Diverse sono le forme di devozione a Maria ancora oggi, ma il cristiano sa che esse nulla hanno a che spartire con il “devozionismo”. Il primo ad occuparsi di questo rischio fu proprio Paolo VI “Se vogliamo essere cristiani dobbiamo essere mariani. Dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale e provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù e che apre a noi la via che conduce a Lui”.
E ancora nell’enciclica Marialis Cultus (“Il culto mariano”) afferma: “La pietà della Chiesa verso la Vergine Maria è elemento intrinseco del culto cristiano”. Solo Cristo è l’unico Salvatore dell’umanità, ecco perché la devozione mariana non può né oscurare né diminuire l’unica mediazione di Cristo Redentore. Maria è la creatura che coopera insieme all’opera redentrice di Cristo: “non esclude bensì suscita nelle creature – così si esprime il Concilio Vaticano II – una vera partecipazione alla vita di fede. La figura di Maria nella pietà popolare è impersonificazione della povertà, della sofferenza e della liberazione redentrice tramite il Figlio”.
Osservando la società moderna, si può constatare la diffusione di forme sbagliate di devozionismo nei riguardi di Maria, spesso considerata distaccata e superiore al Figlio Redentore. Nella cultura popolare, si nota che nella relazione devota con Maria, spesso si tende a sottolineare l’aspetto affettivo: difatti, a lei sono attribuiti titoli come “Madre amata” o “Madre celeste”, accompagnati da gesti quali, baciare una statua o accendere un cero dinnanzi ad essa proprio come manifestazione dei propri sentimenti. Il versante cattolico presenta la pietà popolare come una realtà ricca e insieme vulnerabile, ma tale da non poter essere trascurata perché se ben orientata costituisce un vero incontro con Dio in Gesù Cristo.
Nella giusta collocazione di Maria e del suo culto nella storia della salvezza dell’uomo, Maria diviene l’esempio e la guida dei fedeli che sono chiamati ad avere un rapporto vitale con Cristo, centro verso cui l’uomo deve tendere. L’immagine mariana, dunque, deve necessariamente essere riletta alla luce del Vangelo. Schinella afferma infatti che «la pietà popolare della settimana santa concentra tutta la sua attenzione sul vangelo di Giovanni, di cui si intende essere una traduzione popolare specie di lectio molto simbolica e profonda da un tono spirituale quanto mai marcato, con un approfondimento degli aspetti cristologici ed ecclesiali contenuti nella presenza di Maria nei punti cruciali della morte o della risurrezione del Signore. […] la presenza di Maria in Occidente durante il periodo pasquale è un’azione congiunta tra lo Spirito Santo e la Chiesa per supplire al silenzio con cui il vangelo ha avvolto la presenza di Maria. Dal punto di vista ermeneutico si potrebbe dire che la pietà popolare occupa e scrive gli spazi bianchi del testo evangelico».
Anche l’arte mostra mirabilmente i “volti” di Maria: la profondità dello sguardo dell’Annunciata di Antonello da Messina, la ieraticità della Madonna in trono dei mosaici di Monreale, l’umanità quotidiana della Madonnina di Roberto Ferruzzi, la regalità della Vergine di Masolino da Panicale, la grazia dell’Educazione della Vergine di Giambattista Tiepolo, la compostezza ed eleganza di Maria nella Presentazione al Tempio di Andrea Mantegna, l’umanità carica di simbolismo della Madonna del parto di Piero della Francesca, il calore materno del Riposo nella fuga di Egitto di Caravaggio o il mistero della Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci.
Maria, dunque, è una delle donne più rappresentate dagli artisti di tutti i tempi, che attrae credenti e non credenti perché davanti a nessuna immagine di Maria ci si può sentire atterriti: “nessuna immagine mariana incute timore” afferma mons. Francia. Maria è e rimane la rappresentazione tra le più eloquenti della bellezza di Dio.
Interessante a tal proposito è il culto mariano nei Sassi della città di Matera. Come spesso accadeva nei Sassi, a dare il nome ad alcune contrade o strade erano chiese o cappelle tutt’oggi esistenti o talvolta andate distrutte. La conservazione della loro memoria viene di fatto tramandata grazie al toponimo e in alcuni casi anche a tracce superstiti ancora tangibili.
È il caso della via denominata “Sette Dolori” presente nel Sasso Barisano già nell’Ottocento, dove il nome alla strada era dato da una cappella presente sul ponte che permetteva l’attraversamento da una sponda all’altra del Grabilione (canali di scolo). Nel 1902 tale cappella fu dotata di un dipinto a olio su lamiera raffigurante l’Addolorata, o Madonna dei Sette Dolori, eseguita dall’artista materano Michele Amoroso. Il ponte fu abbattuto e la chiesetta ricostruita. Il dipinto della Vergine dei Sette Dolori fu trasferito sulla parete di fondo al di sopra del nuovo altare. Le funzioni religiose nella chiesetta avvenivano sporadicamente durante l’anno e intensamente solo nel mese di maggio. Per svariati decenni gli abitanti di quel rione hanno condiviso tali momenti di aggregazione e di fede fino agli anni dello sfollamento portato a compimento sul finire degli anni Sessanta. Infatti in seguito alla legge n. 619 del 17 maggio 1952, la maggior parte delle abitazioni dei Sassi fu sgomberata, seguì quindi una fase di abbandono e deperimento dei luoghi. Il Rione Serra Venerdì fu uno dei nuovi rioni nati a seguito alla legge citata sul “Risanamento dei rioni Sassi” del 17 Maggio 1952. Qui venne eretta la Parrocchia Maria Ss.ma Addolorata, canonicamente il 15 Maggio 1956 e riconosciuta civilmente il 17 Maggio dello stesso anno. L’ 8 Dicembre 1963, con una solenne liturgia officiata dall’ Arcivescovo di Matera, S.E. Mons. Giacomo Palombella, e da S.E. Mons. Vito Roberti, Arcivescovo di Caserta, veniva consacrata e consegnata ufficialmente dal Genio Civile di Matera alla Curia Diocesana con i locali pastorali e la casa canonica.
L’abbandono dei Sassi comportò la perdita del vicinato, un contesto antropologico di straordinaria complessità, un labirinto umano ed urbano. Una vera e propria cultura in cui si è ramificato un millenario sistema di vita che poneva le sue basi sul rispetto, sulla solidarietà, sul mutuo sostegno, sul coinvolgimento, sul rapporto umano, sulla semplicità. Il vicinato era condivisione. Nel costruire i nuovi quartieri per mantenere questo clima di vicinato, si pensò per Serra Venerdì ad una chiesa in onore di Maria e del Venerdì Santo per mantenere una tradizione mariana con funzione altamente aggregante. Continuando quindi la tradizione mariana incardinata nei Sassi di Matera attraverso i dipinti, si pensò per il quartiere in questione di bandire un concorso per la realizzazione di un’opera d’arte nella nuova Chiesa di Maria Santissima Addolorata. Peppino Mitarotonda, giovane artigiano materano, presenta il bozzetto, vince il concorso, e con l’aiuto di due giovani collaboratori esegue un mosaico di 37 cm2, la sua prima opera di rilievo.
Il mosaico in questione raffigura il momento raccontato da Gv 19,26-27: “Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua”.
Il mosaico, posto dietro l’altare maggiore, è di stile bizantino in cui le immagini sono chiaramente bidimensionali. I personaggi del mosaico sono in perfetto stile classico e seguono i seguenti canoni estetici: la ripetitività dei gesti, la preziosità degli abiti, la mancanza di volume (con il conseguente appiattimento o bidimensionalità delle figure), l’assoluta frontalità, la fissità degli sguardi e la ieraticità delle espressioni; la monocromia degli sfondi (con luminosissime tessere oro zecchino), l’uso degli elementi vegetali a scopo unicamente riempitivo, ornamentale e decorativo. Per conferire maggiore monumentalità alle figure, l’artista fa uso dei colori complementari in modo da favorire la resa dei volumi e dello spazio, un esempio sono i corpi dei personaggi che sono molto stereotipati.
L’episodio “narrato” nel mosaico è il secondo momento in cui compare la figura di Maria che non è mai chiamata per nome. Appare chiaro come, i personaggi sotto la croce, assumono dei titoli-funzione, mentre Gesù manifesta la loro nuova identità e missione Se Maria rappresenta la comunità ideale, Giovanni, il discepolo amato, è simbolo del credente ideale. Il Crocifisso dunque crea con la sua morte la comunità ideale, rappresentata da Maria, alla quale è affidato ogni singolo credente e nella quale il cristiano deve riconoscere la propria madre.
«Il popolo nuovo sta nascendo lì, ai piedi della croce: molti saranno attratti da quella croce, o meglio, da quel Crocifisso e non solo la Chiesa in senso universale, ma anche quelle porzioni di Chiesa, piccole e povere, che sono le singole comunità cristiane» (Papa Francesco, 2017).
Commentando il passo del Vangelo, Papa Francesco vede nella persona del discepolo amato il popolo messianico, che riconosce Maria come propria madre. In questo riconoscimento è chiamato ad accoglierla, a contemplare in lei il modello del discepolato e anche la vocazione materna che Gesù le ha affidato, con le preoccupazioni e i progetti che ciò comporta. È proprio per il senso profondamente teologico che si sceglie questa immagine che caratterizza la comunità cristiana in cui il mosaico viene collocato e che ricorda Maria, quale madre di Gesù, come modello per tutti i battezzati.
Nella cultura odierna, soprattutto attraverso i social network, si ricevono immagini e messaggi, spesso lasciati alla libera interpretazione. Come per le fotografie, anche le opere d’arte hanno bisogno di essere interpretate in modo corretto, e per scoprire il senso del mosaico c’è bisogno di un sostegno teologico. Chi entra in parrocchia e osserva il mosaico può apprezzarne la bellezza artistica, ma difficilmente potrà scoprire il messaggio profondamente cristiano di tale immagine se non tramite una spiegazione corretta dal Vangelo.
Il mosaico dunque in quanto espressione della religiosità popolare può essere l’occasione di scorgere nel visibile l’Invisibile. Come afferma Padre Rupnik: «L’arte nell’edificio liturgico non è decorativa, ma è costitutiva dell’evento che lì si celebra e della comunità che si riconosce in quell’edificio, immagine della Chiesa, dell’umanità e dell’universo trasfigurati. Abbiamo bisogno di un’arte liturgica che non solo susciti ammirazione, ma anche devozione, riverenza, pietà, senso religioso, l’arte liturgica dunque deve suscitare devozione in chi la osserva».
Il mosaico della Parrocchia dell’Addolorata può aiutare a riconoscere il valore universale della maternità di Maria. È importante orientare il fedele verso un’autentica devozione a Maria che non perda di vista la centralità di Cristo come unico mediatore nella vita cristiana, evitando l’idea che si possa arrivare a Cristo solo ed unicamente per mezzo di Maria. È Cristo che salva tutti gli uomini, compresa Maria (che con il suo “sì” è diventata grembo di Dio), divenendo così la via privilegiata per vivere l’immediato contatto con Lui. Tutto ciò serve a evitare un devozionismo sentimentale e superficiale che non ha la funzione di guida nella conoscenza di Cristo e del ruolo profondo di Maria nella storia della salvezza. La Costituzione dogmatica Lumen gentium del 21 novembre 1965 afferma infatti che «i fedeli a loro volta si ricordino che la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa qual vana credulità, bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della madre di Dio, e siamo spinti al filiale amore verso la madre nostra e all’imitazione delle sue virtù».
Bibliografia minima
- BELLO, Maria, donna dei nostri giorni, San Paolo, Milano 2012.
- CANTELMI, Tecnoliquidità, la psicologia ai tempi di internet: la mente tecnoliquida, San Paolo, Cisinello Balsamo (MI) 2013.
- PESCIO, Contesti d’arte, dalla preistoria al gotico, Giunti t.v.p. editori, Milano 2012.
- DE FIORES – G. STRANGIO – E. VIDAU, popolo sacerdotale in cammino con Maria, atti del XVIII colloquio internazionale di mariologia, Gerace- San Luca, Roma 2008.
- DE FIORES, Maria nella teologia contemporanea, San Paolo, Roma 1991.
- FAVALE, Presenza di Maria nelle aggregazioni ecclesiali contemporanee, Elledici, Torino 1985.
- PIAZZOLLA, Gli scritti di San Giovanni. Ad uso privato degli studenti, ISSR “Mons. A. Pecci” di Matera, Anno accademico 2016-2017.
- PREZZI, Bellezza, carne del vero, Intervista a p. Marko Ivan Rupnik, Regno-attualitàn.20, 2009.
- TESTA, «la religiosità popolare nel magistero di Giovanni Paolo II», in Communio n. 85, (1957).
- VALENTINI, Maria secondo le scritture, Figlia di Sion e Madre del Signore, Bologna 2007.
- – F. VINCIGUERRA, Matera città irripetibile, Matera 2022.
L'autore
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Michele La Rocca nato a Matera il 6 maggio 1977. Ordinato sacerdote il 26 giugno 2004.
Antropologo con Laurea Magistrale in Antropologia Teologica, conseguita nel 2004, e Dottore in Lettere con curriculum in Filologia Moderna, dopo aver conseguito Laurea Triennale in Letteratura, Arte, Musica e Spettacolo con curriculum Letterario. Attualmente, presta il suo servizio pastorale nell'Arcidiocesi di Matera-Irsina, ed è docente di Filosofia e Antropologia del Territorio e Seminario pratico di Religiosità Popolare presso ISSR "Pecci" di Matera. Svolge un lavoro di ricerca di stampo antropologico, in qualità di Assistente ecclesiastico presso l’Università degli Studi della Basilicata, ed è Coordinatore della Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali. Responsabile dell’Ufficio Diocesano per la Causa dei Santi, e Delegato Arcivescovile per la Cultura, la Pastorale della Scuola, dell’Università e la Pastorale del Laicato.
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