Chiunque guardi al mondo dei videogiochi, anche accostandosene da profano, noterà immediatamente l’incredibile (e longeva) presenza di temi danteschi all’interno del panorama videoludico nazionale e internazionale: il primo Dante’s Inferno, infatti, realizzato da Denton Designs, per Commodore 64 risale addirittura al 1986: in definitiva, già agli albori della produzione di videogiochi, l’inferno dantesco sembra affascinare particolarmente i gamer. Oltre a Devil May Cry (2001) e Malebolgia (2015), una serie di videogames intitolati Dante’s Inferno ha letteralmente invaso in tempi recenti (complice anche il centenario dantesco) il mondo dei gamer; il più nuovo è certamente quello di Borderandry (2020) mentre il più discusso (e, non a caso, il più noto al grande pubblico) è quello che vede protagonista il Dante crociato di Visceral Games ed Electronic Arts, del 2010 (Matteo Lupetti, 700 anni dalla morte. 5 videogiochi su Dante, in «Artribune»).
Mancano, invece, nella maniera più assoluta videogiochi dedicati ai Promessi sposi.
La costante legata al percorso a ostacoli fitto di prove da superare, al fine di giungere a un obiettivo finale è riscontrabile sin dai primordi di piattaforme e consolle di gioco, si pensi ad esempio a Pac-Man (1980) e Super Mario Bros. (1985) ed è indubbio che il viaggio dantesco – in particolar modo quello legato alla prima cantica – risulti particolarmente affascinante anche da un punto di vista grafico per la produzione videoludica. Nel suo recente Scopri i videogiochi con i Promessi sposi (e viceversa)(2022), Francesco Toniolo dimostra come il romanzo manzoniano sia, per vie traverse, legato alla costruzione dei videogiochi (emblematico in tal senso è il raffronto che viene portato avanti tra il topico dungeon e il castello dell’innominato).
Viene, allora, banalmente da chiedersi: perché Dante sì e Renzo no? Perché il personaggio dantesco interessa a tal punto i giocatori mentre quello manzoniano che pure, a ben guardare, affronta un percorso altrettanto impervio e ostacolato per raggiungere la donna amata, viene costantemente dimenticato? Confrontando i due personaggi e le rispettive peripezie narrative si noterà facilmente che – a un livello basilare di lettura, atta alla fruizione videoludica – le distanze non sono poi così ampie come possono apparire: entrambi, per cominciare, viaggiano in luoghi sconosciuti e in cerca della donna amata. Laddove il crociato Dante, alle soglie della mezza età, affronta un percorso ultraterreno atto a raggiungere l’anima di Beatrice fin nel più alto dei cieli possibili, il giovane Renzo della quarantana, dal canto suo, per ben due anni attraversa l’equivalente di un inferno sulla terra – una terra funestata da guerra, epidemia e carestia – con addosso anche il peso di un mandato di cattura pur di ricongiungersi alla sua Lucia, cercando letteralmente l’impossibile, come il padre Cristoforo ben gli farà notare al capitolo XXXV: «non è poco ciò che tu sei venuto a cercar qui: tu chiedi una persona viva al lazzaretto!»
Per di più, la descrizione manzoniana del lazzaretto, in principio del medesimo capitolo, ben si presta alla grafica videoludica labirintica (Renzo ci si perde a più riprese) e a tinte fosche, tanto cara ai giocatori contemporanei legati ai cupi e fumosi spazi infernali di matrice dantesca. Se ne veda un breve estratto a titolo di esempio: «S’immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichìo, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi. [Renzo] Andava avanti, secondo che vedeva posto da poter mettere il piede, da capanna a capanna, […] esaminando volti abbattuti dal patimento, o contratti dallo spasimo, o immobili nella morte[…]. L’aria stessa e il cielo accrescevano, se qualche cosa poteva accrescerlo, l’orrore di quelle viste. La nebbia s’era a poco a poco addensata e accavallata in nuvoloni che, rabbuiandosi sempre più, davano idea d’un annottar tempestoso; se non che, verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la spera del sole, pallida, che spargeva intorno a sé un barlume fioco e sfumato, e pioveva un calore morto e pesante. Ogni tanto, tra mezzo al ronzìo continuo di quella confusa moltitudine, si sentiva un borbottar di tuoni, profondo, come tronco, irresoluto».
Tanto Dante quanto Renzo poi, al fine di ottenere il premio ambito sin dal principio del loro peregrinare dovranno espiare una colpa (il primo al muro di fuoco di Purgatorio XXVII, l’altro perdonando definitivamente il moribondo Rodrigo, sempre al capitolo XXXV) ed entrambi vengono, per giunta, in ciò assistiti da una figura aiutante “antica” e saggia (Virgilio nel poema, il padre Cristoforo nel romanzo ottocentesco).
Si potrebbe obiettare, volendo proprio cercare un punto divergente nelle due macro-trame, che Dante è il protagonista e il perno attorno al quale ruota l’intera narrazione dal principio alla fine, mentre così non è per il giovane Tramaglino che in alcuni capitoli del romanzo, addirittura, nemmeno compare. Eppure, il protagonista di un personalissimo Bildungsroman è proprio lui, Renzo che, tra l’altro (e non a caso) è il “primo narratore della storia”: all’interno della finzione manzoniana, come ben si ricorderà, è stato proprio il giovane a raccontare le proprie controverse vicende biografiche all’Anonimo, in un testo poi ritrovato tra vecchi scartafacci dall’autore e da lui riproposto in forma di romanzo.
Un’ulteriore obiezione possibile potrebbe riguardare la presenza di mostri e demoni in Dante, che renderebbe l’Inferno maggiormente adattabile al contesto videoludico, facilitando così a un programmatore la creazione di temibili avversari da combattere a vari livelli. Senza dubbio, il giovane Tramaglino mai incappa in creature mitiche da sconfiggere ma è pur vero che, nel picaresco romanzo di formazione che si dipana intorno al personaggio, si alternano bravi, birri, folle inferocite, monatti, tutti elementi antagonisti che, adeguatamente riadattati, ben si potrebbero prestare alla suddivisione in livelli di gioco; d’altro canto lo stesso Dante’s Inferno del 2010 – che, lo ricordiamo, ha per protagonista un anacronistico Dante crociato che lotta con una falce in chiave “fantasy” – lascia parecchio a desiderare in quanto a fedeltà al testo letterario modello.
La struttura manzoniana, insomma, tiene: non sembra, in definitiva, esistere alcun apparente motivo per cui non si trovino, da oltre quarant’anni, videogiochi incentrati sulle peripezie di Renzo alla ricerca di Lucia nel pieno di un’epidemia di peste del XVII secolo.
Se un problema c’è, va ricercato – a parere di chi scrive – nella percezione del lettore di livello scolastico, legata al romanzo manzoniano e, dunque, al personaggio di Renzo. Il testo dantesco, infatti, permette, anche scolasticamente, di concentrarsi appieno sul personaggio che viaggia da un mondo ultraterreno all’altro (rendendo così immediata la possibilità di immedesimazione del lettore/giocatore); per contro I promessi sposi – intesi come quel noiosissimo romanzo inviso agli studenti di tutte le generazioni – tendono, scolasticamente, a concentrarsi più sull’analisi della Macrostoria seicentesca e sul concetto di Provvidenza divina e a favorire l’immedesimazione dei (pochi) studenti che li apprezzano in quei personaggi dipinti a tinte fosche (la Monaca di Monza, l’innominato, il giovane omicida Lodovico) a scapito, però, di personaggi come Renzo che appaiono in tal modo estremamente banalizzati, rispetto al loro effettivo peso nella storia e alle potenzialità di modernizzazione che oggettivamente dimostrano.
Ovviamente, per un lettore di livello accademico, una tale prospettiva sul personaggio di Renzo – visto alla stregua di un carattere di interesse “secondario” – sarebbe impensabile, poiché essa appare assolutamente svalutata e svalutante (nei confronti dello stesso Manzoni, in primis) ma va qui considerato l’ovvio e cioè che, di norma, il produttore di videogiochi e l’accademico mai confluiscono nella stessa persona, laddove, al contrario, possono facilmente congiungersi lo studioso di Manzoni e il fruitore di videogiochi. Sarebbe, dunque, interessante aprire una prospettiva di condivisione tra il mondo accademico dei manzonisti e quello videoludico dei produttori/giocatori (come già ha in parte ben tentato di fare Toniolo) in favore di una nuova idea di gaming legata al testo letterario nazional-popolare per eccellenza che andrebbe, ça va sans dire, a favorire anche l’apprendimento del romanzo a trecentosessanta gradi tra i più giovani.
teresa.agovino@unimercatorum.it
L'autore
- Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.
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