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Giornata del laureato

L’immagine di copertina è di Enrico Pulsoni

Ringrazio la Magnifica Rettrice dell’Università “La Sapienza”, Professoressa Antonella Polimeni, e il Professor Eugenio Gaudio, Presidente della Fondazione Roma Sapienza, per il gradito invito a partecipare a questa Cerimonia di premiazione dei migliori laureati, che saluto e con cui soprattutto desidero complimentarmi per il riconoscimento dell’impegno profuso negli studi. È un servizio che avete reso prima di tutto a voi stessi, che contribuirà alla vostra crescita personale, a rendervi cittadini informati e consapevoli, e che favorirà il vostro avanzamento professionale. Ma è anche un servizio fondamentale per il Paese, che potrà beneficiare delle vostre conoscenze e competenze.
Il mondo che state per affrontare, sia per chi di voi proseguirà gli studi, sia per chi si appresta ad entrare nel mercato del lavoro, è molto diverso da quello che trovai all’indomani della mia laurea, in questo stesso ateneo, oramai oltre cinquant’anni fa.
Negli anni Settanta in un mondo ancora poco interconnesso e privo delle possibilità tecnologiche di cui oggi disponiamo, l’orizzonte di riferimento per la maggior parte delle persone erano i confini nazionali. L’interscambio di beni e servizi era pari nel 1971 al 13 per cento del prodotto mondiale, meno della metà di oggi. E ben inferiori erano i movimenti di persone: per i voli in aereo, ad esempio, dai 350 milioni di passeggeri di allora siamo passati a più di 4,5 miliardi del 2019. Quando ero studente i calcoli per i modelli econometrici venivano sovente fatti di notte per risparmiare sui costi di computer spesso grandi quanto una stanza non piccola e migliaia di volte meno potenti di un moderno PC o di uno smartphone. E per istruirli a eseguire i calcoli necessari si passavano ore a perforare migliaia di cartoncini rettangolari…
Dai primi anni Novanta, con la fine della “Guerra fredda” e sull’onda di due importanti fenomeni si è assistito a un profondo mutamento. Il primo è l’intensificazione del processo di integrazione dei mercati economici e finanziari, concretizzatosi nella forte crescita degli scambi commerciali internazionali e degli investimenti su scala globale. Il secondo è l’accelerazione senza precedenti del progresso tecnologico, su cui hanno influito dapprima la cosiddetta rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni e, negli anni più recenti, la digitalizzazione.
Tali fenomeni hanno favorito non solo i movimenti tra paesi di persone, beni, servizi e capitali finanziari, ma anche lo scambio e la diffusione di idee, informazioni, metodi di produzione. I loro effetti sono stati visibili tanto nell’economia, quanto nella società e nella vita di ogni giorno. Negli ultimi trent’anni, in particolare, il prodotto mondiale è quasi raddoppiato in termini pro-capite; la mortalità infantile si è più che dimezzata (passando dal 64 a meno del 29 per mille, da 11 a 4 nei paesi avanzati) e la speranza di vita media alla nascita è salita di 7 anni (superando i 72 anni nel 2020, oltre 80 nei paesi ad alto reddito e 82 in Italia); più di un miliardo di persone sono uscite dalla povertà estrema (definita da un reddito o una spesa per consumi minore di 1,9 dollari al giorno ai prezzi del 2011) pur in presenza di un aumento della popolazione globale di oltre 2,5 miliardi, concentrato nei paesi meno sviluppati; la diffusione di Internet e della telefonia mobile hanno trasformato le modalità di comunicazione e ne hanno drasticamente abbattuto i costi.
Questi sviluppi non sono stati tuttavia privi di difficoltà, anche nelle risposte delle politiche economiche. Ne sono derivati squilibri di varia natura quali quelli climatici o gli eccessi dovuti all’espansione, in parte non controllata, della finanza privata di cui la crisi finanziaria globale del 2008-09 è un esempio.
Sul piano sociale, la crescita delle economie emergenti e in via di sviluppo, assai più rapida che in quelle avanzate, ha ridotto i divari di reddito “tra paesi” e la disuguaglianza a livello globale ma è nello stesso tempo cambiata la distribuzione dei redditi “all’interno” dei singoli paesi, in generale nella direzione di un aumento delle disparità. L’aspetto più grave di questo problema è che, in particolare nelle economie avanzate, l’aumento delle disuguaglianze si è accompagnato a una riduzione del grado di mobilità sociale inter-generazionale. Una mobilità sociale elevata è, invece, la migliore indicazione che il destino delle nuove generazioni non è segnato dalla nascita e che competenze, merito e impegno contano davvero.
In un mondo così profondamente diverso e intrinsecamente molto più complesso rispetto a trent’anni fa, l’investimento in conoscenza è un fattore chiave, sia a livello individuale sia per la società. Ne ho parlato ampiamente, anche in un piccolo libro di quasi 15 anni fa e rivisto una decina di anni or sono. In esso argomentavo che oltre alle conoscenze tradizionali – essenziali tanto nelle componenti umanistiche quanto in quelle scientifiche che non possono e non devono essere contrapposte le une alle altre – la conoscenza oggi risiede anche nell’acquisizione di nuove competenze.
Il capitale umano non si acquisisce più, una volta per tutte, sui banchi di scuola, per poi applicarlo durante l’intera vita lavorativa. È oggi cruciale la capacità di mobilitare in maniera integrata risorse interne (il sapere e il saper fare) ed esterne (l’apertura alla collaborazione e alla condivisione dei saperi) per affrontare efficacemente situazioni spesso inedite e certamente non di routine. La competenza interagisce con l’innovazione e consente un rapido adattamento ai mutamenti. Sempre più occorrerà coltivare, anche se sono consapevole di usare termini oggi forse un po’ inflazionati, l’esercizio del pensiero critico e l’attitudine, la propensione, alla risoluzione dei problemi. Le conoscenze tradizionali restano un bagaglio irrinunciabile, ma vanno inserite in un contesto necessariamente dinamico, tanto più in un mondo soggetto a shock così importanti quali quelli degli ultimi anni, dalla pandemia ai nuovi scenari geopolitici, in cui saranno decisive la disponibilità nei confronti dell’innovazione, la creatività e la curiosità intellettuale, la capacità di comunicare in modo efficace.
Di questo siamo sempre più consapevoli anche nell’Istituto che oggi dirigo. La Banca d’Italia è un’istituzione con molteplici funzioni. Tra le tante, abbiamo sempre cercato di dare il nostro contributo per diffondere la conoscenza. Tradizionalmente lo abbiamo fatto puntando sull’analisi economica, i cui risultati culminavano, e ancora culminano, nella Relazione annuale e nelle Considerazioni finali del governatore, inaugurate da Luigi Einaudi nel 1947 (con le parole “Importa ora compiere dei fatti avvenuti una analisi che direi economico-morale”). In Banca d’Italia c’è sempre quindi stata un’“ansia di educare”, con messaggi indirizzati in passato soprattutto alle classi dirigenti.
Più di recente, con l’educazione finanziaria abbiamo iniziato a rivolgerci a un pubblico sempre più ampio. Abbiamo fatto un significativo investimento per raggiungere il numero più alto possibile di cittadini; un Servizio esplicitamente dedicato a questa attività è stato creato nel 2020. Alla luce dei grandi e rapidi cambiamenti registrati negli ultimi trent’anni, inclusi quelli prodotti dall’innovazione finanziaria, riteniamo essenziale che le persone posseggano sufficienti conoscenze di base dei prodotti e degli strumenti finanziari, in particolare per evitare di essere penalizzati nell’investimento dei loro risparmi.
Nella teoria economica tradizionale, gli individui possiedono già le conoscenze che servono e fanno sempre scelte ottimali; quando sbagliano, correggono i loro errori nelle decisioni successive. Tuttavia molti autori – da Herbert Simon a Daniel Kahneman, da Amos Tversky a Richard Thaler – hanno invece sottolineato i limiti della razionalità umana e la tendenza degli individui a soffrire di distorsioni cognitive. Tendiamo ad avere, infatti, una preferenza eccessiva per il presente, sottovalutando, ad esempio, l’utilità di piani pensionistici e assicurativi. Consideriamo le spese in contanti come diverse rispetto a quelle effettuate con le carte di pagamento. Subiamo spesso l’effetto “dotazione”, attribuendo più valore a un bene che già possediamo – ad esempio un appartamento ricevuto in eredità, anche considerandone qualità non puramente monetarie – rispetto a quanto saremmo disposti a pagare per acquistarlo. Soffriamo di effetti di “inquadramento”, facendoci influenzare dalle modalità di presentazione di una notizia. Non diversifichiamo a sufficienza i nostri investimenti e non siamo spesso sufficientemente consapevoli della correlazione che esiste tra il rischio e il rendimento di un prodotto finanziario.
L’acquisizione di competenze finanziarie è, a pieno titolo, una forma di investimento in capitale umano capace di accrescere il benessere e le possibilità degli individui. Questo vale oggi molto più che in passato, per molte ragioni. Perché, ad esempio, l’aspettativa di vita è aumentata e perché abbiamo una responsabilità maggiore nella formazione del risparmio per gli anni di vita oltre l’età di lavoro. O perché è cambiata la composizione della ricchezza finanziaria; le famiglie non detengono più solo depositi bancari e titoli di Stato ma hanno sempre più l’opportunità di investire in strumenti finanziari complessi. Decisioni inappropriate, quali un indebitamento eccessivo o investimenti poco consapevoli in strumenti rischiosi, possono condurre a situazioni di forte tensione. Anche la digitalizzazione crescente della finanza pone tutti noi di fronte a scelte complicate.
L’alfabetizzazione finanziaria è anche uno strumento di cittadinanza. Avere conoscenze di base di economia e finanza aiuta a comprendere meglio la realtà e a partecipare attivamente alla società. La non comprensione delle misure di politica economica, ad esempio, può ridurne l’efficacia.
Ciò richiama l’importanza dell’educazione finanziaria per accrescere, alla luce dei ritardi esistenti, il grado di alfabetizzazione della popolazione. Secondo l’ultima edizione, del 2018, dell’indagine PISA dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), il grado di alfabetizzazione finanziaria dei nostri quindicenni è più basso della media. Per gli adulti siamo addirittura agli ultimi posti nella classifica secondo l’indagine condotta nel 2020 dalla Banca d’Italia con la metodologia sviluppata dall’OCSE su 26 paesi, non solo quelli più avanzati.
Il nostro Istituto ha quindi deciso di impegnarsi con forza nell’educazione finanziaria, attività che svolgiamo, anche grazie alla nostra rete di filiali, nell’ambito dei più ampi compiti di tutela della clientela dei servizi bancari e finanziari. Tale tutela si avvale della regolamentazione, della vigilanza sul comportamento degli intermediari, degli strumenti di salvaguardia individuali quali l’Arbitro Bancario Finanziario e la gestione degli esposti. Ma l’alfabetizzazione finanziaria dei risparmiatori, oltre a costituire per loro una prima difesa, rafforza l’ambiente in cui le diverse istituzioni sono chiamate a operare e rende, quindi, più efficaci i loro strumenti.
A questo riguardo, la Banca d’Italia è protagonista e promotrice di molte iniziative in contesti nazionali e internazionali. Partecipiamo con il massimo impegno al Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria (Comitato Edufin) istituito nel 2017 per dare attuazione in Italia alla Strategia nazionale di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. Guidiamo il gruppo di lavoro Global Partnership for Financial Inclusion (GPFI) del Gruppo dei 20, che ha lo specifico obiettivo di promuovere l’inclusione attraverso l’educazione finanziaria, e l’International Network on Financial Education dell’OCSE.
I contenuti delle nostre attività di formazione riguardano, in primo luogo, gli argomenti della finanza personale (ad esempio la pianificazione familiare o l’importanza di investimenti oculati basati sulla diversificazione). Attraverso l’educazione finanziaria facciamo conoscere anche le nostre funzioni istituzionali: la politica monetaria; la vigilanza sulle banche e gli altri intermediari finanziari; l’emissione di banconote; la gestione delle infrastrutture di pagamento all’ingrosso e al dettaglio nell’area dell’euro; la sorveglianza sul sistema dei pagamenti nazionale.
Siamo particolarmente attivi nel mondo della scuola e riteniamo che l’inserimento dell’educazione finanziaria tra le attività curriculari, ad esempio nell’ambito dell’educazione civica, avrebbe un grande impatto nell’accrescere i livelli di alfabetizzazione. Il progetto più consolidato è quello basato sui volumi “Tutti per uno, economia per tutti!”, che prevede l’offerta di seminari destinati ai professori delle scuole primarie e secondarie, che poi affrontano temi di economia e finanza nelle classi. Abbiamo di recente avviato una collaborazione con alcune facoltà di Scienze della Formazione per la preparazione dei futuri insegnanti. Offriamo anche “percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”, in quella che in passato era chiamata “alternanza scuola lavoro”.
Le iniziative per gli adulti includono anzitutto le attività rivolte al pubblico attraverso il portale “L’Economia per tutti”, che raccoglie contenuti e attività di educazione finanziaria, proponendo notizie e approfondimenti su temi di attualità (ad esempio sulle cripto-attività), e mediante la collana “Le Guide della Banca d’Italia” che illustra, cercando di farlo attraverso un linguaggio più semplice possibile, temi di interesse per le famiglie e le imprese: dal conto corrente ai pagamenti nel commercio elettronico; dal credito al consumo ai mutui ipotecari e alla Centrale dei rischi.
Agli interventi di natura trasversale si affiancano poi numerose iniziative formative per gruppi specifici di adulti, tipicamente cittadini con bassa scolarizzazione, donne, migranti, detenuti, categorie contraddistinte da livelli molto bassi di alfabetizzazione finanziaria. In questo quadro il progetto “Scelte finanziarie e rapporti con le banche” persegue il rafforzamento delle competenze finanziarie, oggi non elevate, delle piccole imprese e degli artigiani nella convinzione che questo possa apportare rilevanti benefici per il tessuto produttivo italiano.
Per concludere con alcune iniziative più recenti, vi sono la campagna di divulgazione su temi di economia e finanza in collaborazione con la RAI e la realizzazione del nuovo “museo della moneta” (e dell’educazione finanziaria), che sarà inaugurato nel 2025 ma di cui sarà possibile visitare una vasta anteprima, dall’autunno di quest’anno, al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Il basso grado di alfabetizzazione finanziaria è però solo un aspetto del divario di conoscenze accumulato dal nostro paese. L’Italia è in ritardo sia nei tassi di scolarità e di istruzione universitaria, sia nel livello delle competenze dei giovani come della popolazione adulta. La bassa dotazione di capitale umano nel confronto internazionale è questione antica. Il progresso nei livelli di istruzione è stato considerevole, ma non tale da colmare i divari accumulati.
Voi, i migliori laureati dell’ultimo anno, siete un’eccellenza all’interno di una minoranza. In Italia, infatti, la quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di un titolo di studio terziario era pari nel 2021 solo al 20 per cento, a fronte di una media del 40 tra i paesi OCSE. Se l’Italia sconta in parte il ritardo delle generazioni adulte, il differenziale resta marcato anche tra i più giovani: nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni la quota di coloro che sono in possesso di un titolo di studio terziario è salita dal 21 per cento del 2010 al 28 per cento del 2021, ma rimane ancora al penultimo posto fra i paesi dell’OCSE; nello stesso periodo, la media dell’Unione europea (UE) è passata dal 32 al 41 per cento. Nella stessa fascia di età, resta elevata la quota di coloro che non hanno conseguito il diploma di scuola secondaria superiore (il 23 per cento nel 2021, contro il 14 della media dei paesi dell’OCSE).
Il basso grado di istruzione si traduce in gravi carenze nelle competenze. Le più recenti rilevazioni INVALSI segnalano che circa il 10 per cento dei giovani in possesso del diploma di scuola secondaria superiore è privo di sufficienti competenze di lettura e di matematica. Il programma di valutazione internazionale PIAAC, realizzato dall’OCSE tra il 2013 e il 2016, indica che in tutti i gruppi di età gli adulti italiani presentano risultati peggiori della media. Nel nostro paese si registra, in particolare, una diffusa carenza di quelle competenze – di lettura e di comprensione, di utilizzo della logica e di analisi – che rispondono alle esigenze della vita moderna e del mondo del lavoro. Nonostante questi ritardi, la partecipazione degli adulti tra i 25 e i 64 anni a corsi di formazione e aggiornamento rimane inferiore alla media della Unione europea (9,9 contro 10,8 per cento nel 2021).
È difficile spiegare perché in Italia si studi così poco. I rendimenti dell’istruzione sono positivi ma meno marcati che altrove. Il rapporto tra le retribuzioni dei lavoratori che hanno completato un ciclo di istruzione terziaria e quelli che hanno completato solo un percorso secondario superiore è più basso della media OCSE (o di quella della UE). Se ciò contribuisce a spiegare la minore propensione delle famiglie a investire in capitale umano, il basso rendimento di un fattore di produzione relativamente scarso rappresenta per la teoria economica un paradosso, che ho messo in evidenza già molti anni fa.
Diversi elementi contribuiscono a contenere il vantaggio salariale dei laureati in Italia nonostante la loro scarsità. Vi influiscono, in parte, l’insufficiente presenza di figure professionali specializzate e, soprattutto, il ritardo del sistema produttivo, che ha a lungo continuato a privilegiare i comparti tradizionali, più esposti alla concorrenza dei paesi in via di sviluppo, ed è rimasto sbilanciato verso imprese piccole e molto piccole, la cui risposta all’apertura dei mercati e al progresso tecnologico è necessariamente lenta e modesta.
Al basso rendimento dell’istruzione concorrono anche le asimmetrie informative sulla qualità di chi partecipa al mercato del lavoro, più rilevanti in Italia dato il basso livello medio di istruzione e il contesto di scarsa differenziazione dei percorsi di studio. Ciò tende a innescare un circolo vizioso: in assenza delle competenze necessarie, le imprese comprimono la propria attività innovativa e i salari dei, pochi, lavoratori qualificati; le famiglie rispondono a questa carenza di incentivi e non investono sufficientemente in conoscenza, alimentando la scarsa propensione all’innovazione del sistema produttivo.
Tale spirale è accentuata dai flussi migratori: la compressione delle retribuzioni dei lavoratori più qualificati rispetto agli altri paesi avanzati spinge molti italiani, in particolare giovani con un più elevato livello di istruzione, a ricercare migliori opportunità di lavoro in altri paesi. Tra il 2009 e il 2021 gli italiani che hanno trasferito la propria residenza all’estero sono stati oltre un milione (a fronte di circa mezzo milione rientrato in Italia). Si conferma la maggior propensione allo spostamento per chi ha livelli di istruzione più elevati: sui 94.000 emigrati nel 2021, oltre un quarto aveva un titolo di studio terziario, una quota superiore al 20 per cento del totale della popolazione.
Per invertire queste tendenze bisogna dunque riflettere sia sugli strumenti con cui la società accresce la propria dotazione di capitale umano (in primis scuola e università), sia sui fattori che determinano le scelte individuali di istruzione. L’importanza dell’istruzione e dell’investimento in conoscenza deriva anche dalla rapidità dell’innovazione tecnologica. Pensiamo ad esempio allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, che oggi rende difficile immaginare quali saranno i beni e i servizi offerti nei prossimi anni e, di conseguenza, quali professionalità verranno richieste sul mercato del lavoro.
La consapevolezza del ruolo centrale della tecnologia e l’attenzione al capitale umano furono elementi caratterizzanti del pensiero di Carlo Azeglio Ciampi, anche nei suoi lunghi anni di servizio in Banca d’Italia. Come ebbe a dire in un’intervista rilasciata durante il suo mandato presidenziale “la cultura e l’uso critico della ragione […] sono i cardini del progresso dell’umanità”. Ciampi avvertiva forte l’importanza della formazione, soprattutto, ma non solo, per le generazioni più giovani. Riteneva che, per essere preparati a competere, fosse necessario sviluppare attitudine al cambiamento e curiosità intellettuale, che qualificava come il “gusto dei perché”.
Concludo citando un breve passo di un saggio pubblicato da Ciampi nel 2015 nella rivista “Nuova Antologia”. Si tratta del suo ultimo saggio, raccolto insieme con tutti gli altri scritti da lui pubblicati su questa rivista nell’arco di oltre un ventennio in un volume curato dal Professor Cosimo Ceccuti e stampato dalla Banca d’Italia nel 2017. In esso, davanti alle complesse e ardue sfide del presente, Ciampi affermava: “I giovani dispongono della ricchezza del tempo che hanno davanti a sé. È loro il compito di contrastare le forze negative di un ripiegamento rassegnato o di un velleitario e sterile ribellismo. Occorre, dunque, che si preparino ad affrontarlo; che si attrezzino moralmente e culturalmente per assolverlo al meglio. La via maestra che intravedo è ancora e sempre la Cultura. Cultura, in tutte le sue declinazioni, come valore fondante di ogni progresso civile, sociale ed economico. Cultura come spinta propulsiva”.
Un messaggio, questo, che non possiamo non fare nostro, ricordando, indietro nel tempo con Socrate, che “esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza”.

*Relazione letta il 27 marzo 2023 presso la Sapienza Università di Roma.

L'autore

Ignazio Visco
Ignazio Visco
Ignazio Visco è stato dal novembre 2011 all'ottobre 2023 Governatore della Banca d'Italia, istituzione nella quale è entrato nel 1972. Dal 1997 al 2002 è stato Capo economista e Direttore del Dipartimento economico dell’OCSE a Parigi. Laureatosi all’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’, ha proseguito gli studi presso la University of Pennsylvania, conseguendo un Master of Arts e un Ph.D. in Economics. E' stato docente di Econometria e di Politica economica all’Università ‘La Sapienza’ di Roma. E' autore di numerose pubblicazioni, da ultimo Anni difficili. Dalla crisi finanziaria alle nuove sfide per l'economia, Il Mulino, 2018; Inflazione e politica monetaria, Laterza 2023.