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Pasolini pop  

Come si fa a incatenare la morte? Attraverso la poesia, con il canto, avrebbe risposto, già a fine Seicento, una poetessa di Acquaviva delle Fonti (Ba), Maria Antonia Scalera (1634-1704), attiva a Roma, presso la (potente) famiglia Chigi, ancor prima che lo scrivesse Ugo Foscolo (poesia che vince di mille secoli il silenzio). Ebbene, il canto, la poesia di Pier Paolo Pasolini ha sconfitto la morte, restituendo la vita al suo autore. La notte tra il primo e il due novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini fu orrendamente assassinato, a Ostia, ma la sua poesia vive, e con lei pure lui.

C’è una dimensione, della multiforme produzione artistica di Pasolini, che mi permetto di definire più direttamente (e gioiosamente) pop, che è poco conosciuta, come invece meriterebbe, perché ci restituisce un’immagine completa di PPP. La sua fine tragica, infatti, e un insistito (quanto giustificato) pessimismo, sui destini dell’umanità (corrotta), tipico degli ultimi scritti (e delle sue ultime interviste), hanno come nascosto il Pasolini gioioso e pop, che, qui, mi permetto di recuperare.

Negli anni giovanili, tra il 1943 e il 1945, a Casarsa, Pier Paolo Pasolini studiò, con sistematicità, musica classica, grazie alla violinista slovena Pina Kalc (1915-2002), che, dal 1941, visse a Casarsa. Con Pasolini non fu solo rapporto tra maestra e allievo, per lo studio del violino, ma anche sodalizio culturale, che li portò, nel piccolo centro, ad allestire spettacoli (uno di questi fu allestito con il testo favolistico di Pasolini intitolato I fanciulli e gli Elfi, scritto nel 1945, con poche note per la messa in scena, scritte dallo stesso Pasolini, utilizzato da lui in ambito didattico). Questa favola di Pasolini esplora il tema del rapporto tra la natura e la civiltà, con l’occhio del «maestro» che mette in luce una questione educativa, e cioè saper osservare il mondo non solo con il proprio punto di vista, ma anche con quello altrui. Le preferenze pasoliniane per la musica classica si concentrarono tra Bach e Mozart. Nel suo cinema, il ruolo della musica fu fondamentale, nient’affatto esornativo. I suoi film nascevano, innanzitutto, come idea sonora, con preferenza accordata alla musica di repertorio, piuttosto che a partiture nuove. Per il film Accattone (1961), colonna sonora portante sarà quella realizzata con Bach; in Mamma Roma (1962), invece, Vivaldi.

Betti canta Pasolini

Alla fine degli anni Cinquanta, a Roma, Pasolini conobbe Laura Betti (1927-2004), nome d’arte di Laura Trombetti, attrice, regista, doppiatrice e cantante, tra cinema, teatro e televisione, che ebbe con Pasolini un rapporto speciale, come amica e come musa ispiratrice. Pasolini amò la canzone pop, in particolar modo quella dialettale, e di stile melodico. È nota la sua simpatia per Claudio Villa (1926-1987), cantante e attore cinematografico romano, di Trastevere. Di Villa è, per esempio, la canzonetta che i «ragazzi di vita», in un episodio del romanzo, canticchiano, e cioè Borgo antico (del 1948). Il testo della canzone contiene riferimenti danteschi, precisamente al canto dei lussuriosi, il V dell’Inferno, con gli «amanti» Paolo e Francesca, che, come si legge nel testo della canzone, erano stati immortalati da Dante nell’abbraccio:

Oh borgo, vecchio borgo degli amanti
Che il poeta immortalò
E ch’io ripenso pallidi e tremanti
Come amore li avvinghiò

Proprio il verbo «avvinghiò» rinvia, infatti, al testo di Dante, con i due amanti stretti, e trascinati dal vento delle passioni, nel II cerchio infernale. Per Laura Betti, Pasolini, nel 1959, scrisse le canzoni per lo spettacolo Giro a vuoto (che debuttò a Milano nel 1960):

Macrì Teresa detta Pazzia (la protagonista è una prostituta)

abbito a Via del Mandrione a la baracca ventitrè,
ciò dieciott’anni… – Embèh, è così, che voi da me?
Me do a la vita da più de n’anno, che artro ancora vòi sapé?
So’ disgrazziata, ma ciò un ragazzo che, sarvognuno, pare un re.
Je passo er grano… Embèh, è così, che vòi da me?
[…]

Cristo al Mandrione (il Mandrione è un quartiere fuori del centro di Roma, dove, in quegli anni, esercitavano le prostitute meno richieste):

Ecchime dentro qua tutta ignuda,
fracica fino all’ossa de guazza.
Intorno a me che c’è?
Quattro muri zozzi, un tavolo, un piqué.

Fileme, se ce sei, Gesù Cristo,
guardeme tutta sporca de fanga,
abbi pietà de me,
io che nun so’ niente, e te er Re dei Re!
[…]

Valzer della toppa (questa canzone viene considerata come un autentico gioiello di genere, ed ebbe notevole fortuna di pubblico, e di critica). In romanesco, toppa sta per sbronza. Si tratta, dunque, di un valzer alla francese, che avvolge l’ascoltatore, narrando la storia di una prostituta di Testaccio, che, una sera, per via di una ubriacatura, crede di essere tornata vergine:

Me so’ presa la toppa
e mò so’ felice!
Me possi cecamme
me sento tornata a esse un fiore
de verginità!
[…]

Endrigo, Il soldato di Napoleone

Nel 1963, Pasolini avvia una collaborazione con il cantautore Sergio Endrigo (1933-2005), nativo di Pola, che aveva deciso di inserire nel suo primo album, una canzone ricavata dal testo di una poesia friulana di Pasolini, Il soldato Napoleone (dalla raccolta La meglio gioventù):

Addio, addio, Casarsa, vado via per il mondo,
lascio il padre e la madre, vado via con Napoleone.
Addio, vecchio paese, addio giovani amici,
Napoleone chiama la meglio gioventù
[…]

Il poemetto La meglio gioventù racconta la storia della famiglia Colussi (la famiglia della madre di Pasolini), dall’età napoleonica, alla Resistenza. La canzone è stata interpretata pure da Laura Betti, e, successivamente, dal cantautore Roberto Vecchioni.

Modugno, Cosa sono le nuvole

 

Pasolini scrisse, nel 1967, il testo della canzone Cosa sono le nuvole, ri-usando versi tratti dalle opere di Shakespeare, e la fece interpretare da Domenico Modugno (1928-1994), all’interno di un episodio breve da lui girato per il film a più mani Capriccio all’italiana (con Totò, Ninetto Davoli, Ciccio Ingrassia, Franco Franchi, Laura Betti, Domenico Modugno e Carlo Pisacane). L’espressione «folle amore», presente nel testo della canzone pasoliniana (musica di Domenico Modugno), rinvia a Dante Alighieri, e, precisamente, al verso 2 del canto VIII del Paradiso. Si tratta di uno dei due canti che Dante dedica al cielo di Venere, quello degli spiriti amanti, spiazzando i lettori per alcune sue scelte, come dire, «folli», visto che egli colloca tra i beati di questo cielo tre personaggi che, in vita, si erano fatti notare non proprio per una condotta santa, quanto, invece, per l’abbandono sfrenato e gioioso all’amore sensuale. In ordine di apparizione, questi tre rappresentanti del «folle amore», del quale essi stessi affermano di non essersi pentiti, sono, rispettivamente, Cunizza da Romano, Folco da Marsiglia e Raab. Il terzo personaggio, che luce in questo cielo di Venere, è Raab, la prostituta di cui narra la Bibbia, che aiutò il condottiero Giosuè a conquistare l’altrimenti inespugnabile città di Gerico. Folco da Marsiglia (noto anche come Folchetto), poeta trovatore tra i più importanti, morto nel 1231, fu autore di notissimi componimenti d’amore (solo in tarda età intraprese la vita religiosa e promosse la sanguinosa crociata contro gli albigiesi). Tutti e tre sono felici, perché attribuiscono la sfrenata inclinazione all’amore sensuale, seguita durante l’esistenza terrena, proprio all’influsso del cielo di Venere (Cunizza affermerà esplicitamente a Dante di essere stata vinta dal «lume d’esta stella», Pd., IX, 33).

Il film di Pasolini mette in scena, in un teatrino di provincia, marionette viventi che ri-visitazione l’Otello di Shakespeare. Due di queste marionette, Jago-Totò e Otello-Ninetto Davoli, verranno distrutte dal pubblico. Pertanto, verranno raccolte da uno spazzino, Domenico Modugno, che andrà a buttarle in discarica, canticchiando Cosa sono le nuvole. Le due marionette scopriranno, così, le nuvole, ammirando, per la prima volta, la «straziante, meravigliosa bellezza del creato».

Nel 2019, è uscito il film di Gabriele Salvatores Tutto il mio folle amore, con Claudio Santamaria, Valeria Golino, Diego Abatantuono, e altri, fra gli interpreti. Ambientato a Trieste, il film racconta una storia d’amore e di autismo. Vincent, un ragazzo affetto da una forma di autismo, e da un disturbo della personalità, vive chiuso in un mondo tutto suo, in compagnia di sua madre, Elena, e del compagno di lei, Mario, che tratta Vincent amorevolmente, come figlio. Equilibrio precario, certo, ma equilibrio. A rompere questa delicata condizione giunge Willi, il padre naturale di Vincent, cantante ambulante e squattrinato, che aveva abbandonato Elena proprio nel momento in cui aveva appreso della sua gravidanza. Il piccolo Vincent resta affascinato da Willi (e dalla sua vita raminga), intravedendo nel furgone che il padre utilizza per spostarsi durante le tappe della sua tournée il mezzo per evadere da un’esistenza triste e anonima. Egli infatti si nasconde proprio nel furgone, e scappa. L’occasione servirà a Vincent e a Willi per iniziare a conoscersi. I critici hanno segnalato, per questo film, il felice ritorno di Salvatores al suo genere più congeniale, cioè, il road movie. Critica e botteghino, prima che giungesse il Covid, ne hanno decretato il successo. Per il titolo del film, Tutto il mio folle amore, è stato sottolineato il debito nei confronti di Pasolini, in particolare, con l’episodio Cosa sono le nuvole. Nessuno ha notato (e sottolineato) che l’espressione «folle amore», rinvii a Dante Alighieri. Autentico rimbalzo citazionistico.

De Andrè, Una storia sbagliata

Canzone pubblicata nel 1980, interamente dedicata all’assassinio di Pier Paolo Pasolini, chiesta a Fabrizio De Andrè da un dirigente della Rai (come sigla per un documentario televisivo sull’omicidio Pasolini, e, anche, sul caso di Wilma Montesi, altro caso di morte sospetta avvenuto in circostanze mai chiarite del tutto il 9 aprile 1953, con il corpo senza vita della ragazza che fu rinvenuto sul litorale di Torvaianica, presso Roma). De Andrè dichiarò di essersi sentito «orfano», dopo la morte di Pasolini, come se si fosse trattato di un parente stretto. Al tempo stesso, la sua canzone denunciava la strumentalizzazione fatta dai media del corpo (esibito) di Pasolini, e del fatto che il suo omicidio fosse stato ridotto a caso di cronaca nera, con contorni scabrosi, e che fosse stato offerto, come dire, in pasto al prurito dei frequentatori dei saloni dei barbieri e dei parrucchieri:

È una storia da dimenticare
È una storia da non raccontare
È una storia un po’ complicata
È una storia sbagliata
Cominciò con la luna sul posto
E finì con un fiume di inchiostro
È una storia un poco scontata
È una storia sbagliata

E ancora:

È una storia da carabinieri
è una storia per parrucchieri
è una storia un po’ sputtanata
o è una storia sbagliata

De Gregori, A Pa’

Pubblicata nel 1985, nella raccolta Scacchi e Tarocchi, dedicata alla memoria di Pier Paolo Pasolini, definito da De Gregori, nel corso di un concerto, come «il più grande poeta del Novecento». Il testo di questa canzone è quasi una eco delle parole pronunciate da Albero Moravia al funerale di Pier Paolo Pasolini, a Campo de’ Fiori: «Abbiamo perso prima di tutto un poeta, di poeti non ce ne sono tanti nel mondo. ne nascono tre o quattro soltanto dentro un secolo. Quando sarà finito questo secolo Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno, come poeta. Il poeta dovrebbe essere sacro». Il testo della canzone di De Gregori è breve, quasi una poesia cantata, dal tono intimo, come s’intuisce dallo stesso titolo, A Pa’, richiamo amichevole, ripetuto più volte, fino ad assumere il tono di un lamento:

Non mi ricordo se c’era luna
E né che occhi aveva il ragazzo
Ma mi ricordo quel sapore in gola
E l’odore del mare come uno schiaffo

Selton, Pasolini

Canzone pubblicata nel mese di ottobre del 2019, da parte di questa band brasiliana, ma attiva in Italia. Composta da tre amici di Porto Alegre, già compagni di scuola in Brasile, che hanno raggiunto il successo in Italia, a Milano. Autentica provocazione, questa canzone realizzata con i ritmi del funk carioca, per denunciare e per prendere in giro paradossi e vezzi contemporanei, di quanti, cioè, non leggono, trovano complicato finanche scrivere una frasetta per intero, ma che, intanto, vogliono apparire, da perfetti narcisisti, con l’idea di passare per persone ben informate e partecipi, sulle cose del mondo, pensando di risolvere il tutto citando Pasolini:

Cos’ha detto? Ho capito
Chi l’ha detto? Condivido
Leggo poco, guardo video
Non mi vanto, sono un mito
E se non so cosa dire
Cito qualcuno per non stare zitto
[…]

Pasolini, Pasolini, Pasolini, Pasolini
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Pasolini, Pasolini, Pasolini

A commento della canzone, il gruppo ha dichiarato di averla scritta perché per loro Pasolini: «è un genio, una colonna portante della storia italiana, ma il pezzo non parla di lui ma della superficialità. Abbiamo preso in prestito l’immagine di Pasolini per criticare questa superficialità di cui anche noi siamo vittima» […].

Affermazioni che fanno da eco a un celeberrimo intervento corsaro di Pasolini, del 1975: «Viviamo in una società paradossale. Da una parte siamo stati colpiti da una sorta di epidemia di narcisismo globale, ossessionati come siamo da noi stessi, dal nostro aspetto, e dal voler apparire a tutti i costi. Dall’altra parte siamo sempre più insicuri, fragili ed incapaci di accettare noi stessi. Ma forse questa tendenza non è poi così paradossale. Forse siamo così fragili ed insicuri proprio perché siamo troppo concentrati su noi stessi, ma soprattutto perché ricerchiamo continue conferme all’esterno, spaventati di guardare dentro di noi e trovare un vuoto siderale».

(le immagini allegate sono di Vito Falcicchio, in arte Ivo Falchi)

tgargano@libero.it

 

L'autore

Trifone Gargano
Trifone Gargano
Trifone Gargano è professore presso l’Università degli Studi di Bari, con l’insegnamento «Lo Sport nella Letteratura». Ha insegnato «Linguistica italiana» al Corso di Laurea Magistrale in «Scienze della Mediazione Linguistica», e «Didattica della lingua italiana» per l’Università degli Studi di Foggia, e «Storia della lingua italiana» in Polonia (Università di Stettino). È autore di numerose pubblicazioni e collabora con la Enciclopedia Treccani, con il quotidiano «Corriere del Mezzogiorno» («Corriere della sera»), e con diversi blog letterari. Realizza lezioni-spettacolo sui Classici della Letteratura italiana, ed è commentatore televisivo e radiofonico.