In primo piano · L’Italiano fuori d’Italia

L’italiano in Slovacchia. Anna Raimo intervista Zuzana Toth

Zuzana Toth si è laureata in Linguistica all’Università degli studi di Padova con una tesi “La grammatica nelle prove INVALSI” con la Prof.ssa Maria G. Lo Duca. Dopo aver conseguito un dottorato presso l’Università di Vienna, insegna presso l’Università di Bratislava lingue e letterature romanze. Da poco è infine uscito il suo libro Tense and Aspect in Italian Interlanguage  per l’editore De Gruyter.

Le chiedo innanzitutto qual è lo stato di salute dell’italiano in Slovacchia?

Questa bella domanda mi fa venire in mente quello che dice il mio medico di famiglia: non esiste una persona perfettamente sana, solo una visita medica poco accurata. In generale avverto un interesse vivo per l’italiano, sicuramente incentivato anche dai numerosi eventi organizzati dall’Istituto Italiano di Cultura a Bratislava. Ci vorrebbero pagine per descrivere tutte le attività dell’Istituto, ma faccio un solo esempio: proprio in questo periodo si sta svolgendo il festival Dolce Vitaj, con una serie di eventi che riguardano la letteratura, il cinema, la musica, il teatro, la storia dell’arte. Il titolo del festival, che da un lato richiama il celebre film di Fellini, dall’altro la parola vitaj, che significa benvenuto in slovacco, rispecchia l’atmosfera creativa e vivace degli eventi. Un’altra testimonianza del grande interesse verso l’italiano è il numero degli studenti che fanno richiesta di ammissione al Liceo in via Ladislava Sáru 1 a Bratislava, che ha una sezione bilingue, italo-slovacca. L’italiano viene insegnato anche in altre scuole del Paese e naturalmente anche nelle università. Una bella testimonianza dell’entusiasmo per la lingua e la letteratura italiana è anche il fatto che un’edizione della Divina Commedia, illustrata dal pittore e grafico Miroslav Cipár, è stato eletto il libro più bello dell’anno in Slovacchia nel 2019.

Quanti corsi di lingua italiana si tengono presso la sua università?

Alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Comenio di Bratislava è stato da poco attivato il Corso di laurea triennale in Italianistica. Prima del 2019 la nostra cattedra offriva solo corsi di italiano come seconda lingua romanza, per gli studenti di francese o spagnolo. Il numero dei corsi è dunque in forte aumento, tra quelli orientati sullo sviluppo della competenza linguistica e delle abilità descritte nel Quadro comune europeo, e corsi linguistica, di letteratura e di cultura italiana.

Vi sono stati negli ultimi anni dei cambiamenti in Slovacchia in particolare nei corsi di lingua italiana?

Dal nostro punto di vista il cambiamento più grande è stato sicuramente l’apertura del Corso di laurea triennale in Italianistica. Inoltre, presso il nostro dipartimento è attualmente in corso un progetto di ricerca, da me diretto, che riguarda l’apprendimento dell’italiano in contesti caratterizzati da diversità linguistica. La maggior parte degli studenti che si iscrivono ai nostri corsi di italiano conosce già una serie di lingue. Quasi tutti conoscono lo slovacco, la lingua nazionale e la lingua d’istruzione nella maggior parte delle scuole, e l’inglese, che è obbligatorio a partire dalla seconda primaria. Alcuni studenti appartengono a una minoranza linguistica, molti studiano diverse lingue straniere per interesse personale. La ricerca di settore ha ampiamente documentato le ricadute positive del multilinguismo sul cervello e il pensiero umano. Tuttavia, non è detto che tutti gli studenti riescano a trarre beneficio dal proprio multilinguismo. Può essere utile allenare le loro abilità multilingui attraverso approcci didattici inclusivi, sviluppando in particolare l’abilità di riflettere sulla lingua (la consapevolezza metalinguistica) e quella di confrontare diverse lingue (la consapevolezza cross-linguistica). Dunque, il nostro obiettivo è capire come possiamo aiutare gli studenti a sfruttare al meglio il proprio multilinguismo.

A partire da quanto scrive nel suo Tense and Aspect in Italian Interlanguage, quali sono le problematiche che si sviluppano negli studenti slovacchi o stranieri nell’apprendimento dell’italiano?

La ricchezza del paradigma verbale rappresenta sicuramente una sfida per un apprendente dell’italiano. Non si tratta solo della quantità impressionante di forme che devono essere memorizzate, ma soprattutto della ricchezza e della complessità dei significati veicolati dalla morfologia verbale.

Più precisamente, quali strutture risultano più ostiche?

Come ormai ben documentata dalla ricerca di settore, uno scoglio importante è sviluppare la sensibilità al valore aspettuale dei tempi del passato. In altre parole, capire in quali contesti vanno usate le forme verbali come il passato prossimo, il passato remoto e l’imperfetto. In generale si può dire che sono più difficili da apprendere i tratti linguistici che sono completamente nuovi per gli apprendenti, perché non sono presenti nelle lingue che già padroneggiano. Questo è osservabile anche negli apprendenti di lingua tedesca, su cui ho condotto una ricerca appena pubblicata nel volume monografico da lei citato. Il tedesco è una lingua che non esprime le distinzioni tempo-aspettuali a livello morfologico, ma attraverso mezzi lessicali, perifrastici e altri mezzi linguistici presenti nel contesto frasale. Questa differenza tra il tedesco e l’italiano si rispecchia nell’interlingua degli apprendenti. I principianti cominciano a usare i tempi verbali dell’italiano con un valore prevalentemente temporale, per collocare gli eventi sull’asse del tempo. Hanno bisogno di tempo per sviluppare una sensibilità al loro valore aspettuale.

Può farci qualche esempio?

Un esempio interessante, che ho notato di recente lavorando con gli studenti di lingua slovacca, è la sensibilità ai diversi significati aspettuali veicolati dall’imperfetto. L’opposizione tra l’imperfetto abituale e il passato prossimo (o il passato remoto) trova un riscontro diretto nello slovacco. Se traduciamo frasi come Laura diceva spesso di sentirsi sola vs. Laura ha detto/disse di sentirsi sola, in slovacco dobbiamo usare due verbi diversi per tradurre diceva e ha detto o disse. La caratterizzazione tempo-aspettuale espressa dalla morfologia verbale in italiano trova comunque un riscontro diretto nello slovacco. Infatti, gli studenti comprendono facilmente il significato abituale dell’imperfetto. È diverso il caso dell’imperfetto gnomico. La differenza tra la caratterizzazione aspettuale di situazioni come Il re governava il suo popolo con saggezza e Il re ha governato il suo popolo con saggezza è molto difficile da riprodurre in slovacco. Gli studenti hanno bisogno di parecchio tempo ed esposizione a testi di diverso tipo per cogliere questo tipo di significato aspettuale.

A questo punto, e ricollegandomi a un suo recente articolo, quanto e come influenza l’insegnamento della lingua il fatto di avere un sistema verbale diverso?

Certamente sì. Lo mostrano le ricerche di linguistica acquisizionale, gli studi sullo sviluppo delle distinzioni tempo-aspettuali nell’interlingua degli apprendenti dell’italiano e di altre lingue romanze, ma anche l’esperienza quotidiana con gli studenti. Ad esempio, quando uno studente di madrelingua tedesca finisce di raccontare la storia di Cappuccetto Rosso scrivendo Alla fine è arrivato il cacciaguida e ucideva il lupo, oltre le imprecisioni lessicali e ortografiche, salta subito all’occhio l’uso dei tempi del passato. Sembra che lo studente attribuisca al passato prossimo e all’imperfetto un valore temporale, e li usi per collocare gli eventi sull’asse del tempo. La sensibilità al loro valore aspettuale si sviluppa più tardi e parte da combinazioni prototipiche, come per esempio l’uso del passato prossimo con predicati telici. È molto diversa la situazione degli apprendenti di madrelingua spagnola, che fin dagli stadi iniziali dell’apprendimento mostrano un’acuta sensibilità al valore aspettuale dei tempi verbali.

In Slovacchia operano numerose imprese e banche italiane (Unicredit, Intesa Sanpaolo e così via): a suo parere potrebbe essere questo un dato che ha permesso di accrescere e mantenere l’interesse verso la lingua italiana?

Certamente sì. Conoscere l’italiano è sicuramente una marcia in più per coloro che ambiscono a lavorare in una delle prestigiose imprese italiane presenti in Slovacchia. In una città vicino a Bratislava, Šamorín, c’è anche un parco industriale avviato da aziende italiane, che ha dato a molte persone la possibilità di trovare un lavoro grazie alla conoscenza dell’italiano. Credo comunque che la motivazione principale per scegliere di studiare l’italiano sia l’immagine positiva dell’Italia, l’amore per l’arte e per la cultura

Oltre alla Società Dante Alighieri, vi sono altre società o associazioni che si impegnano allo stesso modo, per la diffusione della lingua italiana?

Le racconterò un aneddoto: di recente abbiamo fatto un incontro con l’Ambasciata d’Italia, dove alcuni insegnanti hanno detto che in Slovacchia ci sono varie iniziative di ONG italiane. Sono però iniziative individuali, a livello locale e gli insegnanti lamentavano proprio la mancanza di comunicazione. L’Ambasciata ci ha promesso che avrebbe cercato di mappare la situazione, per rendere il tutto più efficiente.

Che ruolo ha il governo italiano nel promuovere la lingua italiana in Slovacchia?

Un ruolo essenziale nel promuovere la lingua italiana è svolto dall’Istituto Italiano di Cultura a Bratislava, che con instancabile energia organizza corsi di lingua italiana, mostre, eventi cinematografici, presentazioni di libri, giornate dedicate alla cucina italiana, e così via. Sarebbe difficile dare un elenco completo di tutti gli eventi in corso in questo momento, alcuni dei quali online. È l’unico ente in Slovacchia che offre la possibilità di sostenere gli esami per la certificazione CILS. Ma vorrei condividere anche un’esperienza personale, per dare un’idea dell’importanza che questo istituto ha svolto nel mio viaggio verso l’italiano. Ho cominciato a studiare italiano quando andavo a scuola, negli anni Novanta. Nella mia città c’era una sola insegnante di italiano, nelle librerie erano disponibili due o tre manuali di italiano e altrettanti dizionari. Per accedere a materiale linguistico e letterario autentico, ho dovuto aspettare le vacanze estive al mare. E guai se per caso i miei genitori volevano visitare qualche altro paese! Mi ricordo bene quanto ero felice quando nel 1999 è stato riaperto l’Istituto Italiano di Cultura, con una bellissima biblioteca, una vasta gamma di corsi di italiano e la possibilità di respirare aria italiana. Non dimenticherò mai l’entusiasmo con cui nel 2001 ho cominciato a frequentare il mio primo corso presso l’Istituto.

Quale prospettive vede nell’insegnamento dell’italiano in Slovacchia? Cosa si potrebbe fare secondo lei per aumentare l’interesse nei giovani slovacchi o stranieri?
Ho l’impressione che in questo momento una buona parte dei nostri studenti scelga di studiare l’italiano per passione, per amore verso la cultura, la letteratura e l’arte, o magari perché è stato stregato da una città italiana e si innamorato dell’Italia, com’è successo anche a me a suo tempo. Ma ci vuole molto coraggio per fare una scelta di questo tipo, una forte volontà di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Per incoraggiare i giovani, a mio parere sarebbe importante fare capire in che modo la conoscenza dell’italiano può essere utile nel mondo del lavoro e, per quanto possibile, avvicinare l’insegnamento alle richieste della vita lavorativa. Naturalmente senza sacrificare troppo, o rinunciare a contenuti importanti. Un’altra strada da sperimentare sarebbe, a mio parere, cercare di ridurre la competizione tra le lingue romanze, incoraggiando i giovani a studiarne più di una. Come ci insegna la ricerca sul multilinguismo, conoscere una lingua romanza facilita notevolmente lo sviluppo di abilità ricettive, ma anche di quelle produttive, in un’altra lingua della stessa famiglia. Sarebbe bello se i nostri studenti potessero essere competenti in tutte e tre le lingue che offre il nostro dipartimento (l’italiano, il francese e lo spagnolo), invece di sceglierne una sola.

anna.raimo@live.it

L'autore

Anna Raimo
Anna Raimo è nata a Pisa il 25 dicembre 1995. Laureata magistrale con il massimo dei voti in Linguistica e didattica dell’italiano nel contesto internazionale presso l’Università degli Studi di Salerno e l’Universität des Saarlandes di Saarbrücken, ha in seguito conseguito un Master di II Livello in Didattica dell’Italiano L2 presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. I suoi interessi di ricerca spaziano dalla linguistica e didattica della lingua italiana alla storia, letteratura e poesia contemporanea. Si è infatti occupata dell’italiano dei semicolti nella sua tesi di Laurea Magistrale e ha recentemente pubblicato un articolo su una particolare varietà della lingua italiana: "L’e-taliano: uno scritto digitato semifuturista?", in (a cura di S. Lubello), Homo scribens 2.0: scritture ibride della modernità, Franco Cesati Editore, Firenze 2019, pp. 159-164. Tra i suoi autori preferiti vi sono Mario Vargas Llosa, Jung Chang, Philip Roth, Azar Nafisi, Orhan Pamuk, Anna Achmatova, Rainer Maria Rilke, Federico García Lorca, Alda Merini, Bertolt Brecht e Wisława Szymborska. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura di poesie e i viaggi, soprattutto in Germania, paese di cui adora la storia, la cultura, l’arte e i magnifici castelli.