Di Antonella Agnoli si potrebbe dire che è stata membro del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, assessore alla Cultura e alla creatività del Comune di Lecce e presidente della Fondazione Federiciana di Fano ma lei preferisce definirsi soltanto una “militante delle biblioteche” dal 1976. Ne ha realizzate a decine in varie città italiane e scritto troppe cose perché si possa ricordarle qui, con l’eccezione delle Piazze del sapere, un libro che continua a essere letto, qui come in Giappone.
Antonella, se tu dovessi spiegare a uno studente della prima classe elementare cos’è una biblioteca e a cosa serve, cosa gli potresti raccontare?
Uno studente di prima elementare sarà sicuramente impertinente e curioso, quindi gli direi subito che la biblioteca è un posto di avventure dove si incontrano storie bellissime, colori e altri come te. Un luogo di scoperta dove puoi trovare la tua poltrona preferita e il tuo angolo ideale. A questo punto voglio citarti una storia vera che a sua volta proviene da una fiaba. Avevo delle amiche francesi che si chiamavano “le Tre Orse”, in francese “Les Trois Ours”, delle amiche bibliotecarie che hanno fondato la casa editrice omonima. Loro erano partite da una fiaba, “I tre orsi e Riccioli d’oro”, una fiaba inglese dell’Ottocento molto conosciuta anche in Italia. In questa fiaba si racconta appunto di tre orsi: l’orso grande che è papà orso, mamma orsa e il bambino che è il piccolo orso. Un giorno vanno a fare una passeggiata lasciando la tavola della loro casa imbandita con le cose con le quali avevano appena mangiato e dunque una tazza grande, una tazza media e una tazza piccola. A un certo punto arriva Riccioli d’oro e cerca qual è la tazza giusta, la sedia giusta e il letto giusto per se stessa. Quando finalmente trova tutto quello che è adatto per lei si stende sul letto e si addormenta. Quando arrivano gli orsi, Riccioli d’oro si sveglia provando un grande senso di benessere. Mi piace pensare che lo stesso valga per le biblioteche e che ogni bambino che entra in biblioteca trovi sempre la sedia giusta dove può sprofondare e sentirsi pronto per qualsiasi tipo di gioco, di avventura, di esperienza.
Quando lavoravo a Pesaro abbiamo organizzato un laboratorio con tanto di piantine, righello e matita, ogni bambino aveva il suo kit di piccolo architetto con il quale doveva ridisegnare lo spazio e modificare gli arredi. Abbiamo chiesto loro che cosa avrebbero voluto cambiare: in realtà non hanno cambiato nulla, hanno solamente aggiunto dei pouf perchè volevano sedersi sulle poltrone stendendo i piedi per aria. A quel punto ci è venuta in mente un’altra idea, un nuovo laboratorio: abbiamo chiesto a un negozio di oggetti di design di prestarci alcune poltrone di designer famosi come la Sthul di Mackintosh, la Egg di Jacobsen, la Up di Pesce e abbiamo ragionato con loro anche di design, permettendo a ognuno di scegliersi una sedia diversa. Ecco, da questo racconto noi bibliotecari possiamo ispirarci per progettare gli spazi coinvolgendo direttamente le persone che poi dovranno viverli.
E se Mario, ormai adulto, decidesse che da grande vuole fare il bibliotecario, cosa gli consiglieresti?
Caro Mario, se tu da grande volessi fare il bibliotecario penso che ti risponderei pensando a come io stessa sono diventata bibliotecaria. Io non avrei mai pensato che avrei potuto fare questo lavoro: non ero una brava studentessa e quando le mie insegnanti hanno scoperto più avanti che ero diventata appunto una bibliotecaria sono rimaste stupefatte. Mi chiedo: io cosa sono? Cosa sono stata? E soprattutto, perchè sono riuscita a fare questo lavoro? Inizierei consigliandoti di essere curioso, sempre, da quando sei ragazzino all’ultimo giorno della tua vita. Non smettere mai di essere curioso! Poi devi andare molto in giro, devi viaggiare e non solo in internet ma anche fisicamente; se io non avessi visto tutte le biblioteche che ho visto in giro per il mondo probabilmente non sarei mai riuscita ad essere una brava bibliotecaria e a realizzare le biblioteche che ho fatto. Nel mondo ho visto delle biblioteche meravigliose e quando le faccio vedere alle persone durante i miei corsi molti mi dicono: “Ah, ma noi in Italia non potremmo mai fare quelle cose!?”. Ecco, se io avessi pensato questo avrei smesso di viaggiare e mi sarei privata di tante suggestioni, invece ogni volta che ritornavo a casa tornando dalla visita sia di biblioteche bellissime sia di biblioteche meno belle e a volte “scalcagnate” per così dire, ho sempre riportato con me qualcosa di utile e positivo, che andava ad arricchire la mia scatola degli attrezzi.
In conclusione ti consiglierei non solo di viaggiare e di leggere ma soprattutto di parlare con le persone e queste persone ti devono piacere perché le prossime biblioteche saranno luoghi di conversazione e, come dice David Lankes, luoghi dove le persone si incontrano, parlano, si scambiano idee e riflessioni. Per imparare a fare questo le persone ci devono piacere e non ci devono impaurire: questo atteggiamento è il più importante per chi desidera fare il bibliotecario nella biblioteca del futuro.
Per anni ho sempre sposato una delle tante definizioni di biblioteca e cioè quella di “aggregatore sociale”, una funzione con la quale si dà peraltro una responsabilità assai grande all’istituzione biblioteca. Ma che vuol dire veramente “aggregatore sociale”?
Concedimi una brevissima riflessione sulla difficoltà che da sempre noi abbiamo nel trovare il termine giusto per definire la biblioteca diversa rispetto a quella alla quale siamo tradizionalmente abituati. Come diceva Luigi Crocetti, tutte le biblioteche sono “pubbliche”: lo è una biblioteca Nazionale, lo è una biblioteca di conservazione, lo è una biblioteca accademica. La nostra incertezza invece è sempre stata quella di definire meglio la biblioteca civica, la biblioteca comunale; mentre all’estero il concetto di “public library” è sempre stato ben centrato e chiaro, come nel caso delle biblioteche statunitensi, delle biblioteche inglesi o delle biblioteche del Nord Europa, in Italia questa incertezza ha prodotto terminologie diverse.
A un certo punto si è parlato di “piazza del sapere” usando il titolo del libro[1] che avevo scritto proprio per indicare quel determinato tipo di servizio caratteristico delle biblioteche civiche. E’ come se avessimo avuto bisogno di trovare una parola diversa per definire le trasformazione che le biblioteche hanno avuto in questi ultimi anni. Dunque cosa si intende col termine di “biblioteca sociale” o biblioteca come “aggregatore sociale”? Una biblioteca che non è più solo una biblioteca di studio, di consultazione e di ricerca con tutte le caratteristiche tradizionali che ben conoscono gli studiosi, i ricercatori o i lettori che prendono in prestito i libri; in verità, non dobbiamo chiudere la porta a questo tipo di utenza ma aprirla anche a tutti quei cittadini che pensano che questa biblioteca non sia utile per loro perché hanno altre esigenze. Oggi le biblioteche sono e devono essere biblioteche sociali dove la centralità non è più il libro ma le persone con i loro bisogni. Per me sono luoghi di opportunità per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro storie o dalla loro provenienza: anche se non hanno mai letto un libro devono sentirsi accolti da quella biblioteca. Oggi non possiamo legare la biblioteca esclusivamente alle sue collezioni, ai tavoli di studio, alle presentazioni dei libri: queste sono una parte delle attività di una biblioteca, che non vogliamo e non dobbiamo eliminare ma sono una parte, che non può più essere prevalente. Quindi la funzione sociale delle biblioteche potrebbe essere definita anche col termine “welfare” che tradotto dall’inglese significa appunto “benessere”; noi vogliamo che le nostre biblioteche siano luoghi di benessere: fisico e mentale. Più che mai oggi, dopo il periodo drammatico appena trascorso, la biblioteca deve rivolgersi ai cittadini più deboli, che hanno bisogno di una buona connessione internet, di un consiglio per fare un curriculum o per accedere al proprio fascicolo sanitario. Quindi una biblioteca come una sorta di struttura di intermediazione fra gli utenti e i documenti, fra l’abbondanza di informazione disponibile in rete e i necessari strumenti tecnici e critici per poterlo fare. Essere esposti a informazioni parziali con conseguente distorsione della realtà crea cittadini deboli, manipolabili e vulnerabili. In un certo senso, ne va della nostra democrazia.
In conclusione, una biblioteca deve essere un luogo empatico, che ti avvolge, che ti emoziona; dev’essere accogliente, aperta, trasformabile, ibrida e molteplice perchè noi abbiamo bisogno di luoghi capaci di trasformarsi. Voglio accennare a un estratto di una mia relazione fatta per il Convegno delle Stelline nel 2020 quando ad un certo punto ho detto alla platea: “Immaginate se un giorno Salaborsa[2] chiudesse?!”. Salaborsa era un luogo dove entravano migliaia di persone ogni giorno, una piccola grande comunità che entrava con tutto quello che una comunità possiede, storie, vite, persone. Era impensabile che potesse chiudere. E invece Salaborsa, come tante biblioteche, ha chiuso e abbiamo capito che da quel momento in poi tutto è diverso. Ora noi dobbiamo pensare a delle biblioteche che stanno dentro delle città che si stanno profondamente trasformando. Il nostro compito sarà quello di capire come le biblioteche possono contribuire positivamente a questo processo di trasformazione. Questi luoghi non possono essere solo virtuali e con il lockdown abbiamo imparato cosa vuol dire privarsi; ecco perché la biblioteca dev’essere accogliente e ricettiva.
In varie forme, tutti abbiamo sentito parlare di biblioteca e anche di bibliotecari. Discorso diverso invece spiegare e far capire cos’è la professione del bibliotecario a chi amministra e governa. Cosa potrebbe essere decisivo secondo te per arrivare un giorno al riconoscimento professionale e accreditare di fatto questo valore del bibliotecario per il momento solo “etico” e “morale”?
Se desideriamo avere una biblioteca come quella che ho descritto in precedenza, non dobbiamo raccontare qual è il lavoro del bibliotecario. Durante i miei corsi spiego sempre che noi dobbiamo fornire ai nostri amministratori un immaginario differente rispetto a quello che è la biblioteca, poiché il bravo bibliotecario è l’attore principale per il corretto funzionamento di quel luogo. Diversamente, un bibliotecario che non condivide, accetta e si impegna in queste trasformazioni non potrà essere un bibliotecario adatto a questo tipo di struttura. Per esempio notiamo che all’estero le biblioteche hanno volte denominazioni diverse dal termine “biblioteca” ma hanno dei nomi che solitamente rispecchiano quello che accade dentro le loro mura, poiché i libri sono solo una parte del loro servizio e non “il tutto”. Per questo motivo anche il bibliotecario non può più solo chiamarsi così, anzi non può più essere la stessa persona. Non so quanti saranno d’accordo con me ma credo che oggi abbiamo più che mai bisogno di persone ancora più “militanti”, più impegnate e adatte a creare ponti e reti; quindi prima di dire agli amministratori come va definita la biblioteca noi dobbiamo diventare mediatori culturali tra la biblioteca e la comunità, tra quello che sta nei libri e quello che sta nel mondo (web compreso). Abbiamo bisogno di capire i bisogni di una comunità, di conoscere le idee, la creatività che circola al suo interno; per questo abbiamo necessità di avere figure in grado di ascoltare e coinvolgere le persone. Abbiamo bisogno di facilitatori. Le mansioni tradizionali rimarranno sempre valide ma anche queste stanno subendo delle trasformazioni: pensiamo ad esempio a come collocare i libri, a come sceglierli, a come proporli, come integrare libri cartacei e ebook. Nei miei ultimi viaggi all’estero prima della pandemia ho notato che si investe molto su risorse di back-office che puntano proprio a innovare i processi lavorativi di organizzazione delle collezioni. In Italia abbiamo il grande problema delle assunzioni e del mancato riconoscimento della professione che fa sì che l’amministratore non riconosca l’importanza della figura professionale, né della stessa biblioteca. Al momento in cui il “vecchio” bibliotecario andrà in pensione, l’amministratore non lo sostituirà mai con una figura analoga. Dobbiamo riflettere su questo e se ad oggi il problema vero sia quello del riconoscimento professionale o dell’accreditamento o della giusta e conseguente valorizzazione economica; secondo me questo dibattito deve partire dalla necessità di far emergere il “beneficio sociale” che la biblioteca offre alla società.
Le biblioteche cambiano e si trasformano per l’avanzamento delle tecnologie digitali o semplicemente perché cambiano “i tempi”. Queste trasformazioni verso quale percorso stanno instradando le nostre biblioteche? Se fosse il titolo di un convegno sarebbe: “Verso quale direzione vanno le nostre biblioteche”?
Onestamente vorrei dare un titolo diverso: “Esisteranno ancora le biblioteche? Avremo ancora bisogno di loro?”. Questo perché qualcuno potrebbe pensare che, visto che ormai tutto o gran parte delle cose esistono online, forse potremmo non aver più bisogno delle biblioteche. Ma come abbiamo già detto e come ci ha soprattutto fatto capire la pandemia, noi bibliotecari siamo importanti in quanto presidio di luoghi fisici, in quanto luoghi che contrastano l’isolamento sociale, in quanto luoghi che aiutano le persone a stare meglio. Anzi, oggi possiamo dire che dopo quello che è accaduto siamo ancora più importanti, siamo essenziali perché le nostre biblioteche possono offrire delle risposte a esigenze reali: ad esempio uno spazio attrezzato dove poter fare lo smart working perchè magari a casa non lo puoi fare; un luogo che ti offre una buona connessione internet che ha un costo magari eccessivo per l’economia familiare e dopo che molte persone si sono impoverite a causa della conseguente crisi economica che ne è derivata da questo periodo di pandemia può essere un bisogno primario; la biblioteca deve fornire la connessione e il computer potente in grado di poter lavorare o poter prestare il computer al figlio che deve fare la DAD (Didattica a distanza) per la scuola. Se lo stesso figlio deve ad esempio fare un video per la scuola, la biblioteca dovrebbe avere una saletta attrezzata dove poterlo registrare, perchè utile per il suo percorso scolastico. Pertanto sarà necessario accentuare il concetto della “fisicità” e di fare le cose insieme, oltre contemporaneamente a portarci dietro il bagaglio di nuove competenze che abbiamo acquisito. Abbiamo imparato che si possono fare le cose a distanza o da remoto. Ultimamente consiglio alle biblioteche di avere anche delle attrezzature digitali e tecnologiche proprio per potere avere la possibilità di fare attività a distanza e online. Se per esempio in un gruppo di lettura una sera una persona non può venire perchè non sta bene ma non vuole perdersi l’incontro, deve avere la possibilità di poter assistere comunque e oggi abbiamo imparato che si può fare. Dobbiamo sfruttare quello che abbiamo imparato in questo periodo ma non per finalizzarlo per attività a distanza ma per integrarlo all’interno di un ambiente, la biblioteca, in cui sentirsi meno soli.
[1] Agnoli, Antonella. Le piazze del sapere: biblioteche e libertà. Roma Laterza, 2010
[2] Biblioteca Salaborsa è una biblioteca multimediale di informazione generale che intende documentare la cultura contemporanea attraverso tutti i documenti disponibili: libri, giornali, riviste, mappe, video, cd audio, dvd (la missione completa è consultabile qui). Inaugurata nel dicembre 2001, apre uno spazio culturale e multimediale ricco e affascinante all’interno di Palazzo d’Accursio, il “quasi castello”, antica sede storica del Comune che si affaccia su Piazza Maggiore, da sempre centro e cuore della bolognesità.
L'autore
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Mario Coffa archivista e bibliotecario, laureato in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Perugia (2005) e diplomato in Archivistica e Paleografia presso la Scuola di Archivistica dell’Archivio Segreto Vaticano (2010). Dal 2010 Lavora per CAeB (Cooperativa Archivistica e Bibliotecaria) presso le biblioteche dell’Università di Perugia come bibliotecario e come archivista presso l'Archivio Storico del Comune di Gubbio. Si occupa di Biblioteche Digitali e formazione in ambito di biblioteconomia digitale. Nel 2014 membro del Comitato Esecutivo Regionale dell’Associazione Italiana Biblioteche (AIB) sezione Umbria, membro del gruppo AIB sul portfolio professionale e nel triennio 2017-2020 Presidente eletto di AIB Umbria. Dal 2020 membro dell'Osservatorio Formazione dell'Associazione Italiana Biblioteche. Autore di diversi articoli e interviste per Insula Europea sul tema degli archivi, delle biblioteche e del digital lending.
Link:
https://mariocoffa.wixsite.com/e-portfolio
http://vegajournal.academia.edu/MarioCoffa
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