Non ho mai amato i film di James Bond, anche se dalla loro visione devo constatare che gli avversari del protagonista, gli agenti segreti del KGB, sono degli assi rispetto a quelli reali della Russia, a giudicare dalle notizie fornite dai media.
Prendo come caso emblematico l’episodio che in pochi istanti ha fatto il giro del mondo: l’avvelenamento di Naval’nyj del 20 agosto 2020. Gli apparati russi cercano di eliminarlo utilizzando il Novichok, il terribile agente nervino creato nell’ex URSS e attualmente prodotto nei laboratori di Mosca e Shikhany dell’odierna Federazione Russa, alla luce di quanto riporta Wikipedia. Ci troviamo pertanto davanti a sicari del tutto sprovveduti, dal momento che fanno ricorso a una sostanza che richiama la nazione produttrice, quando avrebbero potuto usarne altre meno connotate. È come se un assassino decidesse di lasciare le proprie impronte sul luogo del delitto.
Ma andiamo oltre: dove ha avuto luogo il veneficio? In una fase iniziale si è parlato a bordo dell’aereo, a seguito della consumazione di una bevanda offerta ai viaggiatori. Questa versione è stata successivamente modificata: l’avvelenamento ha avuto luogo all’aeroporto, sempre tramite una bibita, poco prima che Naval’nyj si imbarcasse per un volo interno.
Non so perché ma quando si parla di luoghi affollati e di bevande tossiche da offrire alla vittima sacrificale, mi viene sempre in mente la possibilità che essa possa essere involontariamente ingurgitata da altri: tutti ricorderanno la scena dell’Amleto in cui Claudio, re di Danimarca, offre al nipote una coppa di vino contaminato. Questi la rifiuta, ed è invece la regina Gertrude, madre di Amleto, a berla, con sgomento del re. Forse a seguito della poligenesi di questo ricordo, l’avvelenamento cambia “location”, e si verifica nell’hotel in cui Naval’nyj ha soggiornato. Ed effettivamente i collaboratori del nostro trovano una bottiglietta contenente la sostanza incriminata nella sua stanza. Si dice che ai tempi dell’URSS gli hotel non brillassero per efficienza e velocità nella pulizia e nella sistemazione delle camere, ma da lì al computo delle ore intercorse tra il trasferimento di Naval’nyj all’aeroporto, il volo interno, il suo sentirsi male, la circolazione della notizia, con il conseguente arrivo del suo staff in hotel, forse è un po’ troppo… A maggior ragione se in quel luogo si hanno delle prove schiaccianti di un efferato crimine.
Anche questa ricostruzione viene però soppiantata dalla versione finale, che è lo stesso Naval’nyj a fornire ai media: è stato avvelenato in hotel con il Novichok cosparso nelle sue mutande. Sì proprio le mutande. Ma come si fa a spolverizzare questa sostanza senza che il diretto interessato se ne accorga? In mancanza di una comunicazione ufficiale, almeno a mia conoscenza, posso supporre che il nostro si sia rimesso, ignaro, il capo intimo a seguito di una sauna o di una notte d’amore. Ma come riesce Naval’nyj a ottenere la certezza del proprio avvelenamento? Spacciandosi per telefono con uno degli agenti coinvolti come aiutante di un altro, allibito dal fatto che il veneficio non fosse riuscito.
Non posso che gioire per questo straordinario metodo di indagine, esaltato da tutti i mezzi di comunicazione, augurandomi che anche la magistratura nostrana possa farne ricorso, ricordandosi però di fare bene l’accento svedese, come suggerisce il geometra Filini.
Non mi dilungo sulle altre notizie fornite dai media. Sic stantibus rebus mi limito a osservare che le ipotesi da prendere in considerazione sono essenzialmente due:
1) gli agenti russi sono dei pasticcioni, perfino peggiori dell’ispettore Clouseau o del commissario Tassone;
2) la ricostruzione della vicenda è talmente insulsa, che farebbe inorridire qualsiasi lettore di romanzi gialli, abituato a ben altre trame narrative.
Ho già ricordato in altra sede, che il tema della verità di stato può confliggere per ragioni geopolitiche con la verità fattuale, e la cosa va accettata in quanto tale. Molto più grave è il fatto che i media siano invischiati a loro volta nella diffusione della cosiddetta verità di stato, senza un minimo di analisi “filologica” delle fonti. Almeno personalmente dalla stampa occidentale che si vanta di non essere asservita al potere come l’informazione russa, mi aspetterei altro. Come recita un noto adagio, la prima vittima della guerra e, aggiungo, della propaganda è la verità.
(L’articolo è stato pubblicato in precedenza nella rivista online Istituto di Politica)
L'autore
- Carlo Pulsoni è il coordinatore di Insula europea (http://www.insulaeuropea.eu/carlo-pulsoni/).
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