Lo scorso novembre, per le Edizioni Cà Foscari, è stato pubblicato il volume «A riveder la china». Dante nei fumetti (e vignette) italiani dal XIX al XXI secolo. La raccolta, con la prefazione di Stefano Jossa, è edita sia in formato cartaceo che in open access e conta undici saggi dedicati al mondo del fumetto dantesco. In appendice al testo, inoltre, è possibile trovare una sezione intitolata Galleria di inediti, curata da Valentina Rovere (University of Helisnki), che raccoglie i lavori di «oltre trenta professionisti della nona arte tra disegnatrici, fumettiste e fumettisti, illustratori, direttori di scuole di fumetto, editori e sceneggiatori». Abbiamo intervistato i tre curatori del volume: Leonardo Canova (Università di Pisa), Luca Lombardo (Università di Bergamo), Paolo Rigo (Università Roma Tre).
Partiamo dalla premessa. Ambivate a realizzare «un libro che mettesse in comunicazione il mondo, estremamente attivo, degli studiosi, con quello, altrettanto vivace e fervido, dei fumettisti». Ci siete riusciti?
L’impressione è che questa nostra ambizione, per quanto forse velleitaria, si sia sostanzialmente esaudita nei fatti, nei riscontri che abbiamo ricevuto soprattutto da parte di un pubblico di lettori formato per lo più da non ‘specialisti’, ossia da non accademici o dantisti di professione, ma appunto da persone ‘militanti’ a vario titolo nel mondo variegato e suggestivo dei fumetti, con il quale è stato interessante stabilire un punto di contatto su un terreno per così dire ‘neutrale’. Una prova plastica di quanto arricchente sia stata per noi questa ‘connessione’ ci è giunta dalla presentazione del volume, che abbiamo avuto l’opportunità di organizzare nell’ambito del Romics, lo scorso 8 aprile: si è trattato per noi di trovarci a discutere del nostro ‘Dante a fumetti’ in un ambiente rispetto al quale eravamo proprio noi dantisti i soggetti ‘eccentrici’, al cospetto di un pubblico formato da appassionati ed esperti di fumetti e nel contesto di uno dei più importanti festival nazionali dedicati a quest’arte. Ebbene, la notevole risposta che abbiamo ricevuto in termini di partecipazione critica alla discussione dei contenuti del nostro volume è stata da un lato la conferma che quest’ultimo avesse raggiunto strati di pubblico ai quali di solito le pubblicazioni scientifiche non giungono, dall’altro la dimostrazione che mondi apparentemente non comunicanti, come quello degli studiosi e quello dei fumettisti, possono imbastire un dialogo costruttivo e per certi aspetti sorprendente, a seguito del quale tutti i soggetti coinvolti si percepiscono come ‘completati’ da un’esperienza intellettuale e umana di rara intensità.
Com’è strutturato il volume?
Il volume è strutturato in due parti (oltre la Prefazione di Stefano Jossa): vi sono i saggi, che seguono un ordine più o meno cronologico, e vi è la sezione a cura di Valentina Rovere che raccoglie immagini inedite e due riflessioni di esperti del mondo della china. Ma ciò che, crediamo, è davvero importante in questo volume è la struttura nascosta, quella che si può scorgere leggendo i vari saggi. Gli studiosi coinvolti, infatti, hanno accettato alcune nostre indicazioni utili a garantire uniformità al volume (ognuno, per esempio e nei limiti del possibile, dedica alcune pagine introduttive all’argomento trattato). L’operazione è riuscita, e la prima parte può essere letta come una sorta di “manuale” del nodo Dante-fumetto italiano.
«A riveder la china» è un testo di grande impatto, oltre che accademico, anche visivo e gli elementi paratestuali immediatamente identificabili (la copertina e il titolo) lo dimostrano sin dalla prima occhiata. Come sono nati?
La scelta del titolo si deve all’intuizione di due di noi, Leonardo e Paolo, che hanno escogitato una felice formula, nella quale sono sinteticamente riassunti i due poli culturali entro cui questa esperienza editoriale ha preso forma: da un lato, il perspicuo ammiccamento testuale a uno dei versi più celebri della Commedia, che costituisce l’explicit della prima cantica (Inf. XXXIV 139: E quindi uscimmo a riveder le stelle), ponendosi come ideale compendio di un immaginario popolare del poema, rivolto quasi esclusivamente all’Inferno (come la maggior parte delle trasposizioni fumettistiche dantesche), dall’altro un riferimento concreto alla dimensione materiale dell’arte fumettistica, rappresentato dal cenno alla china, che intendeva suggerire anche l’idea di un volume ‘che va facendosi’, di pagina in pagina, come un fumetto va facendosi di tavola in tavola. Quanto alla copertina, si è trattato di una decisione condivisa, anche se non di quella iniziale. Volevamo che la copertina riportasse uno dei disegni inediti concepiti per il volume dai nostri fumettisti e avevamo individuato un altro disegno, tra quelli editi nelle ultime pagine del libro. Avendo accolto, tuttavia, la richiesta della casa editrice, che riteneva quel primo disegno, benché molto bello, poco funzionale allo scopo della copertina, la scelta è ricaduta quasi naturalmente sulla tavola di David Messina, che ci è parsa quella più adatta a rappresentare lo spirito della nostra impresa e, come in effetti sta avvenendo, ad accattivare le attenzioni del pubblico. Se è concesso a noi dirlo, è proprio una gran bella copertina!
Nella vastissima offerta di proposte, tanto accademiche quanto artistiche, legate al mondo dantesco in occasione del centenario, che accoglienza ha ricevuto «A riveder la china», a qualche mese dalla nascita?
Ben oltre le aspettative! Ci tenevamo a realizzare qualcosa che, al rigore scientifico nell’analisi delle singole opere, unisse anche l’aspetto divulgativo e, se vogliamo, collezionistico. Penso che in buona parte siamo riusciti nell’intento: per gli appassionati di Dante e dei fumetti “A riveder la china” è una chicca che non può certo mancare nella propria libreria. Arrivare a Dante per mezzo del fumetto è un modo per sentirlo più vicino, per farlo scendere da quei piedistalli dove spesso lo vediamo, col suo sguardo torvo e severo, scolpito al centro delle nostre piazze. è un’operazione simile a quella che, con mezzi diversi e senz’altro più efficaci, hanno compiuto Alessandro Sisti e Alessandro Perina con Zio Paperone e il Centunesimo Canto, pubblicata sugli albi 3434-3437 di Topolino proprio mentre il nostro volume veniva dato alle stampe e di cui non voglio anticiparvi il finale. Abbiamo organizzato due presentazioni: una all’Università di Pisa e una al Romics; purtroppo non siamo ancora riusciti a farne una tutti e tre assieme, la situazione pandemica e i tanti impegni non aiutano, ma di “A riveder la china” hanno già parlato diversi quotidiani nazionali – Il Foglio, Il Secolo d’Italia, Il Sole 24 ore e Repubblica – oltre che altri canali più settoriali, come i blog di alcuni fumettisti o la bellissima recensione apparsa su Nerdface. Mettere in comunicazione diverse realtà era ciò che speravamo: la “rivincita dei nerd”, insomma.
«A riveder la china» offre al lettore una panoramica vastissima sul fumetto dantesco, pur limitandosi «alla sola sfera italiana». Avete ipotizzato la possibilità di realizzare un secondo volume, che inglobi anche lavori di respiro internazionale (dall’eroe Marvel Nightcrawler all’opera monumentale di Gō Nagai, per citarne solo due tra i più noti)?
Svelando una conversazione privata, in realtà avevamo pensato più a un volume sul cinema che, come il fumetto, riunisce opere afferenti a piani diversi. C’è l’alto, rappresentato da pellicole come i documentari o il futuro film di Avati (ispirato, come è noto, alla vita scritta da Boccaccio), c’è il basso, con Totò, Maciste e il duo comico I soliti idioti. Forse, si potrebbe pensare anche a un secondo appuntamento dedicato alle opere e ai disegnatori italiani che non sono entrati in questo numero. Certo, la prospettiva internazionale è interessante e importante però c’è rischio di lasciare fuori troppe cose e così di svilire la natura del lavoro che è, comunque, tendente alla completezza. Ci penseremo o ci penserà qualcun altro.
L’impronta che la Commedia ha, senza dubbio, impresso nell’immaginario dei suoi lettori – almeno nei più giovani tra loro – è certamente di stampo visivo: Dante permette letteralmente di visualizzare, senza troppa difficoltà, ciò che descrive e, forse per questo motivo, egli è particolarmente amato tanto dagli illustratori di tutto il mondo, quanto dagli studenti liceali. Parafrasando le parole che Andrea Camilleri trovò per Manzoni, potremmo dire che la Commedia vanta «una narrazione visiva straordinaria». Qual è la caratteristica del testo dantesco che rende effettivamente possibile tanta dirompente visività?
Bisogna intenderci su quello che consideriamo come “visività”. La Commedia è visiva perché la poesia di Dante è visiva in senso realistico almeno per quanto concerne l’Inferno e il Purgatorio, il guaio vero è con il Paradiso; cantica che, non a caso, riscuote meno successo sia tra gli studenti, sia anche in termini di tradizione figurativa. Tuttavia, la forza rappresentativa dell’astratto mondo della luce di Dante, dove alle questioni teologiche si affiancano metafore e analogie, è impressionante, però è un mondo immateriale, sfumato, ineffabile. Puntualizzato questo aspetto, non sono sicuro che la “visività” sia una caratteristica propria del testo: forse la “narrazione visiva straordinaria” della Commedia è frutto della memorabilità di alcuni passi, della sua tradizione, della sua esegesi anche di quella figurativa, linea a cui dopotutto appartengono pure i fumetti e le vignette di questo volume. Ogni lettore della Commedia ha in mente l’incontro con le tre fiere o il turbinio di vento che avvolge Paolo e Francesca, ma quelle scene – così come sono incastonate nel nostro pensiero – non sono debitrici – e in che misura?! – delle incisioni di Dorè?
Sembra che solo in anni recenti il mondo accademico abbia ceduto al fascino del fumetto ispirato ai classici della nostra letteratura. È, ormai, opinione diffusa che lo studio delle riprese fumettistiche dei capolavori letterari italiani meriti una sua propria collocazione nel panorama critico o esiste ancora una qualche forma, scoperta o velata, di resistenza all’accettazione degli studi accademici sul fumetto letterario?
“C’è l’idea che, tutto sommato, se uno legge tanti fumetti ha comunque letto qualcosa. La risposta è: Purtroppo no. Questo perché sono due modi diversi di confrontarsi alla lettura. Leggere un romanzo è un lavoro più complesso; bisogna imparare a maneggiare qualcosa di molto più lungo, molto più impegnativo. Non è come il fumetto”. Questa la dichiarazione rilasciata lo scorso 8 gennaio dal giornalista e critico letterario Piero Dorfles, ospite nella trasmissione Le parole condotta da Massimo Gramellini. In Italia, nella cultura mainstream della televisione, dei quotidiani e, spesso, della scuola, c’è purtroppo ancora l’idea che nella ricca compagine delle Arti la nona rappresenti un po’ la ‘sorella scema’, una forma di lettura progettata ad hoc per chi, di leggere, non sembra avere alcuna voglia. Non mi è mai capitato, ad esempio, di vedere un’opera straordinariamente potente come Maus di Art Spiegelman inserita nelle lunghe liste di letture scolastiche suggerite. È evidente che questo pregiudizio nasca da una conoscenza molto superficiale del medium: si pensi alla ricchissima tradizione americana delle graphic novels, dal perturbante From Hell di Alan Moore a quel capolavoro onirico che è Sandman di Neil Gaiman, o ai grandi maestri mangaka – Gō Nagai, Jirō Taniguchi o il recentemente scomparso Kentaro Miura, per buttare lì qualche nome -, o infine, venendo a noi, a tutto quell’universo che comprende la scuola Disney italiana, fondata da un colosso come Giovan Battista Carpi, Bonelli, le sorelle Giussani e tutto quel gruppo di (ormai non più così tanto) nuove leve, da Gipi a Zerocalcare.
L’Accademia, da parte sua, si è accorta piuttosto presto del pieno valore artistico del fumetto. Già nella prima metà degli anni Sessanta Umberto Eco, nel saggio Apocalittici e integrati, presentava letture critiche di alcuni episodi di Superman, di Steve Canyon e dei Peanuts. Si trattava, neanche a dirlo, di una voce isolata (anzi, per dirla tutta, di una voce stonata e fastidiosa) in un coro di intellettuali per i quali – sono parole di Eco – “l’espressione ‘fumetti’ viene sempre scritta tra virgolette (non è ancora una buona parola della lingua italiana)”. Oggi, per fortuna, le cose vanno in diverso modo, complice l’influenza della tradizione accademica anglo-americana, forse meno schiva nei confronti dei fenomeni pop. Al fumetto si dedicano ogni anno studi relativi alla lingua, ad aspetti intertestuali e intermediali, al loro valore sociale e culturale. Quella delle riprese fumettistiche di grandi capolavori letterari – peraltro – è una peculiarità tutta italiana: nel nostro volume, cogliendo anche l’occasione del Centenario, ci siamo concentrati sulle opere ispirate a Dante, ma basta dare un’occhiata alla lista delle cosiddette Grandi Parodie Disney per osservare come l’elenco includa ormai un gran numero di riferimenti a capolavori italiani e non, dal Paperin Furioso ai Promessi Paperi, dalla Paperiade al Dottor Paperus. Anche queste meriterebbero di essere studiate in maniera approfondita, chiedendoci, ad esempio, per quale motivo i protagonisti di queste storie sono nella maggior parte dei casi i paperi e non i topi. Ad ogni modo, il panorama delle ricerche accademiche si sta progressivamente ampliando e le poche resistenze che ancora si incontrano immagino che non tarderanno a sciogliersi. Fa specie, comunque, che ancora nel 2021 un fumettista di grande talento come Marcello Toninelli debba stupirsi di essere oggetto di studio.
Una domanda “extra-accademica”, indirizzata non tanto allo sguardo del dantista quanto a quello dell’estimatore del fumetto e della graphic novel: con la molteplicità di offerte digitali di cui abbonda il mondo del web – penso, non solo alle serie tv (Zerocalcare docet) ma anche alle strisce online, riproposte quotidianamente sui canali social da artisti come Sio e Ortolani – il fumetto rischia di diventare un accessorio “vintage”, relegato negli scaffali dei collezionisti delle generazioni X e Y oppure gode ancora di una qualche simpatia presso la Gen-Z?
Proprio sotto casa mia c’è una piccola libreria di quartiere dove vado spesso a curiosare e a fare due chiacchiere con le gentilissime libraie. Qualche settimana fa mi sono accorto che, subito all’ingresso, tra lo spazio sempre più angusto dedicato ai classici e quello ormai inesistente dedicato alla poesia, è comparso un coloratissimo scaffale dedicato esclusivamente a manga e fumetti: insomma, quei volumetti dal profumo di carta stampata che, soltanto una decina di anni fa, si trovavano soltanto nei pochi negozi specializzati, letti da un selezionatissimo numero di persone. Oggi, mi dice la libraia, sono proprio gli appartenenti alle nuove generazioni a dedicarsi di più a questo tipo di letture. È più che probabile che questo avvenga in maniera mediata e che si arrivi a leggere Attack on titan dopo averne visto l’anime su qualche canale di streaming, gli albi della Marvel dopo l’ultimo film di Spiderman al cinema, o Ratman dopo l’ultimo post di Ortolani su Facebook o su Instagram. Mi sembra, insomma, che i nuovi media stiano dando maggior visibilità al fumetto: dopo l’uscita di Strappare lungo i bordi trovare una copia de La profezia dell’Armadillo è stato impossibile per parecchie settimane.
In conclusione, vorrei riproporre la stessa domanda già indirizzata in una precedente intervista a Rino Caputo; una curiosità un po’ distante, forse, dal mondo fumettistico e incentrata sulle prospettive future degli studi danteschi. L’ondata di celebrazioni sollevata dalla ricorrenza del centenario tenderà a scemare e spegnersi con la fine del 2021 o evolverà in nuovi possibili sviluppi legati tanto alla ricerca scientifica quanto al mondo della divulgazione (illustrata e non)? Si può già azzardare qualche ipotesi in merito?
Le celebrazioni per il centenario dantesco, anche se largamente frenate negli eventi in presenza dalla pandemia, sono state davvero tantissime e molte di esse hanno indubbiamente apportato novità significative agli studi sull’Alighieri o, nel caso di iniziative più improntate alla divulgazione, hanno avuto il merito di rinnovare l’interesse del grande pubblico per il massimo poeta della nostra letteratura. L’impressione nostra è che l’onda lunga delle celebrazioni del 2021 si stia ripercuotendo anche su questo 2022, che registra un numero ancora considerevole di eventi dedicati a Dante o perché in continuità con quelli del ’21 o in quanto effetto della posticipazione, a causa della pandemia, di alcuni di essi. Alla messe di eventi convegnistici (scientifici e divulgativi) bisognerà aggiungere il profluvio di pubblicazioni su Dante, che in questo 2022 vede iniziare a uscire gli atti dei convegni conclusisi nell’anno precedente, oltre alle pubblicazioni dantesche (edizioni critiche, biografie del poeta e studi), che si stanno accumulando in questi lunghi mesi: ne consegue una sorta di cantiere aperto intorno a Dante, che faticherà a chiudersi entro i prossimi mesi. Si tratta indubbiamente di una opportunità di circolazione di idee e di studio, utile soprattutto alla formazione delle nuove generazioni di dantisti, anche se il rovescio della medaglia è che una bibliografia già ‘ingestibile’ come quella dantesca risulterà, alla fine di questo biennio, ancora più bisognosa di quella selezione critica alla quale noi dantisti siamo naturalmente predisposti ogni volta che ci accingiamo a trattare un tema, che nella maggior parte dei casi è già stato largamente escusso dagli studi pregressi.
Una domanda di commiato, per tutti e tre. In venti parole: al di là dei singoli lavori critici editi in «A riveder la china», qual è il vostro fumetto dantesco preferito e perché?
Leonardo Canova: ho adorato il recentissimo PaperDante (che a rigore non è neppure un fumetto): a colori e illustrazioni straordinari unisce una dolcezza e tenerezza nella trama che non possono non commuovere l’appassionato di Dante.
Paolo Rigo: da piccolo adoravo Paperon de’ Paperoni (più per la sua memoria storica che per i quattrini) e quindi le storie con Messer Papero e Dante – che sono due in realtà, e non una come spesso si crede – mi sono sempre piaciute molto. D’altro canto, negli ultimi tempi ho maturato un debole per la vita di Dante di Toninelli, dove compare anche un piccolissimo Petrarca che riserva un trattamento speciale all’illustre predecessore durante il loro unico incontro…
Luca Lombardo: senza dubbio, L’Inferno di Topolino, della cui prima lettura, da bambino, conservo un ricordo fervido, che porta con sé, come spesso accade ai ricordi d’infanzia, anche la memoria dei luoghi e delle persone cui essi si legano: le mirabolanti avventure infernali di Topolino e Pippo si associano per me alla dolce immagine di mio nonno, col quale andavo a scegliere i fumetti in edicola, e al ricordo della nostra casa sul mare, in Sicilia, dove d’estate divoravo le mie prime letture all’ombra del nespolo che mio nonno aveva piantato per noi nipoti.
L'autore
- Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.
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