In copertina Alfredo Bortoluzzi, Senza titolo (1926, firmata “Freddo”)
«Stava al bauaus».
Quando a Peschici mi fu detta questa frase l’attenzione si era subito sollevata: quel latrato non poteva che indicare il Bauhaus, l’istituto fondato a Weimar da Walter Gropius nel 1919 per tentare la fusione dell’arte con la produzione industriale. In vacanza sul Gargano, soggiornavo quell’anno nell’antico agglomerato di Vieste, cittadina deliziosa per la sua speciale posizione sul mare. Ma invece di godermelo, quel mare, avevo deciso di percorrere il promontorio garganico, per visitare non solo i frequentati centri della costa ma anche i paesi dell’interno: Monte Sant’Angelo, San Giovanni Rotondo, Sannicandro.
A Peschici giunsi in un mezzogiorno parecchio assolato. Accumulato su una rupe e dominante una bella spiaggia, il paese invitava a fermarsi. Il caldo era di quelli che obbligano a camminare rasente ai muri e a bere spesso. Fu infatti in un bar che si avvicinò un giovane e si offrì di mostrarmi quelle bellezze di Peschici che sulla guida non avrei certo trovato. Il modo bonario e affabile con cui si era presentato m’indusse a seguirlo. E devo convenire che non fu un errore, perché durante il breve giro turistico, tra le altre cose, mi indicò una casa dicendo che lì era vissuto il tale che una volta «stava al bauaus». Era morto poco tempo prima, parecchio anziano, e poiché dipingeva di continuo era stato soprannominato “il pittore”.
In quel luogo e con un simile caldo il nome del Bauhaus suonava alquanto stonato. Non potevo rinunciare a quella leccornia e premetti per saperne di più. Dal tenore delle notizie mi ero accorto che il cicerone si era improvvisato tale per i mesi estivi: confessò infatti che il nome del Bauhaus lo ripeteva a memoria solo per averlo sentito da qualche parte. Insistetti per sapere, finché non emerse il nome del “pittore”, Alfredo Bortoluzzi, e la notizia che si era ritirato a Peschici dopo una vita divisa tra disegno e danza. Fu un dovere, una volta rientrato a casa, cercare notizie di Alfredo. Ma dove, visto che non appariva in nessun repertorio, in nessuna enciclopedia, e nemmeno aveva un suo lemma nel Dizionario biografico degli Italiani? Dovetti procurarmi slegate notizie da volumi che narravano l’esperimento dell’istituto di Gropius.
I genitori erano veneziani, si erano trasferiti a Karlsruhe all’inizio del secolo a fare i mosaicisti, e là, il 21 dicembre 1905, era nato Alfredo, la cui lingua madre fu il tedesco. Figlio d’arte, s’iscrisse all’Accademia di Venezia per poi passare a quella di Karlsruhe (ai suoi tempi Scuola d’Arte Regionale del Baden). Al Bauhaus (nel frattempo trasferito a Dessau) approdò nel semestre invernale 1927-1928, tornandoci come studente in quello primaverile del 1928 e come semplice uditore nel 1930. I suoi insegnanti furono Josef Albers, Paul Klee e Wassily Kandinskij. Apprese la grafica, l’acquerello e frequentò il corso di figurazione pittorica libera. Ma il mezzo cui ricorse con maggiore frequenza fu l’incisione a puntasecca, che gli permetteva di esprimersi con un armamentario di grande semplicità.
La prima volta che vide Paul Klee, nel laboratorio di tessitura del Bauhaus, rimase impressionato dallo spettacolo: un uomo alla lavagna che scriveva con la destra e contemporaneamente disegnava con la sinistra. Più tardi, Klee raccomandò a Bortoluzzi di usare, per il disegno, anche la mano sinistra: il tratto diventava in tal modo meno preciso, meno virtuoso, ma molto più “sentito”. Il giovane era molto ricettivo a queste idee, che giustificavano l’ingresso, nella sua espressione artistica, dell’esecuzione intuitiva e spontanea.
Forse Bortoluzzi non si rese conto di rappresentare una luminosa meteora nell’esperienza del Bauhaus, perché reagì al vigente dogma dell’unità di arte e tecnica. Assunse a soggetto della sua grafica la figura umana e introdusse al Bauhaus l’equilibrio dell’immagine italiana di cui si era nutrito nei mesi di apprendistato veneziano. Il suo fu un calore espressivo che contrastava col razionalismo del luogo e con lo stesso nomignolo di “Al freddo” con cui gli altri studenti lo chiamavano: nulla di freddo c’era infatti nei suoi effetti pittorici e nell’armonia delle sue figure.
Bortoluzzi appartiene alla schiera delle anime geniali che riescono a esprimersi in campi apparentemente incongruenti. I suoi interessi si volsero infatti in modo crescente alla danza. Illuminante e decisiva fu la frequentazione del laboratorio teatrale del Bauhaus diretto da Oskar Schlemmer, dove apprese i segreti di scenografia e coreografia. Partecipò a una rappresentazione di Oplà, noi viviamo di Ernst Toller e conobbe la danzatrice Gret Palucca. Abbandonò il disegno e cominciò a danzare. Nel 1936 partecipò a Parigi al Concorso di danza teatrale e vinse il primo premio: Serge Lifar era in giuria e assunse Bortoluzzi come solista della propria compagnia. Era il battesimo di una carriera prestigiosa in cui l’armonia e l’illustrazione corporea trovarono piena espressione. Gret Palucca lo chiamò nel 1945 a dirigere il corpo di ballo all’Opera di Dresda: la città tentava di sollevarsi dall’atroce bombardamento alleato di febbraio, che l’aveva quasi rasa al suolo. Da Dresda passò poi a dirigere i corpi di ballo di alcuni grandi teatri tedeschi.
L’Italia fu per lui un faro perenne. La scelse per il buen retiro eleggendo sua dimora un piccolo paese marinaro del meridione. Riprese a dipingere a pieno ritmo, ricordandosi della passione giovanile e assumendo nel proprio stile i colori pastello e le sbilenche geometrie del Gargano. A Peschici è scomparso il 20 dicembre del 1995. Un giorno ancora e avrebbe compiuto novant’anni.
L'autore
- Antonio Castronuovo è saggista, traduttore e bibliofilo. È nelle redazioni delle principali riviste italiane di bibliofilia e scrive per il domenicale della «Gazzetta di Parma». Ha fondato l’opificio di plaquette d’autore “Babbomorto Editore”, dirige le “Settime diminuite” per l’editore Pendragon e le “Edizioni Libreria Galliera”. I suoi ultimi lavori: Dizionario del bibliomane (Sellerio), I luoghi di Pinocchio (in Pinocchio: un bugiardo di successo, La Nave di Teseo), Il male dei fiori: Baudelaire a processo (Rubbettino).
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