Il tuo ultimo libro Guadagnarsi il pane (Luni, 2021) – tra l’altro, mi fa piacere ricordarlo, vincitore del premio “Selezione Bancarella cucina” – ha come protagonista indiscussa la cucina. Tema, si potrebbe obiettare, un po’ inflazionato in questi ultimi anni. Quindi, ti chiedo: qual è la prospettiva da cui hai deciso di affrontarlo?
Innanzitutto, il mio non è un libro di cucina, è un libro sulla cucina, ed è diverso da tutti gli altri perché mette al centro gli scrittori e la letteratura. Io però non mi occupo della rappresentazione del cibo nelle opere letterarie, ma del rapporto fra gli scrittori e la civiltà della tavola, negli ultimi tre secoli – prima è un’altra storia –: si parte dalla Rivoluzione francese, da quando cuochi di corte ormai disoccupati aprono caffè, trattorie e ristoranti creando nuovi spazi di socialità borghese. Scrittori e artisti di estrazione sociale e culturale diversa si danno appuntamento qui, dove nascono idee destinate a influenzare la produzione non solo letteraria.
Accanto a Casanova – impossibile, per me, non notarlo per primo –, Verga, Montale e altri grandi scrittori, ci sono tanti personaggi sconosciuti. Ma anche tante scrittrici: una bella sorpresa!
Con il termine scrittori intendo “chi scrive”, e quindi non solo letterati ma anche giornalisti, professionisti che si occupano di cucina pubblicando ricettari e manuali, intellettuali di varia estrazione e – come diremmo oggi – opinionisti esperti del settore. Quanto alle quote rosa, onore al merito: all’inizio del Novecento la pubblicistica enogastronomica passa di mano, e agli autori maschi specializzati che pubblicano per cuochi di mestiere si alternano scrittrici rivolte al largo pubblico femminile delle massaie, da Petronilla ad Ada Boni fino ad Antonella Clerici – anticipo la domanda, no, non siamo parenti.
Benissimo, certo, ma «Artusi è sempre Artusi»! Anche se ho l’impressione che il tuo sguardo vada oltre l’analisi critica delle singole opere.
Certo, e infatti a partire dall’edizione Einaudi della Scienza in cucina il ruolo di Artusi è stato ampiamente rivalutato da parte degli studiosi. La mia lettura va oltre perché cerca di spiegarne lo straordinario successo collocando autore e opera nel contesto della cultura del positivismo democratico e della divulgazione (il suo è un manuale e il titolo si apre con una parola a quel tempo magica: Scienza). Una cultura scientifica che ha al centro una nuova disciplina popolarissima, l’igiene, di cui Artusi è sostenitore, insieme a intellettuali del calibro di Cesare Lombroso e Jacopo Moleschott.
Quanto al resto, in effetti, la mia è una prospettiva larga e interdisciplinare, perché racconto sì autori e opere in relazione sia alla letteratura che conta sia a quella popolare, ma pure generi letterari e giornalistici, testate, collane e marchi editoriali, iniziative enogastronomiche culturalmente significative in rapporto alla storia del costume, della mentalità e dell’immaginario collettivo. Senza però dimenticare mai le condizioni alimentari del paese reale, fotografate in tante inchieste istituzionali e giornalistiche.
Conoscendoti come docente e come autore di saggi non solo specialistici ero sicura di trovarmi di fronte a un libro avvincente. Infatti, Guadagnarsi il pane parla di sorprendenti personaggi dimenticati.
Esattamente, a partire da donne straordinarie come Delia Pavoni, la fondatrice nel 1929, della “Cucina Italiana”, stimatissima imprenditrice, e Mascotte (la fascista della prima ora Fanny Dini?) che le succede alla direzione della rivista, ragazza a dir poco controcorrente ed emancipata. Ma racconto anche vicende incredibili (Paolo Mantegazza inventore della Coca Cola nell’Ottocento) e avventure industriali come quelle dell’olio Dante dei fratelli Costa esportato in America (i concorrenti spagnoli replicano con l’olio “Beatrice”, ma perdono la causa) e del formaggio del Bel Paese, che prende il nome dal best-seller di Antonio Stoppani, ritratto sull’etichetta. Il libro più letto dagli italiani a inizio Novecento dopo I promessi sposi e Cuore, ma prima di Pinocchio…
Ciliegina sulla torta, la sorpresa di tante scoperte bibliografiche, testi curiosi e persino osé: la cucina afrodisiaca ha lo spazio che merita.
Quindi un’infinità di scrittori di cucina che non sono solo letterati, celebri e sconosciuti, di ieri e di oggi, in rapporto con l’industria enogastronomica e con il mondo di chi i libri di cucina li pubblica, insieme alle riviste di settore… il lettore non si perde?
Difficile perdersi con in mano un atlante! Perché Guadagnarsi il pane non è solo una mappa dei molteplici rapporti fra scrittori italiani e civiltà della tavola, ma propone anche una serie di itinerari. È una guida ai locali storici, dal Caffè Tommaseo di Trieste alla Pasticceria Savia di Catania, passando per il Florian a Venezia, che può essere considerato il primo caffè letterario italiano. Locali che hanno ospitato non solo scrittori ma anche sodalizi, come lo “Sbafing Club” della gastronomia ambrosiana Peck negli anni Trenta, oggi sconosciuto. E poi ci sono i tour per ristoranti, a partire dal Bagutta di Milano dove nel 1926 «tra bicchieri pieni, mezzi vuoti, su un pezzo di carta da droghiere, fu scritto il regolamento del primo premio letterario d’Italia. Dei giudici, solo uno era astemio», parola di Paolo Monelli, gran giornalista. Passando per la trattoria Sabatini di Firenze, che pubblica per i propri clienti una collana a tema gastronomico diretta da Marino Parenti.
Storia, ma anche geografia, verrebbe da dire.
Certo, e infatti un capitolo è dedicato alla rappresentazione del mangiare e del bere nei resoconti dei viaggiatori nostrani su e giù per lo Stivale dal Settecento a oggi – e le sorprese non mancano, fra descrizioni oggettive di diete locali e resoconti di estrose mangiate umoristiche –, un altro capitolo al capolavoro dimenticato che nel 1935 inaugura il genere del reportage enogastronomico, il godibilissimo Ghiottone errante di Monelli. Il quale travestito da narratore “bulimico” è accompagnato lungo lo Stivale dall’inappetente compagno di ventura Giuseppe Novello, illustratore del tour che nel libro si disegna mingherlino dal profilo appuntito, perso in enormi cantine, lillipuziano sovrastato da botti gigantesche, figurina rapita dal sogno impossibile “del mangiar leggerino”, giusta la didascalia di una delle sue tavole.
Prima di concludere vorrei farti una domanda che sorge spontanea: perché Guadagnarsi il pane?
Perché come per Monelli e Novello, per chi scrive il rapporto con il mangiare e il bere è anche una faccenda economica: se alla «Riviera Ligure» Pascoli chiede “l’elemosina”, Francesco Pastonchi non tergiversa: «l’oro io voglio strappare con l’alloro». E Ungaretti le ricette sulla «Cucina Italiana» le pubblica per arrotondare. Il punto è che questo rapporto professionale fra gli scrittori e il mondo dell’alimentazione si rivela un aspetto decisivo per leggere le dinamiche di sviluppo dell’attività letteraria nella modernità urbano-borghese, e quindi il progressivo moltiplicarsi dei generi non canonici, praticati anche per ragioni “alimentari”.
Vorrei congedarti con una domanda più personale, una curiosità che mi è sorta leggendo un altro tuo libro, Mangiarsi le parole. 101 ricette d’autore (Skira 2018). Qual è il tuo rapporto con la cucina? E la tua “ricetta d’autore”?
Direi che è un ottimo rapporto: mi piace mangiare bene ma anche cucinare, e me la cavo. Quanto alla mia ricetta, direi che è quella che mette insieme il gusto per il cibo e la passione per la letteratura, come nei due libri che hai ricordato. Ma quanto siano riusciti – ed eventualmente gustosi – non sta a me giudicare.
L'autore
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Elena Grazioli è dottoressa di ricerca presso l’Università di Pisa (XXXVI ciclo), in Letteratura italiana contemporanea, con un progetto sulla rivista «Nuovi Argomenti» e Cultrice della materia in Poesia italiana del Novecento presso l’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, sede in cui ha svolto il suo percorso di studi, frequentando anche, come borsista, l’Université Paris-Sorbonne (Paris IV) e l'École Normale Supérieure di Lione.
Si è occupata, in questi anni, della figura di Giacomo Casanova (B. Capaci, E. Grazioli, Giacomo carissimo… Lettere delicate e deleterie a Giacomo Casanova, prefazione di Piermario Vescovo, Bologna, I Libri di Emil, 2019; E. Grazioli, Umori e lettere inglesi delle confidenti di Giacomo Casanova, in Il tappeto rovesciato. La presenza del corpo negli epistolari e nel teatro dal XV al XIX secolo, a cura di T. Korneeva, Venezia, Marsilio, 2019, pp. 137-150). Recentemente ha curato, insieme al Prof. Alberto Bertoni, Lavorare stanca di Cesare Pavese (Interno poesia, 2021). In uscita presso Marsilio la monografia Se non vado errato coi ricordi. Giacomo Casanova a Dux.
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