avvenimenti

Zio Paperone e il centounesimo canto della Commedia di Dante Anatrieri (II)

La prima parte dell’articolo al seguente link  

L’intera storia è stata pubblicata (e distribuita) con gli albi 3434/3435/3436/3437 del 2021, tutti con soggetto e sceneggiatura di Alessandro Sisti, e con i disegni di Alessandro Perina.

Ciò che colpisce immediatamente nell’albo 3436, penultimo della mini-serie, rispetto ai precedenti due, è una maggiore sottolineatura della patina linguistica, con la duplice caratteristica, da un lato, della riproduzione di frasi e di modi di dire dell’italiano antico (per ragioni di verosimiglianza): «ria sorte», «cotidie», «neghittoso», «non v’adontate»:

Dall’altro, dell’utilizzo di vocaboli post-moderni, tratti dall’odierno lessico digitale, come «nick-name», «back-up», «selfie», «blog»:

A ben riflettere, comunque, lo stesso poema dantesco, com’è noto, si caratterizza per quel suo specialissimo pluri-linguismo, cioè, per quella sua coloritura linguistica non selezionata, meticcia, accogliente, fino ai due estremi più distanti (e pur compresenti) del lessico scurrile di taluni canti infernali («puttana», «meretrice», «unghie merdose», solo per fare qualche esempio), e di quello sublime del Paradisotrasumanar», «li occhi belli», «la mente innamorata», «l’amor che move il sole e l’altre stelle», anche qui solo per fare qualche esempio).

Nella pagina 53 del terzo episodio (albo 3436), emerge anche un gusto tutto dantesco, medievale (ma anche moderno), per l’enigmistica. Esaminando la carta di una lettera, e svolgendo riflessioni tra il filologico e il critico, Adalbecco fa notare agli altri protagonisti della ricerca che le iniziali di alcune parole di quello scritto presentano un grado di elaborazione grafica non indifferente, con sicura valenza significante:

L’attenzione si appunta sulla D di Durante, e, rispettivamente, sulla C della parola carta e sulla I della parola incriminata. Si tratterebbe, dunque, di un semplice «rebus». Per tutti noi, oggi, i rebus  sono i giochi enigmistici che mescolano disegni, figure, foto, note musicali o segni con lettere e parti di parole. L’odierno «rebus» rinvia al «visibile parlare» di cui scriveva Dante nel canto X del Purgatorio (v. 95). Il rompicapo consiste nel combinare i grafemi con le figure, in modo da ottenere una frase di senso compiuto, risolvendo, quindi, l’enigma proposto. Negli odierni rebus, per aiutare il giocatore nella ricerca della soluzione, sono presenti dei numeri, che indicano quante lettere conterrà ciascuna parola che andrà a formare la frase. Ovviamente, ci sono livelli via via crescenti di complessità per i rebus. Quello proposto nell’albo disneyano è piuttosto semplice: CI starebbe per 101, scritto non con i numeri arabi, ma ricorrendo al sistema di numerazione romana. Invece, la lettera D starebbe per Durante, forma estesa del nome del poeta, anziché quella contratta e popolarissima di Dante. Questo dettaglio fornisce a uno dei nipoti di Paperino l’occasione per affermare, con soddisfazione, che anche nel Medioevo esistessero i «nick-name», cioè, il soprannome o il nomignolo, che, nell’odierno linguaggio digitale, sta per nome fittizio virtuale, che viene assegnato (o che viene scelto) nel momento in cui ci si registra per un indirizzo di posta elettronica, o per eseguire le fasi di gioco di un videogioco, oppure, per navigare in sicurezza in Internet (tenendo al riparo la propria privacy); ancora, il «nick-name» viene utilizzato per prender parte agli scambi comunicativi nelle chat, nei newsgroup, ecc.

Il mondo dei personaggi Disney, del resto, come ben sanno i suoi fedelissimi lettori, ha un esempio calzante di nick-name nella figura del misterioso Paperinick:

Chi si cela, infatti, dietro questo fascinoso nick-name? Chi è l’eroe senza macchia e senza paura?

Gran parte ha, in questa tappa della ricerca del centounesimo canto (nascosto e ignoto) della Commedia di Dante Anatrieri, la città di Verona.

Dante trovò ottima accoglienza a Verona, durante gli anni dell’esilio, regnante la famiglia Scaligera, dapprima con Bartolomeo (fino al 1304), quindi con Alboino (fino al 1311), e, infine, con Cangrande (fino al 1329). Celeberrimi i versi di Paradiso XVII (70 e sgg.), celebrativi della faglia Scaligera, pronunciati dal trisavolo di Dante, il beato Cacciaguida, come vaticinio sull’imminente esilio del poeta:

Lo primo tuo refugio e ‘l primo ostello
sarà la cortesia del gran Lombardo
che ‘n su la scala porta il santo uccello;

[Il tuo primo rifugio, e la tua prima dimora (ostello), / te li offrirà (sarà) la cortesia del signore di Verona (gran Lombardo), / che ha [nello stemma] l’aquila imperiale (il santo uccello), sopra una scala;]

L’identificazione del «gran Lombardo» con Bartolomeo della Scala, signore di Verona dal 1301 al 1304, è oramai certa. A Verona, infatti, Dante si recò, chiedendo e ottenendo ospitalità e protezione, dopo aver rotto con i suoi compagni d’esilio, e cioè già nell’estate del 1303. Nella vignetta precedente, si fa riferimento alla carica di Vicario imperiale, che gli Scaligeri ottennero da Arrigo VII nel 1311, raffigurata nello stemma con l’inserimento dell’aquila («il santo uccello»), ma che, molto probabilmente, gli Scaligeri avevano aggiunto in precedenza, per via del matrimonio di Bartolomeo con Costanza, pronipote di Federico II di Svevia.
Nel fumetto, si fa pure riferimento al monumento dedicato a Dante, inaugurato a Verona nel 1865:

Il processo di monumentalizzazione di Dante, su tutto il territorio nazionale, fu un fenomeno tipico della rinascita della fortuna dantesca in epoca risorgimentale e, poi, anche in età post-unitaria, allungandosi fino agli anni del Fascismo. Dante divenne il padre della patria, l’«exul immeritus», il «ghibellin fuggiasco», come lo definì Foscolo, trascurando (volutamente) il dato storico dell’appartenenza di Dante alla parte bianca dei guelfi di Firenze. Non c’è, infatti, paesino, borgo o grande città, che non abbia (almeno) una strada, un viale, un corso a lui intitolato. A non dire, poi, della intitolazione di monumenti, di teatri, di scuole, e, di recente, anche di ristoranti, bar, pizzerie.
La visita al mercato popolare di Verona consente a zio Paperone e agli altri protagonisti di questa storia di riflettere sul plurilinguismo del poema dantesco, sulla curiosità del poeta intorno ai linguaggi e ai relativi dialoghi (scambi) tra le diverse lingue e parlate d’Italia, come pure, ovviamente, tra i diversi stili:

Alla questione dei rapporti tra lingua nazionale e parlate locali Dante aveva dedicato un trattato (rimasto incompiuto), il De vulgari eloquentia, alla cui redazione si era cimentato nei primissimi mesi (anni) d’esilio. Si tratta di uno studio di ben 14 parlate d’Italia, finalizzato alla ricerca e alla individuazione del così detto «volgare illustre», da proporre come modello espressivo unitario.

In un paio di vignette, dunque, gli autori di questo albo 3436 riassumono, non senza rischi di eccessiva semplificazione, e qualche fraintendimento, tutta la riflessione sulla questione linguistica, avviata da Dante già agli inizi del XIV secolo, e oggetto, ancora oggi, ben sette secoli dopo, di confronti, dibattiti e polemiche. Dante padre della lingua, dunque, come si legge a p. 58, per bocca di uno dei nipotini di Paperino, in quanto messaggio pop, che riesce ad arrivare ancora oggi al lettore.
Sotto la signoria di Cangrande della Scala, tra il 1312 e il 1318, per ben sei anni, Dante soggiornò nuovamente a Verona, in un periodo cioè assai felice per la città, che, proprio con Cangrande, conobbe il suo massimo splendore; ma anche anni fervidissimi per Dante, che completò il Purgatorio e avviò la scrittura del Paradiso. Ebbene, il fumetto allude a tutto ciò facendo riferimento, per esempio, alla somiglianza, che alcuni critici danteschi hannostudiato, tra la struttura architettonica dell’arena di Verona, con i suoi gradoni, e la topografia dell’Inferno dantesco:

Il numero si chiude dando appuntamento ai lettori alla successiva (e ultima) tappa ravennate della spedizione, con la speranza di sciogliere il mistero e di trovare il centounesimo canto della Commedia di Dante Anatrieri.

L'autore

Trifone Gargano
Trifone Gargano
Trifone Gargano è professore presso l’Università degli Studi di Bari, con l’insegnamento «Lo Sport nella Letteratura». Ha insegnato «Linguistica italiana» al Corso di Laurea Magistrale in «Scienze della Mediazione Linguistica», e «Didattica della lingua italiana» per l’Università degli Studi di Foggia, e «Storia della lingua italiana» in Polonia (Università di Stettino). È autore di numerose pubblicazioni e collabora con la Enciclopedia Treccani, con il quotidiano «Corriere del Mezzogiorno» («Corriere della sera»), e con diversi blog letterari. Realizza lezioni-spettacolo sui Classici della Letteratura italiana, ed è commentatore televisivo e radiofonico.