Quando la società espelle da sé i criminali, i malati mentali,
in generale coloro che le danno fastidio, è invincibile
(Anton Cechov)
Il titolo va letto così: il folle sta al dettaglio come la società sta al sistema. Ovvero folle non è aggettivo ma sostantivo. Avrei dovuto mettere una parentesi intorno a dettaglio e un’altra intorno a sistema ma l’ambiguità mi è sembrata utile ad ampliarne ulteriormente il senso. Il sottotitolo si chiarirà più avanti. Il sistema in questo caso è la società, con le sue norme di convivenza, implicite ma più o meno condivise e osservate. Un sistema umano dunque o antropologico, nelle accezioni più ampie. Il dettaglio è invece il singolo, l’individuo, quello che rispetto al sistema costituisce uno scarto dovuto a un disagio psichico. Lo scarto potrebbe costituirlo anche un ribelle o un intellettuale, ma nel caso del paziente psichiatrico è una deviazione non voluta (come invece il ribelle) e non necessariamente consapevole (come invece l’intellettuale).
Il sistema è dunque la società dei sani, il dettaglio è l’individuo, la scheggia, il cuneo, la crepa, che mina il sistema (da dentro o da fuori). Certo è che gli spazi della cura sono dei micro-sistemi, diversi ma interni a quello grande, separati o meno, questo è il punto nodale dopo Basaglia. Inoltre se pensiamo al sistema come a un liquido e al dettaglio come una goccia e le cose si complicano… (Gadda parlava di “gnommeri”). Separare i matti dal resto della società serve a proteggere, una delle funzioni comuni al carcere, il resto della società, ma anche, a differenza del carcere, chi vi si trova dentro. Salvo che (nel comune immaginario) il paziente psichiatrico non vuole, proprio come un detenuto penitenziario, essere trattenuto nella struttura. Ma il detenuto si affida ad un avvocato, il paziente ad un medico e più in generale alla scienza. Il paziente non psichiatrico di solito non dubita della propria malattia e della bontà della cura, spera che la prima passi in fretta e che la seconda funzioni. Invece il detenuto psichiatrico (sempre nell’immaginario collettivo) dubita delle ragioni della propria reclusione e si affida o non si fida delle cure del medico psichiatra.
Prendo spunto da Stephen Zweig – autore tra l’altro di Amok, racconto mozzafiato con medico protagonista – per evocare il padre della psicoanalisi, uno “scomodo intruso”.
Avevo conosciuto Sigmund Freud, questo grande e forte spirito, che più di ogni altro nell’epoca nostra ha approfondito e ampliato la nostra conoscenza dell’anima umana, a Vienna, ancora nei tempi in cui era osteggiato e considerato un ostinato originale caparbio. Fanatico della verità, ma in pari tempo ben conscio della limitazione di ogni verità – mi disse una volta: “non esiste una verità al cento per cento, come non esiste l’alcol al cento per cento”, – si era straniato dall’Università e da ogni saggia prudenza accademica per il modo impassibile con cui aveva osato penetrare nelle zone sino ad allora impraticate e paurosamente evitate del mondo terreno e sotterraneo degli istinti, in quella sfera cioè che in quel tempo era solennemente proclamata “tabù”. Inconsciamente il mondo ottimista e liberale sentiva che questo spirto, alieno da ogni compromesso, con la sua psicologia del profondo andava inesorabilmente sgretolando la tesi di un graduale superamento degli istinti per opera della ‘ragione’ e del progresso’, con la propria tecnica spietata del disvelamento, rappresentava un pericolo per il metodo di chi preferiva ignorare le cose incomode. Ma non fu l’università soltanto, non soltanto la cricca degli psichiatri di vecchia scuola a unirsi contro lo scomodo intruso, fu il mondo intero, il vecchio mondo, la vecchia mentalità, il convenzionalismo morale, fu insomma l’epoca intera che paventò in lui il disvelatore (Zweig, Il mondo di ieri, 1942).
Freud è di centrale importanza per il nostro discorso perché cambia la percezione del mondo (e di riflesso della letteratura, basti qui nominare Francesco Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino, Einaudi, 1965) a partire da un punto di vista medico. È utile di tanto in tanto istituire delle genealogie: Freud fu allievo di Charcot, che fu maestro anche di Axel Munthe (medico scrittore, autore del romanzo La storia di San Michele). E coetaneo di Charcot fu Paolo Mantegazza, figura oggi dimenticata, almeno in ambito letterario e messa in ombra dal più quotato Lombroso, ma di riferimento essenziale, ai suoi tempi, in campo medico, fisiologico e neurologico. Primo cattedratico di antropologia d’Europa, e anche scrittore, Mantegazza, che tra le altre cose rispose al Cuore di De Amicis con un polemico Testa, ribattezzò l’Ottocento “secolo nevrosico”.
Il nostro secolo è sapiente ma non felice. – Prova del nervosismo generale – carattere particolare di tutte le malattie. Il secolo XIX è malato d’ipocondria –. Carattere ipocondriaco della nostra critica. Il secolo XIX è anche brontolone. – L’alcool è il suo bilancio passivo. – Il tabacco e i suoi malanni. – Il morfinismo Il nostro secolo fu già battezzato molte volte, ma non sempre bene… Fisicamente il secolo XIX è nevrosico. Moralmente è ipocrita. Intellettualmente è scettico. (Paolo Mantegazza, Il secolo nevrosico, 1887).
- Nei reparti di psichiatria con Cechov (e Redaelli)
Perché mettere a confronto Reparto numero 6 di Anton Cechov, 1892 e Beati gli inquieti di Stefano Redaelli, 2021? Quali sono gli elementi che li accomunano? Alla base degli studi tematici e della comparatistica c’è la ricerca delle convergenze ma anche delle divergenze; è un approccio, quello del comparatista, che sollecita la mente a istituire i confronti. Claudio Guillen dice: “La disposizione d’animo del comparatista, ciò che gli permette di affrontare una tale impresa è la coscienza di certe tensioni fra il locale e l’universale; o se si preferisce tra il particolare e il generale” (Guillen, L’uno e il molteplice. Introduzione alla letteratura comparata, il Mulino, Bologna, 1992). Guillen per spiegare l’accezione del termine “comparate” ne traccia una storia, rifacendosi a René Wellek, e includendo titoli provenienti da un altro campo del sapere, che è proprio quello medico: Anatomie comparée di Georges Cuvier, 1800 e Principes d’anatomie comparée di Ducrotay de Balinville, 1822. Inoltre ho in mente la tematizzazione, come la intende Massimo Fusillo, nel capitolo “Ritorno della critica tematica e le tendenze della tematologia”, in L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, Firenze, La Nuova Italia, 1998.
Cechov, seppure laureato in medicina, non esercitò la professione medica, ma nel 1892, proprio l’anno della prima pubblicazione di questo romanzo breve sulla rivista «La pensée russe», si rese utile nella campagna contro il colera (come Axel Munthe a Napoli). Inoltre nel 1890 aveva compiuto un viaggio in Siberia, nell’isola di Sakhaline, luogo di detenzione ai lavori forzati, risiedendovi tra aprile e ottobre. Fece un censimento della popolazione e schedò i detenuti, ricordandolo come luogo di sofferenze insopportabili. Il testo narrativo su cui focalizziamo l’attenzione risente di quell’atmosfera.
In incipit una zoommata sul padiglione psichiatrico, vetusto, logoro e sconnesso (pensiamo questa volta a Gli oggetti desueti, di Francesco Orlando). Poi la descrizione dei cinque pazienti del reparto in abito da camera blu, un dettaglio da tenere a mente. Segue la focalizzazione sul paziente Gromov con anamnesi e poco dopo la focalizzazione sul medico Raguine, la sua biografia e le sue abitudini. Al paziente Gromov e al medico Raguine è dedicata analoga attenzione, sono pertanto messi sullo stesso piano. Di Gromov il narratore dice che legge moltissimo, dorme poco, mangia poco, non regge l’alcool, non riesce a fare amicizie, soffre di manie di persecuzione, il suo adagio è: “L’atmosfera in città è irrespirabile”. Di Raguine che manca di volontà, una debolezza del carattere che gli sarà fatale: “apprezza l’intelligenza e l’onestà ma ordinare, impedire e insistere non lo sa fare”; che sembrava destinato alla carriera ecclesiastica e che voleva essere un intellettuale: “Mio padre mi ha fatto avere un’ottima istruzione, ma, influenzato dalle idee degli anni Sessanta mi ha obbligato a fare medicina. Penso che se non lo avessi ascoltato, sarei oggi perfino al centro del movimento intellettuale. Sarei probabilmente professore di Università da qualche parte”. È pertanto dichiaratamente un personaggio-medico forzato e un intellettuale mancato. Questo personaggio, Raguine, medico nei fatti, intellettuale nello spirito, è dunque un alter ego speculare dell’autore, che, ripeto, non esercitava la professione del medico. Cosa che lo accomuna ad altri medici scrittori, come Carlo Levi, anche lui medico mancato ma intellettuale e artista, che mette in scena nel Cristo si è fermato a Eboli un protagonista idolatrato dalla comunità contadina in cui si trova ad esercitare, suo malgrado, la professione medica.
Nel Reparto numero 6, altri personaggi sono il guardiano Nikita, la cameriera Daria, l’amico Averianitch, l’assistente medico Kobotov. Il climax è costituito dai dialoghi tra il medico Raguine, che ha preso a frequentare il reparto e il paziente Gromov. Questi, giovane e colto dice: “Sì, sono malato. Ma centinaia di pazzi camminano in libertà perché la vostra ignoranza è incapace di distinguerli dai sani. Perché questi sfortunati e io dobbiamo essere chiusi qui per tutti gli altri?”. Il medico ribatte che finché ci saranno manicomi e carceri alcuni staranno dentro, ma che un giorno chiuderanno: “Non si curano più gli alienati con docce fredde e camicie di forza; li si tratta umanamente e gli si organizza (come dicono i giornali) spettacoli e balli”.
È stupefacente trovare queste affermazioni in un romanzo di fine Ottocento se pensiamo che Basaglia 40 anni fa denunciava i maltrattamenti ad opera di medici e personale sanitario ai danni dei pazienti psichiatrici nelle strutture pubbliche (pratiche tra cui lo “strozzino”, uno straccio bagnato sulla testa del paziente e chiuso alla gola fino a fargli perdere i sensi). Basaglia scriveva: “Un malato, ricoverato in qualsiasi reparto di ospedale civile – se non è dozzinante di prima – è certo di essere in balia degli umori del medico, che può sfogare su di lui aggressività a lui completamente estranee” (L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, Einaudi, Torino, 1968).
Tornando a Cechov, il narratore conclude (illudendosi?) che l’abominio della sala numero 6 (o corsia, a sencoda delle traduzioni) è possibile solo in un posto così periferico, a causa di semi-ignoranti. Su questo insiste spesso il personaggio medico, la mancanza di intelligenza, la pochezza intellettuale dei compaesani. Il giorno seguente (il presente del racconto si dilata) Raguine torna a salutare il paziente che però è offeso e arrabbiato e gli dice innanzitutto che non è suo amico. Il paziente – persa la nozione del tempo, come capita ai malati, come succede anche al protagonista del romanzo di Redaelli, prima spia dell’ibridità del ruolo di osservatore e di paziente (il passaggio o meglio la promiscuità da un ruolo all’altro è in effetti l’elemento comune più sorprendente in questi due romanzi) – chiede che mese sia. È marzo, dunque se non fosse recluso gli piacerebbe fare una passeggiata in campagna, poi tornare a casa in uno studio caldo e farsi curare il mal di testa da un buon medico. Aggiunge che è troppo tempo che non vive in condizioni umane, che la situazione in cui vive è intollerabilmente ripugnante. Il medico risponde che la pace dell’uomo non si trova fuori ma dentro di sé. Il paziente ribatte che questo lo può andare a dire in Grecia dove c’è il profumo dei fiori d’arancio, non in Russia, e nomina Diogene, che, a suo dire, diceva quello che diceva perché viveva in Grecia, se fosse vissuto in Russia non l’avrebbe detto. Il medico ribatte che deve pensare positivo. Il paziente risponde:
Dio mi ha fatto di sangue caldo e nervi; un tessuto organico se atto alla vita deve reagire a ogni sollecitazione. Al dolore reagisco con grida e lacrime, alla viltà con indignazione, alle bassezze con disgusto [notiamo un’attenzione alla correttezza morale del paziente, elemento comune a molti personaggi pazienti psichiatrici]. Questo è secondo me vivere. Più un organismo è inferiore meno è sensibile e più debole la risposta alle sollecitazioni, più è superiore, più è ricettiva e energica è la sua reazione alla realtà.
Il medico gli dà ragione e dice che infatti gli Stoici, che volevano tenere emozioni e sensi a bada, si sono estinti duemila anni fa. Il paziente fa una descrizione ipotetica della vita agiata condotta dal medico Raguine, senza sofferenze a partire dal fatto che a differenza di lui non è stato picchiato dal padre, ma anzi è cresciuto sotto la sua ala protettrice (conosciamo l’importanza dei ruoli familiari dalla psicoanalisi).
Le visite del medico al paziente, che costituiscono, come dicevamo, il climax in una sorta di presente dilatato della narrazione, un giorno hanno termine. L’assistente medico Kobotov si mette in ascolto, dietro la porta della sala numero 6 e sente il medico dire al paziente: “Lei è un uomo intelligente, io sto bene in sua compagnia”. Kobotov sintetizza: “Ho l’impressione che il nostro vecchio abbia perso la testa”. Siamo giunti alla crisi in cui l’equilibrio si rompe e da quel momento tutto cambia. Il sistema dei personaggi ha individuato l’elemento deviante; la società sistema si accanisce contro il folle dettaglio (ora il titolo acquista senso).
Con un ritmo incalzante e asfissiante, (come non pensare al Processo di Kafka e ai Sette piani di Buzzati) si susseguono le seguenti tappe:
1) Raguine si vede trattato in modo diverso da tutti gli altri personaggi. È convocato in Municipio, dove una commissione è incaricata di verificarne le facoltà mentali. Prova per la prima volta pietà per la medicina “non sanno nulla di psichiatria”. Si sente offeso e furioso (come il paziente Gromov). Va in viaggio con l’amico Averianytch, un viaggio di sofferenza.
2) Rientrato dal viaggio riceve una lettera di pensionamento, viene espropriato della casa di servizio, è colto da un accesso d’ira.
3) Portato con l’inganno in ospedale da Kobotov, viene lasciato nel reparto numero 6, gli viene consegnata la veste da camera blu, nel tentativo di uscire dal reparto viene picchiato violentemente dal guardiano Nikita, muore sul proprio letto all’interno del reparto numero 6.
La visione del mondo del medico Raguine seppure avvenieristica non lo salva dalla spirale in cui viene avvolto. Il passaggio di ruolo da medico a paziente gli è stato fatale.
Medico e paziente sono presentati fin dall’inizio senza gerarchie, ognuno con il suo corredo di pregi e difetti, punti di forza e debolezze. Il lungo antefatto, l’anamnesi che evidenzia i due personaggi principali, è propedeutico al climax, il dialogo alla pari fra medico e paziente, che costituisce il presente della narrazione e la causa del post-factum. Il medico è costretto a indossare i panni del paziente psichiatrico, la società prima lo isola e poi lo respinge.
Veniamo all’oggi con il romanzo di Stefano Redaelli. Il protagonista, visitatore-ricercatore in un centro di riabilitazione psichiatrica, per meglio studiare la situazione, d’accordo con la direttrice del centro, si finge paziente, vi pernotta e assume medicine placebo. Nel finale, con le dimissioni dal centro per guarigione e una lettera della psichiatra all’editore, scopriamo che il protagonista è in realtà un paziente a cui, per fini terapeutici, si è fatto credere di non esserlo.
Se in Cechov il protagonista Andrej Efimyc Raguine, medico, che aveva l’aria del prete, che avrebbe voluto essere un intellettuale, alla fine diventa paziente; in Redaelli Angelantonio Poloni, visitatore, ricercatore universitario, scrittore, alla fine si scopre essere un paziente. In Cechov la narrazione è in terza persona, mentre in Redaelli in prima; entrambi i narratori sono prossimi ai protagonisti e informati quanto loro degli eventi che man mano si dipanano, sorprendendo il lettore.
Per quanto riguarda la comunità di pazienti, in Cechov abbiamo cinque pazienti e il medico-paziente, specularmente a Redaelli dove troviamo cinque pazienti e il ricercatore-paziente. In Cechov il rapporto del medico è molto stretto e alla pari con uno dei pazienti; similmente in Redaelli il personaggio ricercatore (visitatore esterno) ha rapporti alla pari con tutti i pazienti. Il rapporto con il personale paramedico è problematico: nel Reparto numero 6 è di totale mancanza di fiducia, i pazienti vengono sistematicamente derubati, il guardiano Nikita è violento con i pazienti e alla fine del racconto anche con il medico Raguine divenuto paziente; in Beati gli inquieti l’infermiera Alessandra ha un comportamento altalenante con il protagonista, capiamo poi che è alla pari quando lo considera un visitatore, gerarchico e duro quando lo considera un paziente. Infine il rapporto con il medico psichiatra: in Cechov il medico è il protagonista o co-protagonista, insieme ad uno dei pazienti e alla fine del racconto il medico divenuto paziente perde la fiducia nei medici e nella medicina; in Redaelli è basato sul sospetto, e con una serie di sfide e patti; solo alla fine, con un colpo di scena, il lettore è informato sul fatto che il narratore protagonista è un inconsapevole paziente.
La società sistema è dunque contrapposta al folle dettaglio? In entrambi i casi la rappresentazione è fatta grazie all’escamotage dello scambio di ruoli. Nell’Ottocento russo il medico soccombe alla logica del capro espiatorio e diventa paziente; il sistema, individuato il dettaglio deviante, lo esclude e lo rende impotente; il folle dettaglio è estromesso dalla società sistema. Il romanzo di Cechov propone una visione avanguardistica e insieme denuncia lo stato delle cose. Nel Duemila italiano di Redaelli il visitatore è in realtà un paziente, ma l’inganno è a fin di bene e la terapia guarisce il paziente; il deviante, grazie alla terapia, può tornare nella società; il folle dettaglio (inconsapevole) è reintegrato nel sistema. Il romanzo di Redaelli, proponendo una visione mista, dal punto di vista del paziente e poi nel finale del medico, fotografa dall’interno, senza attaccarla, la gestione attuale del disagio mentale in Italia.
Teniamo conto che tra i due, oltre alle mille cose che li separano, c’è stato Basaglia, con la sua riforma del 1978 che ha chiuso i manicomi in Italia.
Da noi, il deviante, come colui che si trova al di fuori o al limite della norma, è mantenuto all’interno dell’ideologia medica o di quella giudiziaria che riescono a contenerlo, spiegarlo e controllarlo. Il presupposto qui implicito che si tratti di personalità abnormi originarie, ne consente l’assorbimento nel terreno medico o penale, senza che la devianza – quale concreto rifiuto di valori relativi, proposti e definiti come assoluti e immodificabili – intacchi la validità della norma e dei suoi confini. In questo senso l’ideologia medica o quella penale servono qui a contenere, attraverso la definizione di abnormità originaria, il fenomeno, trasponendolo in un terreno che garantisca il mantenimento dei valori di norma. Non si tratta di una risposta tecnica ad un problema di carattere specialistico, quanto piuttosto di una strategia difensiva, tesa a mantenere lo status quo, a tutti i livelli. La scienza, in questo caso, assolve il proprio compito, fornendo codificazioni ed etichette che consentano la netta separazione dell’abnorme dalla norma. (Franco Basaglia – Franca Basaglia Ongaro, La maggioranza deviante. L’ideologia del controllo sociale totale, Einaudi, Torino, 1971).
Per smantellare le istituzioni psichiatriche Basaglia menzionava tra le possibili alternative: “Tentare di estendere la nostra azione alla discriminazione ed esclusione che la società ha imposto al malato mentale” e si domandava: “Come non risalire dall’escluso all’escludente?” (Franco Basaglia, L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, Einaudi, Torino, 1968).
Autore e titolo: (C) Cechov, Reparto numero 6; (R) Redaelli, Beati gli inquieti
Anno di pubblicazione: (C) 1892; (R) 2021
Durata: (C) Alcuni anni; (R) Tre settimane/tre anni
Geografia: (C) Piccolo Centro, Russia; (R) Piccolo centro, Italia
Luoghi di degenza: (C) Un reparto di psichiatria in un ospedale, Reparto numero 6; (R) Una struttura di riabilitazione psichiatrica, Casa delle farfalle
Rapporto con l’esterno: (C) Nessun rapporto; (R) Rari rapporti di alcuni pazienti
Rapporto con la comunità di pazienti: (C) Amichevole basato sulla reciprocità fino alle esterme conseguenze; (R) Amichevole basato sulla reciprocità ma inconsapevole di farne parte
Rapporto con il personale para-medico: (C) Variabile a seconda del ruolo assunto dal protagonista; (R) Altalenante, solo alla fine se ne capiscono le ragioni
Rapporto con l* psichiatra: (C) Il protagonista è il medico, dell’assistente e del nuovo psichiatra non ha stima; (R) Basato sul sospetto reciproco
Finale: Medico e paziente: (C) Il medico diventa paziente; (R) Il narratore si scopre paziente
- Il narratore-paziente e la separazione degli spazi della cura nella letteratura italiana recente
Spostandoci su un terreno prettamente italiano degli ultimissimi anni, proseguiamo con Basaglia:
1) Il malato, lo psichiatra, l’infermiere
Quello che si rileva subito è che il malato non esiste (anche se sarebbe lui il soggetto della finalità dell’intera istituzione), fissato com’è in un ruolo passivo che lo codifica e insieme lo cancella. Ma ciò che inoltre non si riesce ad individuare è il ruolo dello psichiatra e dell’infermiere» (Franco Basaglia, Che cos’è la psichiatria?, 1967)
2) Il malato deve avere il ruolo di protagonista
Se infatti la finalità dell’Istituto non è esplicitamente la figura del malato, l’intera organizzazione viene svuotata di significato: che può, però, immediatamente riassumere nel momento in cui venga riconosciuto al malato un ruolo (Ibidem)
3) Reciprocità tra malato e psichiatra
In questa prospettiva, il primo passo indispensabile è il raccorciamento della distanza che lo separa dagli altri ruoli […] Su questa base può essere instaurato con il malato un rapporto reale che parta da una reciprocità finora negatagli (Ibidem)
4) Stop alla gerarchia: medico, infermiere, paziente
Tuttavia sarà questa reciprocità a mettere in discussione il ruolo autoritario dell’infermiere e del medico […] Se la reciprocità dei ruoli tende a negare ogni gerarchia, allora avviare un tale tipo di rapporto con il malato, significa minare il principio autoritario-gerarchico su cui l’intera organizzazione ospedaliera si fonda (Ibidem)
Negli ultimissimi anni nella narrativa italiana stiamo assistendo a una sorta di coming-out psichiatrico. Si avverte la voglia di dichiarare il disagio psichico, di farlo accettare al lettore e alla società. Ci sono romanzi di medici, come il tanto discusso L’arte di legare le persone di Paolo Milone, e di giornalisti, come quello di Matteo Spicuglia, che dopo aver seguito da vicino la vicenda di Andrea Soldi, una vittima del sistema, lo ha raccontato in Noi due siamo uno, entrambi del 2021. E ci sono romanzi di pazienti o che assumono la voce dei pazienti. Abbiamo optato qui per una focalizzazione sul narratore-paziente (dove paziente sostantivo e non aggettivo). Mettiamo a confronto tre romanzi italiani odierni che hanno in comune la malattia, la cura e la degenza psichiatrica: Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, 2019; Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza, 2020; Stefano Redaelli, Beati gli inquieti, 2021.
Numerose le convergenze tra questi tre romanzi:
- Data di pubblicazione: recentissima
- Geografia: Italia centrale
- Luoghi di degenza: ospedali e cliniche
- Durata: anni, mesi, giorni
- Narratore: prima persona
- Protagonista: nei panni del paziente
- Rapporto con l’esterno: interrotto
- Rapporto con lo psichiatra: fiducia e sospetto
- Rapporto con la comunità di pazienti: amicizia
- Rapporto con il personale para-medico: il più difficile
Inoltre rileviamo alcune convergenze post-Basaglia: 1) Il personaggio nel ruolo del paziente in questi romanzi è narratore e protagonista. 2) C’è inizialmente uno sguardo reciprocamente sospettoso tra paziente e medico. 3) Il paziente, talvolta inizialmente diffidente, instaura un fortissimo legame con il microcosmo di pazienti.
Il contesto è blindato: una piccola comunità di pazienti psichiatrici separata dal resto della società da un edificio dal quale non si esce senza permesso. Basti pensare al soggiorno forzato del protagonista del romanzo di Mencarelli, sottoposto a un TSO (trattamento sanitario obbligatorio), al portone blindato dell’ospedale Luigi Lolli in cui per dieci anni soggiorna Bonfiglio Liborio e all’inganno con il quale Angelantonio Poloni è trattenuto nella Casa delle Farfalle.
Altro elemento comune è il rapporto che lega il personaggio-medico al personaggio-paziente. Lo sguardo reciprocamente sospettoso tra paziente e psichiatra. Quello del protagonista in realtà si amalgama solo in parte con la comunità di cui fa parte, è più informato, è la voce che comunica con il lettore, ma anche il tramite tra pazienti e, nel gergo odierno, il “personale medico” e “para-medico”.
I personaggi medici psichiatri e i pazienti psichiatrici sono contrapposti o complementari? Certo è che nei tre casi il punto di vista è quello del paziente e non quello del medico e già questo è un elemento significativo e nuovo nel post-Basaglia. Se ci atteniamo al capostipite della serie, seppur non internato in un istituto, Zeno Cosini, il paziente insinua nel lettore il dubbio che sia la società ad essere malata, che il medico sia un aguzzino e che il paziente abbia il solo difetto di essere più consapevole degli altri, seppure di una consapevolezza sofferta, patologica. Il caso di Zeno è al limite tra il personaggio intellettuale e il personaggio paziente.
L* psichiatra ha una funzione salvifica nei confronti del “sistema dei personaggi”? Non completamente, ha perso (rispetto ad es. ai personaggi medici di Axel Munthe e Carlo Levi) l’aurea taumaturgica. È una figura guardata con sospetto ma sostanzialmente amica (seppure l’ambiguità del giudizio non sia mai del tutto eliminata). In un rapporto alla pari con il personaggio paziente basato sulla reciprocità lo aiuta a superare le sue difficoltà e a reintegrarsi nel macrocosmo società.
Possiamo parlare di una funzione terapeutica degli Istituti della cura psichiatrica post-Basaglia? In questi tre romanzi recentissimi gli istituti della cura psichiatrica, seppure separino dal resto della società (e le condizioni materiali siano ben più limitate di quelle dello stile di vita esterno) sono percepiti nel loro insieme come ambienti amici e non ostili che, nella loro essenzialità, accolgono il narratore-paziente in un habitat ristretto nel tempo e nello spazio.
La parità nei rapporti tra medici, para-medici e pazienti è propedeutica alla reintegrazione nel sociale dell’elemento deviante? La sottrazione alla vita pubblica, in un tempo e in uno spazio limitati, riabilita alla vita in società. I romanzi degli ultimi anni denunciano la sofferenza psichiatrica ma non denunciano gli psichiatri. L’assenza di gerarchia, la reciprocità dei ruoli, auspicata da Basaglia, è rappresentata come una realtà nella narrativa recente; la promiscuità dei ruoli all’interno degli spazi della cura psichiatrica si rivela propedeutica alla reintegrazione nel sociale dell’elemento deviante. Come è noto, Basaglia non era favorevole al trattamento sanitario obbligatorio (quando una persona viene sottoposta a cure mediche contro la sua volontà, generalmente attraverso il ricovero forzato presso reparti di psichiatria di ospedali pubblici) ma era l’unico modo per superare la “Disposizione sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati”, ovvero la legge Giolitti, in vigore in Italia dal 1904. Il TSO andrebbe oggi rivisto, i tempi sono maturi, chissà cosa ne pensano gli psichiatri, i pazienti e cosa ne pensa la società.
Autore e titolo: (RA) Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio; (ME) Mencarelli, Tutto chiede salvezza; (RE) Redaelli, Beati gli inquieti
Durata del romanzo: (RA) Nei titoli dei capitoli, 84 anni, romanzo storico dal 1926 al 2010; (ME) 1 settimana, anni Duemila; (RE) 3 settimane /3 anni, anni Duemila
Geografia: (RA) Italia centrale, Imola; (ME) Italia centrale, Roma; (RE) Italia centrale, Abruzzo
Ambientazione: (RA) (1977-1986) 1/8 della vita del protagonista, nell’ospedale psichiatrico provinciale pre-Basaglia Luigi Lolli; (ME) Esclusivamente all’interno di un reparto di psichiatria post Basaglia. Il romanzo coincide con il ricovero; (RE) Quasi esclusivamente nella struttura di recupero psichiatrico post Basaglia Le Farfalle
Narratore: (RA) Prima persona, paziente; (ME) Prima persona, paziente; (RE) Prima persona, paziente
Rapporto con il personaggio psichiatra: (RA) Ottimo, basato sulla fiducia e reciprocità; (ME) Distante; (RE) Ambiguo, basato sul sospetto, assenza di gerarchia
Rapporto con la comunità di pazienti: (RA) Aconflittuale, e stretto con un personaggio che muore suicida; (ME) Intenso, con una leggera ritrosia iniziale, poi diventa cameratesco nonostante svariati eventi drammatici; (RE) Alla pari, con desiderio di integrazione, ma basato sull’inganno (il narratore non è chi dice di essere, ma non lo sa)
Rapporto con l’esterno: (RA) Inesistente durante i 10 anni di permanenza in manicomio; (ME) Inesistente durante la degenza di 1 settimana nel reparto di psichiatria; (RE) 1 sola uscita dall’Istituto nell’arco di 3 settimane / 3 anni
Percezione dello spazio di degenza: (RA) Positiva, presenza di giardino; (ME) Sensazione asfittica, reparto stretto, poco curato; (RE) Non negativa, sistemazione in camere
Rapporto con la società: (RA) Variabile a seconda delle fasi della vita, vittima a causa di un’infanzia difficile, in galera prima che in manicomio: solitudine; (ME) La società non è al corrente dei disturbi psichiatrici del protagonista che li manifesta in famiglia; (RE) Da sognatore, poco realistico e generalmente inconsapevole.
Finale: (RA) Esce anche se sarebbe voluto restare; (ME) Esce salutando con commozione gli altri pazienti; (RE) Esce rimanendo inconsapevole dell’essere un paziente.
Vorrei concludere con alcune citazioni dal menzionato romanzo di Remo Rapino che tematicamente si riallacciano alle precedenti citazioni da Basaglia. Ecco come, attraverso la voce del “cocciastorte”, è descritto il manicomio:
Per come mi ricordo il manicomio era proprio una città dove ci stava tutto e ci stava gente di tutti i tipi, che uno non doveva aver paura di quelle persone che erano solo un pochetto strane, anzi molti facevano pure ridere se uno li sapeva prendere alla giusta, che quelli pericolosi stavano nella zona dell’Osservanza e noi matti a mezzo non li potevamo incontrare mai, manco per sbaglio, li vedevi certe volte solo da lontano, ma si vedevano solo gli occhi, i capelli ritti come spaghetti crudi e le bocche sgangate, e allora si capiva perché facevano paura e stavano legati all’osservanza, che poi tra noi matti normali e loro matti speciali ci stava pure una rizza alta alta che non la poteva zombare neanche uno come quel russo Brumello Valerio che aveva vinto le Olimpiadi.
Per i giardini e i corridoi dello spedale, tu vedevi persone normali, uguali a te come se stavi in giro per una città, solo che là tutto intorno c’era un muro alto con un filo spinato ma non tanto doppio e un portone che pesava una tonnellata tutto di ferro, se no per il resto era quasi similare a una città di cristiani normali.
Ecco come il “fuori di cervello” vede il rapporto con lo “scavacervello”, secondo quel principio della reciprocità dei ruoli di cui parlava Basaglia.
Era come se giocavo a fare pure io il dottore Mattolini, che senza farsi vedere mi guardava dalla sua vetrata, io lo vedevo che mi guardava ma facevo finta di no e pensavo tra me e me che ne doveva mangiare di pane il dottore Mattolini Alvise per arrivare al mio livello, che quando ci salutavamo dopo le sedute, che si potevano fare però pure in piedi, mi diceva sempre con un sorrisetti Ehi però mica è tanto fuori questo Bonfiglio Liborio”.
Adesso vuole fare pure il medico il nostro Liborio, e mi chiamava dottor Bonfiglio, che anche se sapevo che lui scherzava a me mi faceva piacere di diventare per un poco dottore” (…) che là dentro a distinguere i matti veri dai dottori veri mica era tanto facile.
Ecco infine cosa il “cocciamatte” dice di Basaglia:
Il dottore Mattolini Alvise mi disse Amico mio e non me l’aveva mai detto prima di allora quella parola dell’amicizia, e cercava di farmi capire che forse mi stavo proprio impazzendo se non volevo uscire da quel posto che alla fine era solo un manicomio anche se funzionava bene, ma sempre manicomio era, e che ci stavano nuove leggi che aveva fatto un medico bravo bravo che si chiamava Basaglia, e che se c’era Basaglia al posto suo di sicuro mi faceva uscire e di corsa pure, che io non ero mai stato matto ma solo sfortunato.
L'autore
- Ilaria de Seta si è formata all’Università di Napoli Federico II, ha perfezionato gli studi all’University College Cork e insegnato all’Université de Liège. Attualmente vive a Bruxelles, è Research Associate alla Katholieke Universteit Leuven e Freelance Editor presso la casa editrice Peter Lang. Ha dedicato numerosi studi alla rappresentazione dello spazio nella narrativa otto-novecenetesca e alla parabola intellettuale di Giuseppe Antonio Borgese. Ultimamente si sta concentrando sull'opera di Federigo Tozzi e sulla rappresentazione di medici e pazienti nella letteratura europea moderna e contemporanea.
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2 thoughts on “Il folle dettaglio e la società sistema. Nell’Ottocento russo di Cechov e nella narrativa italiana post-Basaglia”
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