Il Medioevo diviene un’epoca molto viva e attraente, se indagata e raccontata da Maria Teresa Guerra Medici, che, studiosa di Storia del diritto italiano, delle istituzioni politiche e della condizione giuridica delle donne, con eleganza e chiarezza di scrittura sa coniugare rigore storico e invenzione. Abbiamo apprezzato le sue pagine nel Soffitto dipinto. La badessa Giovanna. Correggio e le piccole corti del Rinascimento (Enciclopedia delle donne, 2020), opera, che, ispirata dagli affreschi dipinti da Correggio su commissione di Giovanna Piacenza, badessa del Monastero di San Paolo a Parma, disegna un quadro rinascimentale assai ricco e interessante, muovendo tra lotte politiche, piccole corti, vicende monastiche, salotti letterari e scelte artistiche. Ma ora è un romanzo a catturare la nostra attenzione con il titolo La torre di Ermengarda (Manni Editori, 2022), illustrato in copertina da Matilde di Canossa a cavallo con le insegne del potere, da un dipinto attribuito a Orazio Farinati, e introdotto da un’epigrafe tratta da una Cronaca di santa Reparata del sec. XI: “La storia, disse la vecchia badessa, la scrivono gli uomini ma la fanno anche le donne”. L’assunto dell’autrice è esplicito e Santa Reparata, ricostruita con verosimiglianza alla luce delle abbazie femminili medioevali, è l’abbazia intorno alla quale, nella “Longobardia A. D. 1076”, si svolge una vicenda di trame oscure e violenze, di giochi di potere, che coinvolgono, nella lotta per le investiture, papato e impero, con al centro la contessa Matilde di Canossa e l’imperatore Enrico IV. Fonte dichiarata, nel titolo e nel corso del romanzo, è la celebre abbazia di Santa Giulia a Brescia, che ispirò l’intensa e commovente tragedia lirica Adelchi di Manzoni.
L’abbazia era un vero e proprio feudo, una grande e potente istituzione, nella quale la badessa aveva la dignità di un vescovo, partecipava ai sinodi e alla dieta imperiale. Era stata fondata dal re longobardo Desiderio per la figlia Anselperga come Abbazia Nullius, dipendente solo dal papa o dall’imperatore, esente dal controllo del vescovo o del nobile feudatario e protetta nel corso dei secoli dalle imperatrici. Lì si era rifugiata Ermengarda ripudiata da Carlo Magno; lì si era fermato Adelchi sulla via dell’esilio, vicende che tornano nell’invenzione romanzesca di Santa Reparata dove giunge la nobile protagonista della Torre di Ermengarda Herrende di Altenberg, giovane donna promessa sposa del marchese Bonifacio dell’Oria. Con lei, attraverso il suo sguardo e le sue attenzioni di persona curiosa e sensibile, si conosce la grande abbazia, la sua forma architettonica, gli spazi delle attività che vi si svolgono, dalla tessitura e tintura alla preparazione di farmaci, dalla biblioteca, che conserva codici miniati e lo scriptorium, alla cucina e alla clausura aperta sulla chiesa, agli orti interni e ai chiostri. Ed è con lei che s’incontrano la bambina Delfina, Teuzo e Vernerio, orfani istruiti nel latino e nel diritto, le monache impegnate nelle loro occupazioni e la badessa Alison di Conde, il marchese e l’amante di questi, e si seguono le tracce di alcune morti, apparentemente accidentali, in verità omicidi da risolvere, mentre pregiudizi generano violenze, suscitano vecchi rancori, memorie di seduzioni, segreti. Il racconto muove così un mondo vario, animato all’esterno dal mercato e dalle abitazioni dei coloni, aperto sul bosco abitato da una fattucchiera, interprete di erbe, di sogni e di misteri naturali, visitato da messaggeri partecipi dei difficili eventi, ora l’abate già cappellano dell’Imperatore ora il Malagevole, un ‘bravo’ di stampo manzoniano, assalito infine con la furia delle armi dai seguaci del vescovo Lanfranco, da tempo voglioso di imporre la sua autorità sull’abbazia. L’atmosfera del luogo, tra operosità e quiete religiosa, delineata con particolare delicatezza rappresentativa sul paesaggio, si fa presto notturna e generatrice d’inquietudine e di ansia, di pennellate oscure da noir, mentre via via, con tocchi psicologici assai efficaci, si manifesta la maturazione della giovane Herrende verso la propria indipendenza di giudizio e di volere.
Se Il nome della rosa di Umberto Eco ha coinvolto i suoi molti lettori con un romanzo filosofico improntato all’ambiente tenebroso e chiuso di un’abbazia di monaci benedettini del tardo Medioevo, Guerra Medici, utilizzando avvenimenti delittuosi come strumenti narrativi, ci introduce ad una realtà abbaziale ancora nel pieno del suo fiorire, una realtà che fu salvezza ed educazione per molte giovani donne, non solo di nobile lignaggio, ricreando, con visione molto moderna nelle pieghe della storia, le caratteristiche di un mondo di grande vitalità e ricchezza, pur minacciato nella sua autonomia e destinato a perire.
L'autore
- Gabriella Palli Baroni laureata in Lettere Classiche a Pavia, allieva di Lanfranco Caretti, perfezionata a Chicago e a San Diego sul pensiero scientifico rinascimentale e su Machiavelli, vive a Roma. Scrittrice e saggista, è studiosa di letteratura dell’800 e del 900 ed è critica di letteratura contemporanea. Collaboratrice di «Strumenti Critici», «L’Illuminista», «Il Ponte» e di altre riviste italiane e straniere, si è dedicata in particolare ad Attilio Bertolucci, del quale ha curato il Meridiano Mondadori Opere, le prose Ho rubato due versi a Baudelaire, gli scritti sul cinema e sull’arte, e a Vittorio Sereni, del quale ha curato i carteggi con Bertolucci (Una lunga amicizia. Lettere 1938-1983, Garzanti 1993) e con Ungaretti Un filo d’acqua per dissetarsi. Lettere 1949-1969, Archinto, 2013). Ha inoltre pubblicato l’antologia Dagli Scapigliati ai Crepuscolari (Istituto Poligrafico dello Stato 2000) e Tavolozza di Emilio Praga (Nuova SI, 2008). È autrice di saggi sulla poesia di Amelia Rosselli e ha collaborato al Meridiano L’opera poetica, uscito nel 2012 e al numero monografico XV, 2-2013 di «Moderna» (Serra, 2015). Nel 2020 ha pubblicato di Attilio e Ninetta Bertolucci, Il nostro desiderio di diventare rondini. Poesie e lettere (Garzanti).
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