui membri del gruppo si affiancano però latentemente valori negativi come l’ipocrisia, che si genera per una naturale necessità tra persone che condividono una relazionalità coatta, inevitabilmente obbligata, per angustia di spazio vitale, a vivere pubblicamente il loro privato» (De Rita, 1954).
Anche l’invidia, autentica morsa sociale, si contrappone ai valori positivi della solidarietà e della mutualità diventando uno dei più forti elementi del controllo comunitario in un ambiente in cui la prima regola è sopravvivere, e, se il caso lo richiede, strappare anche il fidanzato alla vicina, non con filtri d’amore, ma con una tecnica tra le più antiche, quale la maldicenza.
Il rapporto di vicinato non è sempre un rapporto di amicizia, basato sull’affetto e sulla comprensione reciproca, ma la carica di scontento e irritazione causata dalle difficoltà quotidiane, accumulate continuamente per la vita condotta misera e dura, dà luogo anche a situazioni di litigi e azzuffamenti.
«Il vicinato, palcoscenico esclusivo della vita di relazione nei Sassi, esercita la funzione di tribunale popolare; nelle sue peculiari forme comunicative, quali il pettegolezzo, l’antipatia, la tensione emotiva, esprime il suo potere di interdizione e controllo sociale, di proiezione dell’omeostasi morale in nome di una ragione etica superiore» (D’Ercole, 2009).
Il momento relazionale è, comunque, in ogni caso, proiettato all’esterno investendo spazi e strutture come la piazza, il vicinato, la chiesa e la cantina. Contrariamente alla classe borghese emergente e al ceto intellettuale, i contadini e i piccoli artigiani frequentano le osterie, le taverne e le bettole, dove si parla di lavoro di campi, di fiere e miserie. Le cantine si chiamano cellari (ciddari, antiche grotte adibite a cantine); il contadino e l’artigiano di Matera vi trascorrono preferibilmente qualche ora serale, davanti ad un buon bicchiere di vino, che accompagna ceci arrostiti, fave, biscotti fatti in casa, finocchio, ecc. Solo in rare occasioni si consuma carne di agnello, ovvero involtini (gnummrid, involtini di interiora di agnello), arrostiti alla brace nelle molte macellerie, attive nelle strade della vecchia Matera. Il vino viene spillato direttamente dalla botte e servito in boccali, variamente decorati (rizzil, boccali decorati per il vino). Si parla, si grida, si canta, si gioca. Lunghe ed interminabili sono le partite che vengono giocate con la sola posta di pagarsi il vino consumato. Non mancano i solitari, che preferiscono appartarsi e pensare bevendo di tanto in tanto un sorso di vino. In quelle profonde grotte, durante le serate invernali, l’ambiente è abbastanza caldo; anche per questo i numerosi frequentatori trovano accogliente fermarvisi per lunghe ore. La cantina rappresenta il simbolo della condizione maschile. Alla limitata circoscrizione ed omogeneità dello spazio femminile, corrisponde la variabilità di quello maschile, poiché l’uomo ha la possibilità di frequentare i compagni di lavoro, o comunque altra gente, in luoghi alternativi al vicinato, tra i quali emblematica è la cantina.
Nello spazio più o meno vasto (una specie di cortile) del vicinato in cui sono disposte le case i bambini cominciano a muovere i primi passi e fanno i primi giochi, passano lieti le ore pomeridiane giocando all’aperto inventando giochi fantasiosi e creando i giochi stessi con materiali di fortuna. Le donne, quando non sono impegnate nei lavori agricoli, trascorrono le lunghe giornate nel vicinato, attendendo alle tipiche attività femminili. In alcuni giorni il cortile assume l’aspetto di un vero e proprio alveare. Donne che lavorano e stendono i panni, oltre che tessere e preparare l’ordito (insieme di fili destinati a formare la lunghezza di un tessuto), impastare e preparare il pane. Spesso si aiutano spontaneamente nell’esecuzione dei lavori, accompagnandosi con nenie e canti tradizionali. Le donne del vicinato si accordano sulle ore dedicate al prelievo dell’acqua dal pozzo e dalla fontana, stabiliscono anche i turni per la pulizia del cortile, per l’uso del gettatoio (fossa usata per la raccolta di escrementi umani e liquami delle fogne) e per tutte le altre necessità derivanti dalla vita di gruppo. Il vicinato si anima in tutta la sua interezza solo in occasione di alcune feste.
Riferimenti bibliografici
Baldoni, V. 1962. L’evoluzione del costruire in un insediamento umano a carattere contadino. «Realtà nuova» n. 6.
Bronzini, G.B. 1982. Cultura contadina e idea meridionalistica. Bari.
Copeti, E. 1988. Notizie storiche della città e dei cittadini di Matera. Matera.
Del Parigi, A. – Demetrio, R. 1994. Antropologia di un labirinto urbano I Sassi di Matera. Venosa.
Demetrio, R. – Guadagno, G. 2001. Matera Forme e struttura Testo & Immagine. Matera.
Giampietro, A. 1988. Matera frammenti di vita contadina. Matera.
Intini, A. 2001. Silenzio parlano i Sassi. Matera.
Laureano, P. 2012. I giardini di pietra. I Sassi di Matera e la civiltà mediterranea. Torino.
Levi, C. 1954. Cristo si è fermato ad Eboli. Torino.
Padula, M. 1965. Antologia materana. Matera.
Volpe, L. 2007. La civiltà contadina lucana e meridionale¸ ricostruita attraverso i proverbi e detti degli antichi. Bari.
L'autore
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Michele La Rocca nato a Matera il 6 maggio 1977. Ordinato sacerdote il 26 giugno 2004.
Antropologo con Laurea Magistrale in Antropologia Teologica, conseguita nel 2004, e Dottore in Lettere con curriculum in Filologia Moderna, dopo aver conseguito Laurea Triennale in Letteratura, Arte, Musica e Spettacolo con curriculum Letterario. Attualmente, presta il suo servizio pastorale nell'Arcidiocesi di Matera-Irsina, ed è docente di Filosofia e Antropologia del Territorio e Seminario pratico di Religiosità Popolare presso ISSR "Pecci" di Matera. Svolge un lavoro di ricerca di stampo antropologico, in qualità di Assistente ecclesiastico presso l’Università degli Studi della Basilicata, ed è Coordinatore della Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali. Responsabile dell’Ufficio Diocesano per la Causa dei Santi, e Delegato Arcivescovile per la Cultura, la Pastorale della Scuola, dell’Università e la Pastorale del Laicato.
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