Se volessi provare a ipotizzare quale sia una delle caratteristiche tipiche della narrativa contemporanea, o almeno di quella degli ultimi due decenni, direi che è l’essere in qualche modo “preparata a tavolino”, il suo avere un che di artificioso che insospettisce e fa storcere il naso al lettore più accorto, il suo non essere credibile fino in fondo. Troppo spesso i libri di narrativa seguono oggi le mode del momento: trattano gli argomenti più in voga, usano uno stile linguistico standardizzato e tendenzialmente livellato verso il basso per essere più vendibili, narrano storie semplificate in modo tale da poter facilmente essere trasformate in copioni per la tv o il cinema, e quindi risultare ancora più redditizie in termini di ricavi per il benefico effetto a rimbalzo libro-film-libro.
Ho pensato anche a queste cose dopo aver letto recentemente il romanzo d’esordio di Daniele Mencarelli, La casa degli sguardi (Mondadori 2018). Si tratta di un romanzo d’esordio pluripremiato, edito da una grande casa editrice, che a quanto pare costituisce il primo volume di una triade ideale di libri autobiografici scritti dall’autore negli ultimi tre anni (l’ultimo è Sempre tornare, 2021) che vanno a ritroso nella storia del protagonista. Date queste premesse, la curiosità di leggerlo era forte.
La storia, ambientata tra Roma e i Castelli romani alla fine degli anni Novanta, è quella di un giovane poco più che ventenne alle prese con un grave problema di alcolismo che, dopo aver attraversato grandi sofferenze, rinasce grazie al ripetuto contatto con la sofferenza altrui (una sofferenza innocente, quella dei bambini malati in un ospedale), alla fatica di un lavoro come operaio in una ditta di pulizie, al sostegno di nuovi e semplici rapporti umani che vivrà nel luogo di lavoro. Questa in sostanza la vicenda.
La scrittura di Mencarelli è veloce e scorre bene: periodi brevi, un lessico molto semplice, una punteggiatura frequente. I dialoghi sono molto stringati e realistici; complessivamente l’autore riesce a tenere la pagina dando ritmo alla narrazione. Queste caratteristiche, del resto abbastanza frequenti nella letteratura di consumo, spingono il lettore ad andare avanti velocemente con la storia. Si possono poi individuare altre caratteristiche, più attinenti ai temi trattati, indicative del fatto che si tratti di un libro che viaggia sull’onda delle mode editoriali del momento: nello specifico, il racconto autobiografico (molti ne sono usciti in questi anni, di personaggi più o meno noti) e il tema della rinascita, del risorgere del personaggio principale dagli inferi della propria condizione esistenziale verso livelli più alti di esistenza, il tutto condito dal lieto fine volto a pacificare ed educare l’animo del lettore (anche in molte fiction televisive è così).
Diverse cose tuttavia possono non convincere appieno. La prima è che non si capisce bene come mai, dopo poche pagine dall’inizio del libro, il protagonista, così devastato dal proprio stile di vita e che vive in una condizione di apatia e disperazione, decida di andare a lavorare cogliendo al volo la possibilità proposta da un amico influente. Certo, si può arrivare ad una decisione simile anche quando si è disperati, ma ciò che non risulta realistico è la rapidità con cui si arriva a questa decisione partendo dalla condizione di prostrazione in cui versa il protagonista, che avrebbe chiesto tempi più dilatati per potersi evolvere in quella direzione. L’autore forse ci sarebbe potuto arrivare concedendosi qualche pagina in più per rendere quel passaggio ancora più sofferto e credibile.
Altro aspetto poco convincente è quello dei personaggi. Nel romanzo quelli principali sono i familiari del protagonista e alcuni colleghi di lavoro. Non si sa quasi nulla del loro passato o della loro storia, solo pochi cenni in tal senso, e così l’autore prova a basarsi soprattutto sulla sua capacità di tratteggiarli attraverso i dialoghi, alcuni atteggiamenti, le loro caratteristiche fisiche. Nemmeno del passato del protagonista si sa molto: lo si ritrova con questo problema di alcolismo che dura da anni, ma non si capisce come ci sia arrivato, quale substrato sociale, culturale o familiare possa portare chi legge a comprendere meglio quella difficile condizione. A tal proposito si accenna solo a determinati giri di compagnie (un po’ generico come elemento), mentre i rapporti familiari appaiono idilliaci, sempre caritatevoli verso i problemi familiari causati dal protagonista. La mancanza di un passato dei vari personaggi, o forse il modo in cui gli stessi vengono in genere tratteggiati, non li rende personaggi di spessore psicologico, né molto realistici. Ciò non significa che il carico di sofferenza che sta dietro ad una storia autobiografica come quella narrata non abbia spessore, ma semplicemente che l’autore non sia riuscito a mio avviso a renderlo da un punto di vista narrativo, forse per inesperienza, forse per una concentrazione eccessiva sulla narrazione (sulla storia) a scapito della descrizione. Sempre legato a questo aspetto di un insufficiente approfondimento psicologico del personaggio è il fatto che non si capisce bene da dove derivi la sua fede o quantomeno quell’attenzione ai temi religiosi e al problema di Dio e del male nel mondo che lo arrovella fin dal principio, visto che nulla si dice di un’educazione religiosa passata, né l’ambiente familiare sembra caratterizzato da una particolare vicinanza alla religione. Il lettore può dunque avere l’impressione che certe cose siano date per scontate dall’autore mentre così non dovrebbe essere, proprio per garantire realismo e complessità esistenziale alla costruzione della storia e del personaggio.
Ma forse ciò che meno convince, e che rientra all’interno del discorso iniziale sulla prevedibilità e sul carattere precostituito di molti libri di narrativa contemporanea, è il suo dirigersi verso un epilogo che già si riesce a intravedere fin dalla parte iniziale del romanzo, ossia il fatto che il protagonista uscirà vincente da questa vicenda, risorgerà grazie a un’illuminazione profonda o a una più profonda consapevolezza spirituale, stimolate certo da alcune vicende toccanti che gli occorrono nel corso della storia, ma in fondo annunciate fin dagli inizi (è cattolico l’amico noto che gli propone l’ancora di salvezza del lavoro, è cattolico l’ospedale pediatrico in cui andrà a lavorare, al protagonista viene preannunciata la sofferenza con cui entrerà in contatto in quell’ospedale ecc.) come se ci fosse un disegno divino a guidare le azioni di chi crede o soffre attorno a certe domande esistenziali e che basta scorgerlo per salvarsi. Rientra in questa concezione magica e romantica, ma anche se vogliamo un po’ ingenua della vita (della vita del personaggio) anche l’idea trita e ritrita della sensibilità del poeta (il protagonista è un giovane scrittore di poesie) come croce e delizia spirituali, condizione che genera eccessive sofferenze ma anche intuizioni sconosciute ai comuni mortali. La prevedibilità e anche la rapidità di questa evoluzione esistenziale del protagonista (non passa nemmeno un anno dall’inizio della vicenda) è un ulteriore elemento che toglie consistenza e mordente alla storia, appiattendola fin dal principio sotto il peso di un epilogo positivo facilmente intuibile. Decisamente migliore è invece la capacità dell’autore di rendere gli ambienti ospedalieri e le fatiche connesse al lavoro del protagonista, così come le descrizioni degli effetti mentali e sociali del condurre un stile di vita centrato sull’uso di alcol.
Ora, se le lacune della narrazione sopra individuate potrebbero forse essere compensate dai successivi episodi della vicenda autobiografica del protagonista narrate nei successivi due libri, rimarrebbero comunque presenti degli elementi relativi all’approfondimento dei personaggi o ad alcuni passaggi importanti della vicenda non ben articolati, che fanno un po’ riflettere sul fatto che un’opera narrativa con questi problemi sostanziali venga esaltata fin da subito dalla critica, e il fatto che a breve distanza anche il secondo libro di Mencarelli (Tutto chiede salvezza, Mondadori 2020) abbia ricevuto ancora più riconoscimenti del primo può suonare un po’ sospetto.
Se il parere della critica sia giustificato o meno, sarà compito dei lettori più curiosi e pazienti scoprirlo.
L'autore
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Marco Nicastro (Caltagirone, 1979) vive e lavora a Padova. Da anni si occupa di psicoanalisi, poesia e scrittura. Ha pubblicato diversi articoli di argomento psicoanalitico su riviste scientifiche e i saggi Il carattere della psicoanalisi (Psiconline edizioni, 2017), Pensieri psicanalitici. Riflessioni non ortodosse sulla psicanalisi (Polimnia Digital Editions, 2018), La resistenza della scrittura. Letteratura, psicoanalisi, società (Ladolfi, 2019). Ha pubblicato per il sito della Mondadori "Studenti.it" l'ebook Ti presento Eugenio Montale. Riscoprire il piacere della poesia (2020).
Suoi articoli e recensioni sono apparsi su vari blog e riviste culturali online tra cui Le parole e le cose, La Balena Bianca, Il lavoro culturale, Atelier, Kasparhauser, Cultweek, Pangea.
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