L’ultimo libro di poesie di Giulio Mozzi si intitola Il mondo vivente (LietoColle-Pordenonelegge, 2020). Il titolo probabilmente ha a che fare col fatto che i testi si incentrano su momenti di vita condivisi con persone care e ormai scomparse, e altri momenti che riguardano più specificamente solo l’autore, riportati in vita attraverso il filtro della memoria. Il libro è attraversato da un’inclinazione elegiaca e malinconica derivante dalla rievocazione insistita di scene dell’infanzia, tendenza che però è molto efficacemente equilibrata da uno specifico uso del linguaggio – sintassi priva di orpelli, termini comuni appartenenti al linguaggio quotidiano, termini tecnici specifici – e dalla presenza quasi costante nei diversi componimenti di rimandi sintetici e perentori allo svanire delle cose e delle persone, quindi alla realtà cruda e invincibile della morte, che poi è l’esperienza centrale della vita, quella che accomuna tutti gli esseri viventi nessuno escluso («L’aveva sul comodino, / in ospedale quando morì», p. 32; «Mio padre morì in giugno», p. 46; «Mia madre morì quell’anno, il 25 maggio», p. 49; «Cenammo in silenzio poi aggiunse: / “sono un povero vedovo”», p. 61).
La compattezza tematica e il tema costante del ricordo di quanto ormai non è più e della morte lasciano pensare che Il mondo vivente sia per l’autore un tentativo di elaborazione di un vissuto decisivo, una via artistica di attraversamento di una certa fase esistenziale certamente critica in cui si guarda più facilmente indietro che avanti e i ricordi più significativi, magari sepolti da tempo, riemergono anche involontariamente («La mia fatica, oggi, è scrivere / di ciò che è esistito / e non esiste più», p.81).
Il processo elaborativo, come in un diario, avviene tramite la descrizione puntuale e intrisa di affetto di persone, momenti di vita domestica, ambienti, abitudini, oggetti, spezzoni di dialoghi, a volte anche incontri casuali, che hanno segnato la vita di chi scrive: il padre innanzitutto, che si staglia credo come la figura centrale del libro, e subito dopo la madre, e poi fratelli, nonni, zii e altre persone ancora.
Il libro è in qualche modo spurio, se così si può dire, nel senso che è contaminato (nel senso migliore del termine) dalla realtà: accompagnano o si intervallano alle poesie vecchie foto di persone care, stralci di quaderni di scuola, copertine e figure di libri, schemi e disegni, stampe da archivi ecc. È come se Mozzi volesse dare ancora più corpo alla realtà di ciò che è stato, e che riaffiora nella mente come ricordo astratto, attraverso l’ausilio di oggetti; come se fosse impegnato nella realizzazione di un collage materia-verso, nell’elaborazione di una poesia materica. Del resto proprio il ritrovamento (o la semplice contemplazione) di questi oggetti in casa, in una ricerca meticolosa delle radici della propria storia, sembra aver costituito lo spunto principale per la scrittura di molti componimenti.
Il tono complessivo della voce di chi scrive ma anche la strutturazione dei componimenti mantengono una connotazione prosastica, con uso frequente di versi lunghi, scene in cui sono presenti frammenti di dialoghi, brevi narrazioni. Non si riscontrano regolarità metriche significative, il verso viene spezzato principalmente sulla base di scelte soggettive, a volte forse con qualche lieve cedimento ritmico, certo non inconsapevole, nel concedere un po’ troppo alla prosa. Tuttavia, più o meno celati all’interno di versi più lunghi, compaiono i versi principali della tradizione italiana (settenari, novenari, endecasillabi canonici) e si può dire che in generale la versificazione è più legata al ritmo e all’accentazione che alla mero numero di sillabe (come deve essere in una poesia-prosa e come l’autore stesso dice in una poesia: «perché si veda, / tutto ciò che non è lessico ma andatura. / […] l’andatura sono io», p 74).
Ciò che più colpisce in questi componimenti è la capacità dell’autore di far entrare il lettore in punta di piedi all’interno di scene di vita domestica avvolte in un’atmosfera sospesa e quasi sacra, in cui quello che più conta sono i sentimenti che scorrono tra i protagonisti, che pervadono gli ambienti o gli oggetti, e che sono realmente capaci di commuovere il lettore. Si tratta dunque di qualcosa di molto profondo e autentico a livello emotivo, che però emerge da uno stralcio di dialogo, dalla descrizione di un dettaglio apparentemente minimo di una scena o di una persona, invece che da verticalizzazioni liriche (le poesie più introspettive ci sono, ma sono poche nell’insieme). Il nucleo incandescente delle poesie sta dunque nei dettagli, nelle descrizioni di scene e oggetti, in qualche dialogo, invece che in associazioni, richiami allusivi o analogie che rimandano all’interiorità di chi scrive.
Mozzi si mostra in questi versi estremamente capace di usare pochissimi elementi per dare il senso profondo di una situazione o di una persona, di usare la parte (uno scambio verbale, un dettaglio del corpo, la descrizione ossessiva di un oggetto) per significare il tutto, per significare ciò che di più grande e importante si dovrebbe intendere. Uno stratagemma stilistico (è questo il “correlativo oggettivo” di Montale) che permette di delineare e racchiudere con precisione quanto il pensiero e la parola non riuscirebbero ad esprimere altrettanto efficacemente perché ne sarebbero sopraffatti. Ciò che si può fare allora è stare con l’autore a osservare queste scene, accogliere certi vissuti senza cercare di spiegarli perché ci si sentirebbe impotenti («quando la volontà di dire / cessa spossata e il mondo / è una sfocata immagine che trema”», p. 56).
Ed è proprio questa, credo, una delle caratteristiche più importanti del libro (come dovrebbe esserlo, in generale, di ogni creazione artistica): essere “metafisico”, rimandare a un oltre a partire dalla singolarità di quanto descritto e narrato, in qualunque modo si possa intendere questo “oltre”.
L'autore
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Marco Nicastro (Caltagirone, 1979) vive e lavora a Padova. Da anni si occupa di psicoanalisi, poesia e scrittura. Ha pubblicato diversi articoli di argomento psicoanalitico su riviste scientifiche e i saggi Il carattere della psicoanalisi (Psiconline edizioni, 2017), Pensieri psicanalitici. Riflessioni non ortodosse sulla psicanalisi (Polimnia Digital Editions, 2018), La resistenza della scrittura. Letteratura, psicoanalisi, società (Ladolfi, 2019). Ha pubblicato per il sito della Mondadori "Studenti.it" l'ebook Ti presento Eugenio Montale. Riscoprire il piacere della poesia (2020).
Suoi articoli e recensioni sono apparsi su vari blog e riviste culturali online tra cui Le parole e le cose, La Balena Bianca, Il lavoro culturale, Atelier, Kasparhauser, Cultweek, Pangea.
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