È famoso l’adagio degli amanuensi medievali secondo cui «graecum est, non legitur» ed è anche noto che pertanto, nelle scuole e nelle biblioteche dell’Occidente medievale e nei manoscritti che ne conservano la memoria, il nome di Esopo era correntemente usato per indicare in realtà una raccolta di favole in distici elegiaci latini, composta a quanto pare da un misterioso Gualtiero Anglico. Si sa inoltre che, attraverso i corsi e ricorsi storici della translatio studii, questa rielaborazione basso-medievale di materiali favolistici passati dal greco al latino in età classica e tardo-antica è stata poi a sua volta oggetto di numerose versioni e riscritture, anche in forma di compendio o di commento, nei vari volgari italiani ed europei fino almeno a tutto il Quattrocento. È invece una scoperta che aumenta di una nuova unità l’eterogeneo corpus di volgarizzamenti e rifacimenti italiani l’appartenenza alla tradizione esopica medievale di un poemetto in quartine di endecasillabi a rime alternate trasmesso nelle carte finali del manoscritto 6 della Biblioteca Civica “Girolamo Tartarotti” di Rovereto, a seguito della pseudo-ciceroniana Rhetorica ad Herennium.
Il componimento, adespoto e anepigrafo, era stato sinora genericamente descritto come «Quartine a contenuto moralistico» e, giusto un po’ più nel dettaglio, «quartine italiane (63 strofe) che racchiudono tutte un proverbio, un motto o una sentenza morale» nel catalogo dei manoscritti medievali conservati nelle biblioteche della provincia di Trento curato nel 2010 da Adriana Paolini, rifuso poi parzialmente nel benemerito sito Manus On Line; di cui si veda la relativa scheda.
Il numero complessivo, il contenuto, l’ordine delle quartine e soprattutto la loro morale corrispondono infatti interamente alla raccolta di favole attribuita pur tra incertezze varie a Gualtiero Anglico: in altri termini, ogni quartina espone la proverbiale morale della favola, racchiusa nel distico finale dell’originale mediolatino, anche se non mancano sintetici richiami esemplari all’apologo e ai protagonisti, ovvero agli animali parlanti che simboleggiano i caratteri umani universali. Per quanto riguarda in particolare il numero e l’ordine, la corrispondenza interessa il ramo principale della tradizione manoscritta mediolatina, prevalente in area italiana, e più nello specifico un suo sottoramo cui hanno attinto indipendentemente anche altri volgarizzamenti realizzati nella Penisola.
Il colorito linguistico prevalentemente toscano o piuttosto toscaneggiante del testo non è privo di alcune tracce settentrionali, tenui eppure significative perché situate anche in posizione di rima, e appare nel complesso coerente con l’origine nord-italiana e la datazione primo-quattrocentesca del codice stabilita dagli specialisti che l’hanno analizzato e descritto, con particolare riferimento alla decorazione marginale fitomorfa che caratterizza l’iniziale della Rhetorica ad Herennium.
Le quartine esopiche sono comunque state copiate da una mano diversa da quella cui si deve la trascrizione del trattato latino, ricco peraltro di chiose interlineari e marginali che andrebbero studiate analiticamente. Ciò nondimeno, anche a grandi linee la successione dei due testi nello stesso codice appare notevole, perché sembra riflettere un contesto d’uso di tipo scolastico o almeno parascolastico. Certo è invece che nel Settecento il manoscritto, prima di essere acquisito dalla biblioteca che lo conserva ancor oggi, fece parte del fondo librario dell’Accademia degli Agiati, l’istituzione che ha reso illustre Rovereto quale luogo di incontro e di mediazione non solo tra l’Italia e il mondo culturale di lingua tedesca – come gli stessi intellettuali fondatori di tale cenacolo l’hanno per primi idealizzata sulla base della sua posizione geografica – ma proprio anche tra l’antico e il moderno, come possono dimostrare per esempio il Ragionamento intorno alla poesia lirica toscana di Girolamo Tartarotti (1728) e il Discorso intorno al modo di tradurre di Clementino Vannetti (1753), quest’ultimo purtroppo ancora inedito nella sua interezza e pure conservato nella stessa Biblioteca Civica di Rovereto.
In mancanza di indizi più precisi, almeno allo stato attuale delle ricerche, la provenienza tanto del codice quanto del testo può essere considerata soltanto genericamente settentrionale, ma anche in questi termini appare comunque in linea di massima compatibile con la polarizzazione geografica e socio-culturale tra le due aree di maggiore diffusione della materia esopica nell’Italia tardo-medievale, ovvero la Toscana e il Veneto, delineata a più riprese nei suoi studi da Vittore Branca, che ha individuato in particolare una riscrittura da un lato più libera, narrativa ed espressiva, dall’altro più rigida, moraleggiante e per l’appunto scolastica.
Quest’ultimo aspetto è infine anzi utile a chiarire meglio il ripetuto riferimento al Medioevo nelle righe precedenti, che potrebbe sembrare a prima vista incoerente rispetto alla datazione del testo, fissabile presumibilmente nel corso del Quattrocento, e alle tradizionali partizioni e periodizzazioni delle storie letterarie e culturali italiane, che celebrano in quest’ultimo il trionfo dell’Umanesimo e quindi di un nuovo modo di leggere i classici. Non va mai dimenticato che tale rivoluzionario fenomeno non fu però immediato e uniforme in tutti i luoghi e i contesti della Penisola, come prova per esempio – tanto per rimanere nel campo delle favole – la straordinaria fortuna tipografica dell’Esopo Zuccarino, il volgarizzamento delle favole della tradizione esopica in sonetti ritornellati realizzato nell’ultimo quarto del Trecento dal veronese Accio Zucco da Sommacampagna, che vanta ben tredici edizioni tra il 1479 e il 1500. In altri termini, dopo che Poggio Bracciolini e gli altri grandi umanisti riscoprirono anche materialmente i classici, a lungo molti altri continuarono a riscrivere, trascrivere e anche a stampare testi al modo antico o meglio a metà tra il più antico e il nuovo: così, di fatto è nato il concetto di Medioevo e così anche ai novelli nani di oggi sulle spalle dei giganti di ieri può capitare, con il necessario concorso di fortuna e di metodo, di riscoprire un tassello della cultura di ieri e farla conoscere oggi.
Il testo delle quartine esopiche verrà pubblicato sul prossimo numero della rivista «Filologia italiana». L’argomento sarà inoltre oggetto di un intervento nel corso del convegno online Tradizione e conservazione: archivi roveretani tra antico e moderno (1-2 marzo), organizzato dal Centro Interuniversitario di Ricerca di Studi sulla tradizione e dalla Biblioteca Civica Girolamo Tartarotti di Rovereto, con il patrocinio degli Editori Laterza e della Fondazione Dioguardi, in programma l’1 e il 2 marzo. Il convegno sarà trasmesso in diretta streaming sul canale YouTube del Dipartimento di Lettere e filosofia dell’Università di Trento.
L'autore
- Luca Morlino è ricercatore di Filologia romanza presso l’Università di Trento. Studia diversi temi e aspetti delle letterature romanze medievali (lirica trobadorica, epica franco-italiana, narrativa renardiana, volgarizzamenti, testi didattico-morali) e della loro fortuna e ripresa in età moderna (con riferimento alla Provenza trobadorica, alla rotta di Roncisvalle, al Graal, a San Francesco e a François Villon), ed è autore di vari contributi di lessicografia storico-etimologica e di storia degli studi filologico-linguistici e di critica letteraria (in particolare sull’opera di Leo Spitzer).
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