Rino Caputo non ha certo bisogno di presentazioni sia nella veste di professore che di dantista. Noto critico letterario, già professore ordinario e preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, attualmente professore straordinario di Letteratura Italiana in UniPegaso; è membro della Dante Society of America, condirettore della rivista «Dante. International journal of Dante Studies» e direttore di «Pirandelliana».
Presidente, dal 2003 al 2007 dell’AdI-SD (Associazione degli Italianisti – Sezione Didattica), è autore di importanti volumi, tra i quali ricordiamo, per brevità, Il pane orzato: saggi di lettura intorno all’opera di Dante Alighieri (Roma, Euroma, 2003) e Per far segno: la critica dantesca americana da Singleton a oggi (Roma, Il Calamo, 1993).
Abbiamo discusso con lui sull’andamento dell’anno dantesco, che volge ormai al termine, per cercare di fare il punto della situazione.
Professore, inizierei da una domanda “panoramica”. Il 2021 è stato – e, per qualche mese, lo sarà ancora – l’anno dantesco. Nei limiti delle restrizioni imposte dalla pandemia, Dante è stato celebrato, online e in presenza, in molte forme e in numerosi contesti sociali e comunicativi (scuole, università, teatri, mostre pittoriche e fotografiche, convegni, pubblicazioni scientifiche e divulgative, televisione…). Insomma, sembra che ogni ambito della nostra cultura nazionale si sia quest’anno dedicato quasi interamente alla commemorazione del poeta toscano. È già possibile, ora che il centenario volge al termine, approntare un resoconto generale della situazione legata agli eventi danteschi? Com’è andato, a suo avviso, il settimo centenario della morte di Dante, ed è già possibile trarne un bilancio (positivo o negativo)?
L’anno della ricorrenza centenaria dantesca non è ancora concluso e non si concluderà con il 2021. Ciò perché il Comitato Nazionale per le Celebrazioni Dantesche ha stabilito di dilazionare il termine delle celebrazioni alla primavera del 2022, ovviamente a causa delle restrizioni e dei blocchi imposti dalla pandemia. Quindi l’anno non si è ancora chiuso effettivamente e, tuttavia, già un preliminare bilancio lo si può trarre; questo, va detto, a differenza di altre ricorrenze più vicine a noi come quella del 1921 o del 1965. Quest’ anno, infatti, appare molto più legato alla nostra contemporaneità multiforme, liquida, plurima nel senso che non esiste un tema esclusivo, non esistono – almeno per ora – occasioni che si siano rivelate preminenti rispetto ad altre. Si può registrare una pluralità di iniziative, al di là di quelle puramente celebrative (che pure hanno il loro senso perché Dante appartiene a tutti nella realtà nazionale, certo, ma è anche uno degli autori – tra i pochissimi – più conosciuti al mondo). Mi riferisco, in particolare, a chi ha voluto intervenire in termini euristici di apporto originale e innovativo per quanto riguarda la ricerca sull’opera di Dante. Un bilancio definitivo è difficile da fare ora come ora, sicuramente lo si potrà inquadrare quando la “polvere esegetica”, per così dire, si sarà diradata e molte particelle saranno scese sul terreno; allora potremo distinguere meglio tra le varie iniziative in corso e in programma. Non c’è dubbio, però, che la particolarità di questo anno celebrativo, se confrontato con quelli passati, è che esso risulti contrassegnato da questo apporto plurimo, variegato e, in qualche modo – non voglio dire ancora se positivamente o negativamente – … disordinato!
Una forte spinta alle celebrazioni del centenario è giunta proprio dal grande assente tra i veicoli culturali del 2020: il mondo teatrale. La Commedia, in effetti, è un testo che si presta facilmente alle riprese di tipo drammaturgico…
Sì, in effetti il grande assente tra i veicoli culturali del 2020 – e anche del 2021 – è stato il mondo teatrale. La spiegazione immediata è quella empirica, contingente: la pandemia ha impedito il teatro in ogni modo e dappertutto ed è stata una chiusura che ancora oggi, per tanti aspetti, continua. Ciò nonostante, si può dire che il teatro ha continuato ad occuparsi di Dante, almeno nelle forme possibili, in questo periodo pandemico. Mi riferisco, in particolare, ad alcuni eventi interni ed esterni – avvenuti, cioè quando era possibile non solo all’aperto ma anche al chiuso – dove l’esperienza teatrale dell’opera dantesca si è presentata in forma di approccio, di coinvolgimento di molti codici espressivi e comunicativi contigui. Il teatro, cioè, ha significato l’apporto della musica, della testualità verbale, del gioco delle luci e delle scenografie, in particolare quelle di matrice elettronica, che sembrano molto produttive nel trasferire alcune dimensioni del testo dantesco nella forma della specificità teatrale. Infine, dobbiamo anche sicuramente tener conto di tutte le ispirazioni che dalla Commedia sono state tratte – e sono tratte continuamente – per ogni tipo di drammaturgia.
Tra le celebrazioni di ambito accademico e scientifico, non sono mancate le polemiche rivolte a quegli studiosi prestatisi a Dante e al Medioevo, unicamente in occasione del centenario. È oggettivamente possibile, per i non dantisti, accostarsi al Poeta pur mantenendo la giusta distanza rispetto agli studiosi maggiormente esperti? Oppure Dante resta un autore appannaggio dei soli medievisti?
Dante è di tutti. Ovvero, tutti, come è sempre accaduto, possono accostarsi al testo di Dante e interagirvi. L’unica condizione obbligata è di farlo con il giusto rigore metodologico – scientifico. Non è possibile quindi dire “baggianate”, diciamo così, solo per ancorarsi all’attualità della celebrazione dantesca. Non c’è dubbio, quindi, che in molti – anche se non competenti nell’area medievistica o della letteratura italiana delle origini – abbiano voluto accostarsi a Dante… Ci mancherebbe! È tutta la tradizione illustre della nostra letteratura che non può prescindere da Dante al pari di tutte le altre forme espressive. Un esempio su tutti: cosa sarebbe l’opera cinematografica di Federico Fellini – di cui tra l’altro, pur faticosamente, nel 2020 si è celebrato il centenario della nascita – senza il costante riferimento a Dante? Persino il titolo della sua opera più significativa, che gli ha fatto meritare l’Oscar, La dolce vita, è tratto da Dante; questo perché Fellini, che rifiutava sistematicamente i titoli proposti dalla produzione, durante la lavorazione del film impose il titolo de La dolce vita non solo perché la vita (pur con tutte le contraddizioni) ha, a suo avviso, una propria dolcezza ma anche, e soprattutto, perché nella Commedia le anime nell’Aldilà, quando si riferiscono alla Terra la chiamano proprio “la dolce vita”. Basterebbe questo solo esempio per dire che è assolutamente giusto che anche i non-dantisti o gli studiosi che si occupano di altre epoche si possano accostare al poeta. Un altro esempio in particolare lo voglio indirizzare al libro di Alessandro Barbero: un’esperienza che io ritengo positiva, non solo perché Barbero è un bravo scrittore – non dimentichiamo che, a suo tempo, ha vinto anche il Premio Strega – ma anche perché in questa sede egli si è dimostrato un competente storico medievale. Barbero, insomma, ha avuto un approccio all’opera di Dante di tipo prevalentemente storiografico – certamente non da esegeta critico-letterario – e, ciò nonostante, ha saputo realizzare un quadro del contesto in cui nasce Dante e la Commedia, che ritengo assolutamente plausibile.
Anche il Dantedì (giornata celebrata lo scorso 25 marzo, in quanto presumibile anniversario dell’avvio del viaggio nella Commedia) ha sollevato non poche polemiche tra gli addetti ai lavori …
La decisione di celebrare il Dantedì in quella data, va detto, è stata presa qualche tempo prima della ricorrenza settecentenaria; si è scelto di assumere il 25 marzo come Dantedì proprio perché si è voluto optare per l’interpretazione che in quella data si avvia il tempo del racconto che Dante fa della sua peripezia. Mi pare che le polemiche si siano presto sedate e ormai tutti riteniamo che questa sia una data importante intorno alla quale operare. Voglio segnalare che anche l’AdI, d’intesa con l’AdI-Scuola – che opera, appunto, nell’ambito dei rapporti tra scuola e università – ha deciso di promuovere iniziative sull’opera di Dante proprio a ridosso di questa data.
Dal 25 marzo, inoltre, sono partite, da cento scuole, anche le letture sul piano nazionale dei cento canti danteschi, così come tante altre iniziative; in particolare, voglio segnalare anche un’altra celebrazione, che è partita proprio col Dantedì e si è conclusa poi alla fine di aprile: il grande convegno – purtroppo tutto a distanza – tenutosi a Roma su Dante e gli altri classici che ha visto la partecipazione di premi Nobel come Wole Soyinka e di scrittrici e scrittori ragguardevoli del panorama nazionale italiano. Ne è venuto fuori anche un volume, Se segui la tua stella, non puoi fallire, pubblicato qualche settimana fa per BUR, che raccoglie tutti gli interventi, elaborati in forma scritta, tenuti proprio al convegno e che hanno interessato numerose sedi, varie città italiane nella presenza di scrittori e scrittrici nazionali.
Prima di avviarci alla conclusione, mi preme una domanda di tipo “sentimentale”: rispetto ad altri autori della nostra letteratura, forzosamente imposti agli studenti liceali al pari dell’autore della Commedia, Dante è molto amato dal pubblico in età scolare. Penso ad un confronto con Manzoni – il più inviso, forse, ai nostri studenti – o con poeti come Carducci, Pascoli, Montale che, nella migliore delle ipotesi, restano ignorati dai più giovani. Cosa spinge l’italiano non specializzato (il “lettore di tipo uno e due”, per dirla con Eco), più o meno giovane che sia, ad ammirare – spesso unica tra i testi letterari a godere di tale privilegio – la Commedia?
Dante è amato certamente nella scuola italiana soprattutto per quello che potremmo definire un “riflesso indotto”: sono gli insegnanti, innanzitutto, a presentare la poesia di Dante in una certa veste. Poi bisogna dire che il rapporto con il verso è anch’esso decisivo: il verso dantesco è fortemente emozionale e, quindi, non deve meravigliare che (soprattutto nelle classi secondarie inferiori e superiori) si verifichi questo rapporto davvero molto sensitivo, molto emotivo con il testo dantesco; questo ci dice, appunto, anche la potenza dell’opera di un autore che è colto dappertutto in questi termini senza che ci sia bisogno di essere esperti filologi o esegeti danteschi. Si può capire, quindi, che altri autori, imposti nella realtà scolastica, come Alessandro Manzoni – o anche Carducci, e così via – siano considerati meno allettanti e, come si sa, vengono poi scoperti solo in età post-scolare, negli anni della maturità. Il discorso, qui, si fa anche più complesso perché bisognerebbe anche valorizzare la letterarietà degli autori della tradizione illustre della letteratura italiana e non, come è stato fatto per troppi decenni, l’aspetto puramente normativo delle loro opere. Se Manzoni, insomma, viene piegato all’insegnamento del modello spesso totalizzante, coercitivo della lingua, in particolare della lingua scritta, come sappiamo, è chiaro che allora egli perda la sua qualità letteraria che invece è davvero profonda, vasta (non dimentichiamo che il primo ad accorgersi della grandezza dei Promessi sposi è stato proprio Wolfgang Goethe). Ecco, se noi togliamo Manzoni da questa dimensione esclusivamente normativa, egli verrà certamente apprezzato in misura maggiore. Tornando a Dante, non c’è dubbio che egli sia particolarmente carico di questa significatività: è già il suono del senso che avvicina il lettore, soprattutto il lettore giovane; non dimentichiamo, infine, che oggi, tra l’altro, è proprio Dante il maggior autore presente sul web nonché quello più fortemente adeguato ad una lettura mediata dalle risorse audiovisive, multimediali e digitali della nostra contemporaneità.
Un’ultima domanda sulle prospettive degli studi danteschi, è qui d’obbligo. L’ondata di celebrazioni sollevata dalla ricorrenza del 2021 tenderà a scemare e spegnersi con la fine dell’anno o evolverà in nuovi possibili sviluppi legati tanto alla ricerca scientifica quanto al mondo della divulgazione? Si può già azzardare qualche ipotesi in merito?
Sì, si può già azzardare qualche ipotesi sugli sviluppi dell’esegesi dantesca. Esistono, oggi, più dimensioni in termini di vera e propria frontiera della ricerca: possiamo, quindi, definire quali sono i limiti attuali e qual è la nuova sfida degli studi danteschi. Non c’è dubbio che, grazie anche alle risorse tecnologiche noi siamo in grado di aumentare la nostra conoscenza di “Dante prima di Dante”, per così dire. Cioè: qual è stata la reale e completa formazione di Dante (ovvero la sua formazione culturale intesa sia come formazione poetica che teologica, filosofica, scientifica)? Quali libri ha letto Dante? Sappiamo, ormai da secoli, di alcuni tra i testi da lui letti ma non conosciamo la totalità dei libri che Dante ha letto né, soprattutto, dove egli li abbia reperiti. Ancora: con quali maestri il poeta è venuto a contatto? Sappiamo anche questo da secoli, seppur solo in parte: Dante stesso ci ha detto della «cara buona imagine paterna», riferendosi a Brunetto Latini, che pure ha incontrato nell’Inferno… ma certamente non c’è solo lui, tra i suoi maestri: Dante è stato a Parigi, nel «vico de li strami», come dice lui (e cioè nell’allora sede della Sorbona), ha studiato a Bologna per un periodo notevole: «lo senno che ven da Bologna» dicono di lui i poeti della sua stessa generazione – e noi sappiamo quanto questo abbia significato anche per gli autori successivi: c’è, ad esempio, Francesco Petrarca che in una sua lettera usa un bellissimo termine per definire il periodo in cui lui studiava giurisprudenza a Bologna, ma in realtà voleva essere solo poeta: «contorsi sillabas» dice. Petrarca torceva le sillabe, cioè si impegnava soprattutto nella sperimentazione poetica. Anche Dante a Bologna ha, sostanzialmente, contorto le sillabe allo stesso modo. A seguire: con quali ambienti Dante è venuto a contatto? Sappiamo di Santa Maria Novella, di Santa Croce… ma che cosa, effettivamente, ha studiato? Su cosa si è impegnato? Quali dialoghi o quali confronti ha avuto? Ecco, questa è una frontiera ancora da valicare per gli studi danteschi che oggi, fortunatamente, possono utilizzare strumenti e risorse in passato impensabili. Pensiamo soltanto al fatto che per definire una raccolta del lessico dantesco un erudito antico ha dovuto impiegare l’intera sua vita di studioso; oggi, immagazzinando i dati, partendo da un singolo termine noi siamo in grado, con un click, di avere una sequenza immediata sul “dove” si trovi tale termine: in quale cantica, in quale canto, in quali versi… Sono tutte risorse che per gli studiosi oggi risultano notevolissime.
L’altra frontiera degli studi danteschi è meno “materiale”, per così dire, ma altrettanto – se non, addirittura, più – rilevante ed è quella che si prospetta dall’ avanzamento degli studi sul rapporto tra Dante e tutte le altre scienze del suo mondo culturale. Dobbiamo, cioè, ormai prendere atto che il «poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m’ha fatto per molti anni macro», come dice lo stesso autore, diventa soprattutto nel Paradiso sempre più il mezzo attraverso cui Dante vuol essere davvero Poeta, con la maiuscola, cioè un autore che costruisce un mondo culturale fatto non soltanto di arte ma anche di scienza. Una scienza che va dall’astronomia, alla fisica, alle pratiche che oggi noi potremmo chiamare “dell’oltre”, ovvero di ciò che scavalca la dimensione naturalistica; tant’è che uno dei termini più allettanti – ma rispetto al quale è necessaria la giusta cautela – riguarda questa immagine di Dante “negromante”, che riesce attraverso i rapporti numerologici e la combinazione, più o meno armoniosa, di tante realtà ad aggiungere qualcosa in più al suo testo poetico. Più seriamente, si può dire che oggi è proprio la frontiera della ricerca astrofisica, del rapporto con l’investigazione sull’Universo che fa pensare che Dante, a modo suo, e pur con i propri mezzi e strumenti, abbia in qualche modo prefigurato, se non l’orizzonte, quantomeno la frontiera su cui si sta attestando la moderna scienza astronomica e non solo. Quindi, ancora una volta, Dante sia se lo leggiamo sul piano del suono, che del senso, che del cuore, che della mente può essere definito un nostro contemporaneo.
teresa.agovino@unimercatorum.it
L'autore
- Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.
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