Dopo aver comperato il nuovo libro di Antonio Castronuovo (Dizionario del bibliomane, Palermo, Sellerio, 2021, 498 pp. + 11 di indice), ho anzitutto tolto e riposto con cura la fascetta, che recita: «L’amore per i libri, le manie, le passioni smodate, frenesie e stramberie capricciose. Un divertente prontuario alfabetico delle nostre ossessione librarie». A lettura terminata, ho messo la fascetta tra la copertina e la prima pagina, dove rimarrà al sicuro per i prossimi decenni.
La definizione di «divertente» per questo libro è veritiera, ma riduttiva. Siete dei bibliomani? Allora il Dizionario di Castronuovo fa al caso vostro. Vi troverete i molteplici aspetti della vostra situazione, e così riuscirete a capire meglio voi stessi e a perfezionare la vostra bibliomania, magari con un po’ di autoironia, o, forse, il libro potrà esservi utile per alleviare la vostra malattia, anche se non potrà mai guarirla, perché il bibliomane «sa di essere malato, ma continua lucidamente, freneticamente» a comperare libri. La bibliomania è incurabile, o, meglio, «è un vizio che si cura solo coltivandolo», infatti «l’acquisto dei libri allevia l’ansia, ma come accade nella maggior parte delle inclinazioni compulsive, il sollievo è del tutto transitorio». A questo proposito mi viene in mente quanto affermava il grande bibliofilo romagnolo Carlo Piancastelli: «Il collezionismo è una specie di cocaina dello spirito; ha bisogno di continuo nutrimento perché lo stato di piacevole eccitazione psichica si mantenga; la sospensione dell’alimento produce un’immediata depressione; occorre una dose sempre superiore del farmaco».
Se invece pensate di essere un bibliofilo, allora il libro vi mostrerà da una parte i dolori («un orizzonte di patimenti, affanni, spasmi e incubi») e dall’altra i piaceri (ma non c’è una netta distinzione fra gli uni e gli altri) cui andrete incontro oltrepassando quella impercettibile linea di confine che divide il bibliofilo dal bibliomane. Ci vuol poco a oltrepassarla: un giorno si va in libreria e si portano a casa tre libri: «ne leggiamo uno, un altro lo sfogliamo distrattamente e il terzo giacerà dimenticato, ecco: in quel momento la bibliofilia è già entrata nel pittoresco nosocomio della bibliomania», che si manifesta chiaramente quando «sopraggiunge la peggiore complicazione: il piacere dell’oggetto in sé, il gusto di collezionarlo».
Se siete dei profani potrete scoprire un mondo, caratterizzato da morbi legati ai libri e sindromi correlate alla loro fruizione, di cui non immaginavate nemmeno l’esistenza.
Forse la più celebre descrizione della bibliofilia (e della bibliomania) si deve a Francesco Petrarca, che, negli anni 1336-1340, scriveva a Giovanni dell’Incisa: «Non so saziarmi di libri. […]. L’oro, l’argento, le pietre preziose, le vesti di porpora, i palazzi di marmo, i campi ben coltivati, i dipinti, i palafreni con splendidi finimenti e tutte le altre cose di questo genere danno un piacere muto e superficiale, mentre i libri ci offrono un godimento molto profondo: ci parlano, ci danno consigli e, vorrei dire, vivono insieme a noi con una loro viva e penetrante familiarità».
Il bibliomane ha un antagonista: il libraio antiquario, nei confronti del quale è opportuno che l’acquirente mantenga un prudente distacco, senza rivelare mai le proprie preferenze e dimostrare mai il proprio interesse e men che meno il proprio entusiasmo per il libro che si intende comprare. Mai «dire, in presenza del libraio, “che bello questo libro, sono secoli che lo cerco, sono proprio fortunato ad averlo trovato”». E bisogna dissimulare la propria disponibilità economica: andando per librerie antiquarie è bene vestire in maniera dimessa Purtroppo c’è anche l’ingenuo che con «candida innocenza», comunica al libraio di fiducia l’elenco dei libri che desidererebbe avere nella sua collezione, che è come firmare un assegno in bianco. Il libraio antiquario, osserva Castronuovo, è da una parte «una sorta di terapeuta di persone gravemente malate come i bibliomani: li asseconda, li accontenta e li rende infine mansueti, calmando in loro ogni spigolosità psico-patologica» e dall’altra «agisce come una sorta di pusher di droghe varie, quelle pubblicazioni, quelle carte che egli offre al bibliomane in dosi sempre maggiori, man mano che la dipendenza del tossicomane aumenta».
Nel Dizionario sono riportate anche pagine note, che il bibliomane conosce a memoria, ma rilegge sempre con avidità: ad esempio, il sogno di tutti i bibliomani narrato da Umberto Eco: incontrare una vecchietta novantenne che ha in casa un vecchio libro che vorrebbe vendere, aprirlo, contare le linee di una pagina, constatare che sono 42 e rendersi conto che si tratta di una copia della bibbia di Gutenberg, il cui ultimo esemplare è stato venduto nel 1987…
Il bibliomane può anche trasformarsi in ladro: il più celebre fu, nell’Ottocento, Guglielmo Libri (nomen omen), che durante la sua vita rubò circa quarantamila libri e milleottocento manoscritti (e che, aggiungo, riuscì a rubare il Codice del volo degli uccelli di Leonardo, conservato all’Institut de France a Parigi, e a venderlo al più grande bibliofilo romagnolo, il conte Giacomo Manzoni).
Di solito, per un raccoglitore di libri non c’è «un dolore più forte», «uno strazio sordo e irredimibile» come quello di doversi distaccare anzitempo dai propri libri, magari per motivi economici: si tratta di «una sensazione che somiglia a una sorta di morte in vita». Ma c’è anche il bibliomane che a un certo punto «decide di vendere tutti i propri libri, faticosamente accumulati, senza essere cosciente del fatto che uno dei massimi dolori del mondo è privarsene» e magari si organizza egli stesso un’asta. Ma poi, pentitosi, passa il resto della vita a ricomprarli per ripristinare la collezione.
Il bibliografo o il bibliomane che conserva gelosamente la propria collezione prima o poi dovrà prendere una decisione circa il suo futuro: o preservarne l’integrità donandola a una biblioteca pubblica o lasciare che sia venduta dagli eredi, così ogni libro «troverà almeno il proprio appassionato, sarà conservato e potrà concedere un attimo di felicità o anche accendere una luce».
Non cercate nel Dizionario di Castronuovo la voce «Bibliomania» o «Bibliomane». Non c’è né l’una né l’altra. Per venire a conoscenza delle innumerevoli sfumature dei due termini dovrete leggere tutto il libro. Non è possibile dare nemmeno un sintetico resoconto degli innumerevoli argomenti di cui tratta: le voci (cioè i capitoli) sono in ordine non tematico ma alfabetico, e perciò si possono leggere senza seguire l’ordine delle pagine. Imparerete molto e vi divertirete. Fidatevi. Ve lo dice uno che è affetto da bibliomania da più di cinquant’anni. Ne avevo solo quattordici, quando prosciugai i miei risparmi, accumulati mettendo da parte qualche soldo della mia paghetta settimanale, per comperare una cinquantina di fogli volanti da cantastorie risalenti al ’700 e all’800. Li ho ancora (ho poi imparato che sono rarissimi e infatti non ne ho mai più trovato di simili). Da allora i libri si sono diffusi inesorabilmente in tutte le camere della mia grande casa (tranne che in cucina, perché i fumi e i vapori danneggiano la carta). E, naturalmente, non mi sono mai sposato: alla voce «Celibato», Castronuovo spiega infatti che «è bene che i bibliofili non si sposino affatto». È opportuno inoltre che si guardino dai bambini, che possono fare scempio di libri preziosi (si veda il capitolo «Infanzia devastatrice»), anche se non mancano «Fanciulli bibliomani».
A chi mi farà notare che nella mia biblioteca ho raccolto più libri di quelli che potrò mai leggere, risponderò, come suggerisce Castronuovo, che «una biblioteca serve se contiene la massa di ciò che non sappiamo, che è ben maggiore di quel che invece sappiamo».
L'autore
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Giuseppe Bellosi (Maiano di Fusignano 1954) è uno studioso di dialetti, letteratura dialettale e cultura del mondo popolare, alla cui conoscenza ha contribuito sia con ricerche sul campo sia attraverso articoli e libri, tra i quali Cento anni di poesia dialettale romagnola (con G. Quondamatteo, Galeati, 1976), Vi do la buonasera. Studi sul canto popolare in Romagna (con T. Magrini, Clueb, 1982), Verificato per censura. Lettere e cartoline di soldati romagnoli nella prima guerra mondiale (con M.Savini, Il Ponte Vecchio, 2002), Halloween. Nei giorni che i morti ritornano (con E. Baldini, Einaudi, 2006), Tenebroso Natale. Il lato oscuro della Grande Festa (con E. Baldini, Laterza 2012), Dante in Romagna (con E. Baldini, Il Ponte Vecchio, 2020). Ha pubblicato inoltre alcune raccolte di versi in dialetto romagnolo, tra le quali Requiem (La Mandragora, 2014). Ha fatto parte del Consiglio Direttivo dell’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (1992-1995, 2015-2018).