Resta di moda, nonostante le opposizioni degli animalisti, augurare qualcosa a qualcuno con l’espressione «in bocca al lupo», da quando gli «augùri» sono considerati portatori di sfortuna. Gli auguri vanno bene, ma a successo già conseguito e non devono essere anticipati. Sarebbe un anteporre qualcosa che potrebbe, proprio per questo, non verificarsi: una sorta di padroneggiare e ipotecare il futuro che non appartiene, per i superstiziosi, agli uomini. L’augurio, inoltre, dal latino augur era l’auspicio che gli àuguri ricavavano da vari segni (voli degli uccelli, per esempio) e poteva essere fausto o infausto, anche negativo e non necessariamente positivo. Quindi all’origine il termine era neutro e poteva riguardare la previsione di beni o di mali, indistintamente.
Più benaugurante sarebbe il ricorso al lupo, che nell’immaginario popolare è simbolo di avidità, astuzia, arroganza e famelicità, e che sarebbe il nemico da lasciare a bocca aperta. Secondo un’interpretazione più moderna, invece, richiamare la bocca del lupo deriverebbe dall’abitudine delle femmine dei canidi, in particolare dei lupi, di prendere in bocca i loro cuccioli per proteggerli. Quindi «in bocca al lupo» equivarrebbe all’auspicio della massima protezione. Se fosse vera questa ipotesi, non sarebbe chiara la risposta convenzionale «crepi!» Più corretto, secondo molti animalisti, sarebbe rispondere «Viva il lupo» nelle cui fauci, una volta finiti, si troverebbe riparo e custodia.
Ma qual è la genesi di questa espressione? La risposta dell’Accademia della Crusca si può leggere in questo articolo dal titolo parlante: Sull’origine della formula in bocca al lupo.
In realtà questa formula ha origini ben più antiche. Nel mondo greco, «destare l’apertura della bocca del lupo» significava fare rimanere a bocca aperta il predatore per eccellenza. Il lupo come animale era simbolo della ferocia nell’attacco, come la volpe lo era dell’astuzia e la cagna della lascivia. Nelle raccolte di proverbi greci antichi compilate dai paremiografi (studiosi bizantini che hanno elencato e commentato i detti e le espressioni proverbiali, E. Leutsch – F.G. Schneidewin, Corpus Paroemiographorum Graecorum, I-II, Meisenheim/Glan 1839-1851), la «bocca del lupo» ricorre in due diverse accezioni:
- «dalla bocca del lupo» (ἐκ λύκου στόματος) era detto per coloro che ricevono qualcosa di inaspettato, secondo la testimonianza di Zenobio (III 48), studioso attivo a Roma all’epoca dell’imperatore Adriano;
- «il lupo a bocca spalancata» (λύκος ἔχανεν) si usa per quelli che non raggiungono ciò che speravano: quando i lupi falliscono per imperizia nella caccia, se ne vanno a bocca aperta, secondo Diogeniano (VI 20). Apostolio (X 85), un paremiografo greco di epoca bizantina che insegnò a Creta e fu protetto dal cardinale Bessarione, specifica che il lupo, quando vuole catturare una preda, si getta sopra a bocca aperta e quando non la afferra si dice che apra la bocca a vuoto. Il modo di dire sarebbe adatto a quelli che sperano di ottenere qualcosa o di arricchirsi, ma falliscono.
Ne risulta che «in bocca al lupo» è un ottimo auspicio per chi lascia l’animale a bocca aperta, cioè evita le sue fauci già pronte, uscendo vincitore dallo scontro con questo predatore. È un modo di augurare il meglio a chi deve prendere parte a una competizione, cioè deve farsi largo tra lupi. Lasciarli a bocca aperta significa sottrarsi alla loro famelicità, oppure sottrarre a loro la preda comune.
Rimane da spiegare perché si risponde «crepi!». Si tratta di un modulo ricorrente nella lingua italiana in diverse espressioni, per esempio «crepi l’avarizia!», oppure «crepi l’invidia!». In sostanza il crepare è l’augurio che si fa a ciò che ostacola la felicità. La risposta, quindi, è pertinente all’immagine del lupo predatore che vuole aggredire la vittima, ma rimane a bocca aperta perché fallisce l’attacco.
A questo punto, augurargli che «crepi» è un augurare che si esca vincitori da una gara senza cadere vittima di chi vuole distogliere o ostacolare il raggiungimento di un successo e di ogni realizzazione.
L'autore
- Donato Loscalzo insegna Letteratura greca presso l'Università degli Studi di Perugia.
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