Interventi

Don Milani prima di don Milani

Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, meglio conosciuto come don Lorenzo Milani, nacque a Firenze il 27 maggio 1923 da Albano Milani e Alice Weiss. Lorenzo aveva un fratello e una sorella: Adriano e Elena. La famiglia Milani era colta, agnostica e figurava tra le più benestanti di Firenze. Possedeva una lussuosa abitazione in città, e per le vacanze una tenuta, “La Gigliola”, a Montespertoli, composta da una villa e ventiquattro poderi nonché la villa al mare, “Il Ginepro”, a Castiglioncello nei pressi di Livorno.

La famiglia Milani era particolarmente ricca, tanto che, negli anni Venti, delle quindici automobili che giravano a Firenze, due appartenevano ad Albano, il padre di Lorenzo. I Milani potevano anche vantare personaggi di spicco nel parentado, sia da parte paterna che materna. Il secondo cognome di Lorenzo era infatti “Comparetti”, che gli derivava dal bisnonno paterno Domenico. Domenico Comparetti, laico ed intransigente anticlericale. Nacque a Roma ed emigrò successivamente a Firenze, dove morì nel 1927 quando Lorenzo aveva quattro anni. Era annoverato tra i maggiori filologi dell’Ottocento, nonché Senatore del Regno d’Italia in riconoscimento dei meriti scientifici. La stima di cui godeva era tale che, non avendo Comparetti discendenti maschi, alla sua morte venne promulgata una legge per attribuire il suo cognome ai suoi nipoti e pronipoti.

Domenico Comparetti
Domenico Comparetti

Il nonno Domenico, studioso del linguaggio e letterato, ottenne un’importante cattedra universitaria dimostrando la comune etimologia di una parola greca e di una tedesca. Non stupisce, quindi, che abbia potuto trasmettere ai nipoti, oltre che il cognome, anche l’amore per la ricerca di senso nella parola. I biografi narrano che nell’infanzia il futuro prete maestro si dilettasse con gli scioglilingua, così, ricomponendole giocosamente, cominciò a trattare le parole, che in seguito avrebbe inteso come strumento di libertà e di evoluzione sociale ed umana.

Albano Milani perse entrambi i genitori molto presto; infatti, nel 1913 morì sua madre Laura e poco più di un anno dopo morì anche suo padre. Albano, essendo il figlio maggiore, all’improvviso si trovò a dover amministrare il ricco patrimonio di famiglia. Albano Milani era laureato in chimica, tuttavia coltivava gli interessi letterari e filosofici propri della sua famiglia, curando la conoscenza di diverse lingue e, se non seguì la tradizione accademica, fu anche e soprattutto perché, all’età di 26 anni, a causa della morte dei genitori fu costretto ad assumere il controllo degli affari di famiglia. Pur tuttavia il papà di Lorenzo si interessò di letteratura e filosofia tanto che pochi mesi prima di morire, quando Lorenzo era già in seminario, gli inviò un proprio saggio sullo scrittore Franz Kafka, allora sconosciuto in Italia. Forse, se la morte precoce dei genitori non gli avesse imposto di assumersi pesanti responsabilità finanziarie, anche Albano sarebbe diventato un cattedratico.

La madre di Lorenzo, Alice Weiss, proveniva da una ricca e colta famiglia ebrea di Trieste, originaria della Boemia. Alice, come del resto la sua famiglia, essendo sostanzialmente agnostica si lasciava guidare più della cultura che dalla religione. Alice era cugina di Edoardo Weiss, allievo di Freud, nonché amico dello scrittore James Joyce. La famiglia coltivava amicizie anche con lo scrittore Italo Svevo.

Entrambi i genitori di Lorenzo erano agnostici, infatti nel 1919 si spostarono con il solo rito civile e non fecero battezzare i propri figli alla nascita. Sarà solo nel 1933 che, a causa delle leggi razziali, contrassero matrimonio religioso battezzando i loro tre figli.

Questa famiglia di raffinati intellettuali aveva comunque una sorta di religiosità da cui si lasciava guidare: la cultura era interpretata e vissuta attraverso un profondo impegno di vita ed un costante rigore intellettuale. Si potrebbe dedurre, dunque, che l’attitudine ad esprimere liberamente le proprie idee, anche se in contrasto con l’indirizzo generale della famiglia, sia stata terreno fertile per consentire al giovane Lorenzo di tentare prima la strada dell’arte attraverso la pittura, per poi intraprendere la vita sacerdotale. Scelte, soprattutto quella religiosa, in netto contrasto con le aspirazioni dei genitori, che causò non pochi contrasti in casa Milani.

Volendo descrivere l’infanzia di Lorenzo utilizzando le sue stesse parole, lo si potrebbe definire: un signorino della borghesia cresciuto sotto terra, con la pelle che si strappa al primo bruno, con quel sorriso al dentifricio, con quegli occhi vivaci sprizzanti salute, vitamine, divertimento, vacuità d’anima.

I primi grandi amici di Lorenzo e di suo fratello Adriano, furono due cugini: Paolo e Laura, figli di Giorgio e Lina Milani, che abitavano nella casa adiacente quella di Lorenzo. I quattro bambini giocavano sempre insieme sotto lo sguardo vigile delle istitutrici tedesche, fino a quando gli zii decisero di trasferirsi, da allora i bambini riuscivano a vedersi solo in rare occasioni oltre che nei mesi estivi, quando la famiglia si riuniva al mare a Castiglioncello.

Nel ricordo dei parenti e degli amici, Lorenzo era un ragazzo intelligente, grazioso, timido e cocciuto, nonché piuttosto delicato di salute. Intorno ai dieci anni circa, fu colpito da una malattia agli occhi che lo costrinse per un certo tempo chiuso al buio in una stanza; anche di malattia ai bronchi soffrì per anni. Lorenzo era anche un ragazzino molto emotivo, non sopportava la vista del sangue né della violenza, tanto che svenne alla vista di una scena di un film western al cinema. Questa fobia per la violenza e per il sangue, Lorenzo Milani se la porterà dietro per tutta la vita. Quando venne a conoscenza del cancro che lo stava uccidendo, osservò che la malattia gli aveva almeno risparmiato gli interventi chirurgici, come scrisse al suo avvocato in occasione del processo che lo vedeva imputato per apologia di reato: io sono un profeta e un eroe fino alle estrazioni dentarie escluse.

Albano Milani aveva sempre vissuto di rendita comodamente con la sua famiglia, ma ad un certo punto fu costretto a lavorare. All’inizio degli anni Trenta si trasferì a Milano con la sua famiglia, dove trovò impiego come dirigente in un’azienda occupandosi dell’organizzazione industriale del lavoro. Il trasferimento a Milano avvenne nell’inverno inoltrato e con le scuole già iniziate. I coniugi Milani, attenti all’integrazione dei loro figli, iscrissero Adriano alla prima ginnasiale in un istituto privato gestito da religiosi, Lorenzo all’Istituto Zaccaria dei Padri Barnabiti e Elena in una scuola retta da suore laiche. L’insegnante di religione di Adriano scoprì che il ragazzo non era battezzato e che i genitori non avevano contratto matrimonio in chiesa ed additò Adriano come eretico. Altro episodio che consigliò la famiglia Milani di rivedere la propria situazione riguardo i dettami religiosi fu che l’anno successivo, dallo stesso professore di religione del figlio, Albano e Alice furono definiti concubini. Ma nonostante le difficoltà che incontravano i figli, la spinta decisiva a regolamentare il loro matrimonio sotto il profilo religioso, furono gli eventi che nel 1933 iniziarono in Germania con l’avvento di Hitler, che non appena diventò cancelliere tedesco, cominciò il brutale boicottaggio a danno degli ebrei tedeschi. Albano Milani da uomo intelligente e lungimirante, comprese che il fanatismo razziale avrebbe potuto danneggiare la sua famiglia: sua moglie era ebrea quindi i suoi figli di sangue misto. Senza indugio dunque, il 29 giugno 1933 si sposò in chiesa e fece battezzare i suoi tre figli. Le cerimonie furono officiate nella parrocchia di San Pietro in Mercato da don Vincenzo Viviani. I padri barnabiti ebbero sicuramente un’influenza rilevante sul giovane Lorenzo, considerato che un giorno egli comunicò ai genitori di voler fare la Prima Comunione. I genitori, pur non condividendo tale scelta non si opposero. Il giovane Lorenzo ricevette la preparazione e la prima comunione dallo stesso don Vincenzo Viviani presso la parrocchia San Pietro in Mercato.

Il trasferimento a Milano aggravò i problemi ai bronchi di cui soffriva Lorenzo, circostanza che lo costrinse per due anni presso Savona dalla zia Beatrice Rigutini. Fu proprio a Savona che agli esami della quinta ginnasiale Lorenzo, rinnegando la salda tradizione familiare, fu rimandato ad ottobre in italiano e latino. Gli esami di riparazione furono superati al liceo Berchet di Milano. La carriera scolastica di Lorenzo continuava ad andare male, diventò gravissima alla fine del primo liceo classico, quando alla fine del secondo trimestre egli stesso meditava di abbandonare gli studi. Sarà lui stesso a definire i sentimenti che provava per la scuola: durante l’interrogazione la classe è immersa nell’ozio e nel terrore. Perde tempo perfino il ragazzo interrogato. Tenta di scoprirsi. Sfugge le cose che ha capito meno, insiste su quelle che sa bene. Per contentare lei basta saper vendere la merce. Non star mai zitti. Riempire i vuoti di parole vuote. Ripetere giudizi del Sapegno con la faccia di uno che i testi se li è letti nell’originale. O meglio ancora buttare giù opinioni personali. Lei le opinioni personali le tiene in grande considerazione: “secondo me il Petrarca…”. Forse il ragazzo aveva letto due poesie, forse nessuna.

Lorenzo aveva deciso di abbandonare la scuola, ma i genitori con non poca fatica, lo convinsero a continuare gli studi ed egli concluse l’anno scolastico con la sufficienza in tutte le materie. Ai tempi Lorenzo aveva intenzione di portare a termine il prima possibile il percorso scolastico non avendo alcuna intenzione di andare all’università. Alla fine della prima liceo annunciò ai genitori che avrebbe tentato gli esami da privatista cercando di saltare la seconda liceo e passando direttamente alla terza, i genitori ovviamente non concordarono e non lo aiutarono in questa scelta che ritennero dissennata. Lorenzo nel corso di tutta l’estate si chiuse nel laboratorio di falegnameria nella tenuta della Gigliola in montagna e, mentre la sua famiglia era in vacanza, si diede allo studio. Dopo aver tentato di passare gli esami in un liceo fiorentino, con difficoltà li superò al liceo Berchet di Milano e venne ammesso alla terza liceo. Concluderà gli studi liceali senza sostenere le prove conclusive a causa della guerra; sei giorni prima di compiere 18 anni, il 21 maggio 1941, Lorenzo Milano fu dichiarato maturo con una pagella tutt’altro che gloriosa. Alla fine del liceo, Lorenzo è ancora convinto di non proseguire con gli studi universitari. I suoi genitori, pur dispiaciuti perché il loro figlio, dotato di vivace intelligenza, rinnegava la tradizione letteraria di famiglia, coerenti con il loro spirito libertario si limitarono a chiedere al giovane Lorenzo cosa avesse intenzione di fare della sua vita. Il ragazzo confermò con sicurezza: il pittore. Albano era convinto che tale scelta era il frutto di un’infantile ribellione fine a se stessa, anche perché il ragazzo non aveva mostrato particolari talenti nell’arte; ma, considerato che si avvicinava il periodo delle vacanze estive, pensò di trovargli un maestro a Firenze affinché lo distogliesse da quel proposito. Per questo compito scrisse al professor Giorgio Pasquali il quale, oltre a condividere tutte le perplessità di Albano la passione di Lorenzo per la pittura, gli indicò un pittore: Hans Joachin Staude, che lo stesso Pasquali riteneva di cultura elevatissima. Il pittore, oltre a indirizzare Lorenzo verso l’arte, lo spinse verso la ricerca di un assoluto spirituale. Il pittore tedesco non si limitava a correggere il disegno di Lorenzo, ma gli spiegava da cosa doveva partire, gli parlava della scelta di tutto ciò che è essenziale, della semplificazione e dell’unità che deve regnare in ogni lavoro, disegno o pittura che fosse. Lorenzo introiettò con slancio e passione gli insegnamenti, cercando con tutte le sue forze di metterli in pratica; restò a Firenze per studiare pittura presso Staude da maggio a settembre e poi fece ritorno a Milano.

Il giovane Lorenzo incontrerà nuovamente il pittore tedesco nel suo studio di Firenze quando già frequentava il seminario. Nell’occasione Staude, ricordando l’avversione del ragazzo verso i preti, chiese conto di un cambiamento tanto radicale. Lorenzo gli rispose che praticamente era tutta colpa sua: era stato proprio il pittore tedesco ad insistere sulla necessità di cercare sempre l’essenziale, eliminando i dettagli inutili, cercando di vedere le cose come una unità dove ogni pare dipende dall’altra; non poteva bastare un pezzo di carta per realizzare questi valori, era necessario cercarli nella vita reale tra le persone. Milani e Staude si frequentarono sempre più raramente fino a quando l’amicizia si interruppe anche per l’avversione del pittore tedesco verso la religione e la Chiesa cattolica.

Lorenzo, sebbene ancora infervorato di passione per la pittura, avvertiva un senso di insoddisfazione per non riuscire ad esprimere in maniera originale le idee apprese da Staude. Non considerando la bellezza come fine unico per giustificare lo sforzo artistico, si appassionò allo studio della pittura come decorazione, in particolare all’arte sacra delle chiese. In questo caso la bellezza della pittura si univa alla suggestione del popolo in preghiera.

Nell’estate del 1942, mentre si trovava in vacanza con la famiglia presso la casa a Gigliola, pensò di affrescare una piccola cappella sconsacrata, utilizzata come deposito, che però conservava ancora gli arredi sacri. Fu tra quegli arredi che Lorenzo trovò un vecchio Messale e per pura curiosità si mise a sfogliarlo. Partendo dall’ammirazione per la stampa e le decorazioni, finì per leggerlo e se ne appassionò moltissimo. Fu così colpito dal Messale, che trasse da esso gli argomenti per preparare i bozzetti per gli affreschi. Nel frattempo, cominciò a frequentare le chiese osservando e studiando tanto i paramenti sacri quanto il rito vero e proprio della celebrazione eucaristica e, partendo dallo studio stilistico del rito religioso della messa, com’era nel suo carattere, passò alla ricerca dei perché, come ragioni ultime che sostenevano tale rito. Studiando la liturgia, Lorenzo ebbe occasione di scavare nel profondo della sua interiorità. Ad un certo punto arrivò a rifiutare lo sterile brancolare nel buio della ragione, accogliendo la verità rivelata.

Don Raffaele Bensi
Don Raffaele Bensi

Monsignor Raffaele Bensi fu tra le figure più importanti nella conversione di Lorenzo Milani al cristianesimo. Lorenzo lo incontrò per puro caso nel 1942, ma fu quasi un anno dopo, nel 1943, che lo cercò per chiarire i tanti dubbi che lo tormentavano riguardo la fede cristiana. Nel giugno del 1943 Lorenzo si presentò da don Bensi subito dopo la Santa Messa: si era recato da lui con l’intento di parlare dei suoi dubbi, il sacerdote aveva tutt’altro genere di impegni perché doveva correre al capezzale di un giovane prete (don Dario Rossi), morto quel giorno. Lorenzo non lo mollò e si propose di accompagnarlo. Durante la strada per raggiungere l’abitazione del defunto, ebbe il primo profondo approccio tanto con Monsignor Bensi che con la religione cattolica. Alla vista del prete defunto, secondo quanto raccontato dallo stesso monsignor Bensi, Lorenzo ebbe a dire testualmente: io prenderò il suo posto.

Appena nove giorni dopo quell’incontro con monsignor Bensi, nella Pieve di San Pietro in Mercato (la stessa parrocchia dove fu battezzato), ricevette il Sacramento della Confermazione dal cardinale Elia Dalla Costa, che successivamente lo ordinerà sacerdote. Nei mesi successivi la conversione alla fede cattolica, Lorenzo Milani andò quasi tutti i giorni a trovare monsignor Bensi, dal quale attinse con avidità tutto ciò che riguardava la fede cristiana, tanto che lo stesso monsignor Bensi per definire tale passione affermò che Lorenzo stava prendendo un’indigestione di Gesù Cristo.

Il giovane Milani passò da un agnosticismo fatto di ragionamenti e dubbi ad un amore appassionato verso Dio e Gesù Cristo. Lesse con avidità la Bibbia e il Vangelo in particolare, riportandone un’impressione sconvolgente che lo poneva di fronte alla religione quadi come un profeta biblico. Molte persone hanno interpretato questa sua intransigenza come frutto del retaggio culturale e religioso ebraico attinto da sua madre Alice. In realtà, la mamma di Lorenzo, pur avendo origine ebraiche era agnostica come suo marito. In casa Milani insomma c’era poco spazio tanto per la religione che per il misticismo. Quale sia stato il motivo scatenante di quell’improvvisa quanto potente conversione resta un mistero, una cosa certa è che per Lorenzo, e lo ha dimostrato in tante occasioni, gli elementi fondamentali dell’essere cristiano erano i sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia e, nella sua visione totalizzante della vita, poteva viverli appieno solo nella dimensione sacerdotale.

Quando Lorenzo comunicò alla sua famiglia la sua decisione di andare in seminario ricevette disapprovazione. I genitori, in particolare erano contrari e la mamma ebbe un moto di sconforto scoppiando in lacrime. Ma i genitori, conoscendo il carattere del figlio e per il naturale rispetto per la libertà altrui, non tentarono di dissuaderlo dalla scelta, né posero in atto ricatti emotivi per fargliela pesare. Ciononostante, in occasione della “Tonsura”, che segnava il vero e proprio ingresso nella vita ecclesiastica, anche se Lorenzo li aveva più volte pregati di essere presenti, nessuno dei suoi familiari partecipò alla cerimonia.

larocca_michele@tiscali.it

Bibliografia minima

  1. PECORINI, Don Milani! Chi era costui?, Baldini Castoldi Dalai, Milano 1996.
  2. LANCISI, Don Milani, la vita, Edizione Piemme, Asti 2013.
  3. FALLACI, Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani, Milani Libri Edizioni, Milano 1974.
  4. BRACCINI – R. TADDEI, La scuola laica del prete don Milani, Armando Editori, Roma 1999.
  5. MILANI, Lettere di don Lorenzo Milani Priore di Barbania, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo 2007.

L'autore

Michele La Rocca
Michele La Rocca nato a Matera il 6 maggio 1977. Ordinato sacerdote il 26 giugno 2004.
Antropologo con Laurea Magistrale in Antropologia Teologica, conseguita nel 2004, e Dottore in Lettere con curriculum in Filologia Moderna, dopo aver conseguito Laurea Triennale in Letteratura, Arte, Musica e Spettacolo con curriculum Letterario. Attualmente, presta il suo servizio pastorale nell'Arcidiocesi di Matera-Irsina, ed è docente di Filosofia e Antropologia del Territorio e Seminario pratico di Religiosità Popolare presso ISSR "Pecci" di Matera. Svolge un lavoro di ricerca di stampo antropologico, in qualità di Assistente ecclesiastico presso l’Università degli Studi della Basilicata, ed è Coordinatore della Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali. Responsabile dell’Ufficio Diocesano per la Causa dei Santi, e Delegato Arcivescovile per la Cultura, la Pastorale della Scuola, dell’Università e la Pastorale del Laicato.