Se di padre e figlio, entrambi artisti, vi sono numerosi esempi anche nel passato, così pure vi sono esempi di fratelli esercitanti la medesima arte – celeberrimi nel Novecento De Chirico e Savinio – meno note sono le storie di sorelle dedite in egual misura alla tavolozza e/o al bulino e alla sgorbia. Caso più unico che raro è quello della pittrice Sofonisba Anguissola (1535 ca. -1615) con quattro sorelle anch’esse pittrici: Elena, Lucia, Europa, Anna Maria, delle quali la più nota è Lucia (1537 -1565). Le due sorelle sarde, Albina e Giuseppina Coroneo, costituiscono l’unico esempio riferito dall’Enciclopedia delle donne per il Novecento. Esercitavano un alto artigianato consistente nel ritagliare e cucire delle figure essenziali, che poi profilavano con bordure e nastri colorati e, dopo la Seconda guerra mondiale, si impegnarono anche nel disegno, traendo ispirazione dalle molte riviste illustrate che circolavano, la cui vista compensò la mancanza di una loro formazione artistica.
Diverso è il background delle due sorelle Bentivenga che costituiscono in ogni caso tuttora una rarità nello scenario artistico non solo nazionale. Entrambe, Maria Pina nasce nel 1973 mentre Gianna nel 1975, hanno studiato a Roma presso l’Accademia di Belle Arti e, sebbene abbiano completato la loro formazione in modi differenti, hanno sempre puntato alto negli studi. Anche se a un primo sguardo il racconto della loro storia possa sembrare simbiotico e riconducibile a unico percorso, le due sorelle Bentivenga sono l’una indipendente dall’altra e allo stesso tempo si possono considerare complici. Le loro carriere si sono sviluppate separatamente fino a congiungersi con l’apertura a Roma della private press InSigna (2014), che si distinse fin da subito per essere un laboratorio anche di idee, oltre ad occuparsi della divulgazione e realizzazione di libri d’artista e grafica d’arte.
Nel contempo, le due sorelle hanno intrapreso l’insegnamento in istituti pubblici e privati delle loro discipline, dando vita, con molta frequenza, pure a workshop in prestigiose assise, essendo chiamate a svolgerli grazie alla notorietà che si sono conquistate anche separatamente. Altrettanto importanti sono le esposizioni personali e collettive alle quali hanno partecipato, di cui numerose all’estero così come occorre ricordare che le loro opere sono presenti nelle più rilevanti istituzioni italiane e straniere. Con Umberto Giovannini, le due sorelle dirigono il progetto internazionale sul Libro d’Artista Vacuum Editions per il quale hanno prodotto pure singoli loro manufatti.
Se le si vuole poi considerarle separatamente, allora va rilevato che Maria Pina (info@mariapinabentivenga.com ), fin dai tempi degli studi in Accademia, ha orientato la sua ricerca sul disegno e sull’incisione calcografica. Le sue incisioni e i suoi libri d’artista hanno subito riscosso un notevole successo, essendo stati esposti in Italia in numerose manifestazioni, prima di conquistare prestigiose mete estere. Maria Pina inoltre fa parte del direttivo dell’Associazione Incisori Contemporanei e dal 2016 è nel consiglio direttivo della Fondazione internazionale Renate Herold Czaschka per la creazione e divulgazione del libro d’artista.
Gianna (giannabenti@libero.it ), invece, si perfeziona all’estero presso l’Academie voor Schone Kunsten di Anversa in Belgio e, nel 2006, ottiene uno studio alla Kunsthaus Tacheles di Berlino, dove rimarrà per alcuni mesi. Dedita dapprima prevalentemente alla tavolozza, il suo percorso si indirizza, con tinte sobrie e figure abbozzate a «rintracciare, recuperare e riscattare, celebrandole pittoricamente in modo, antiretorico, le inquietudini più recondite e le superstiti qualità dell’uomo», come un suo critico Andrea Romoli Barberini, ha felicemente descritto i suoi dipinti. Si esercita in molte tecniche approdando all’acquaforte dove esprime più compiutamente la sua poetica.
Affermate entrambe nel panorama artistico non solo europeo, le due sorelle, sono state altresì insignite di importanti premi soprattutto nella grafica. Nel corso dell’intervista le risposte di Maria Pina sono contrassegnate dalla sigla M., quelle di Gianna dalla G.
Come ho espresso nella presentazione, non è comune trovare sorelle o fratelli che abbiano contemporaneamente deciso di intraprendere la carriera artistica. Ancora meno comune che abbiano come voi scelto entrambe la tecnica grafica e l’incisione in particolare. Quanto vi siete condizionate l’un l’altra, durante gli anni di formazione, e poi nella vostra carriera attiva?
M.: Probabilmente nascere in una famiglia di artigiani, dove l’attenzione al gesto manuale, ai materiali, al suono e al contatto con la materia, qualcosa ha determinato in noi. Si può rifuggire il quotidiano, oppure interiorizzarlo e rielaborarlo in qualche modo. Per quanto mi riguarda, da piccola sono stata sempre attratta dagli odori della bottega di mio padre, dagli attrezzi che potevo trovare e spesso mi intrufolavo a sua insaputa ad usarli. Nostra madre oltre al suo lavoro di sarta, da ragazza amava molto disegnare e ha continuato a farlo spesso insieme a noi. Penso che la direzione artistica sia stata per me piuttosto naturale: amavo il disegno, la letteratura e la geologia. Sembrerà strano ma queste tre cose ad un certo punto si sono riunite in quella che tutt’ora è la mia ricerca artistica. Io e Gianna siamo cresciute assieme, abbiamo condiviso spazi e momenti della nostra vita; oggi condividiamo lo studio. Non saprei dire se ci siano stati condizionamenti tra di noi e perché abbiamo seguito una strada simile, di certo molto del nostro vissuto familiare ci accomuna. Questa condivisione arricchisce il mio lavoro anche perché la modalità di confronto che abbiamo, lascia spazio ad entrambe allo sviluppo di un’espressione totalmente autonoma.
G.: Per un incrocio di percorsi che non saprei delineare con precisione, abbiamo intrapreso la stessa strada e lo stesso tipo di formazione. Più che condizionate tra noi c’è stato sempre un continuo scambio di stimoli e di informazioni. Ognuna verso il proprio sentire e con la propria sensibilità, ma sempre alla ricerca di un confronto immediato.
Guardando le vostre opere si colgono certamente dei punti in comune sebbene sia subito evidente come la materia si coaguli nei lavori di Maria Pina e si diradi invece nel procedere di Gianna. Quanto vi sentite affini e quanto invece le vostre sensibilità divergono?
M.: Come dicevo poco fa, penso che ognuna di noi due navighi nel suo mare senza condizionamento. Allo stesso tempo riusciamo a condividere spazi e passioni.
G.: Difficile capire in quale punto o maniera le affinità si aggreghino nella pratica di una tecnica in cui il segno si articola sulla superficie. Credo che la nostra sia un’affinità dettata da un comune approccio verso la materia da scalfire ma con un attraversamento e un’esplorazione differenti. . Personalmente attratta dal cambiamento dello stato delle cose e dal loro deperimento, condenso i segni nel punto in cui la materia si forma e si articola esplorando il suo disfacimento che progredisce in spazi e forme vuote in crescente diradamento fino a sparire . Un diradamento che lentamente porta ad un graduale annullamento e scomparsa della presenza segnica.
Trovate che oggi abbia ancora un senso fare incisione? E che abbia senso fare un libro d’artista il cui valore è spesso inficiato dalla confusione o da contesti non sempre specialistici? Che cosa secondo voi si può fare per migliorare la produzione, soprattutto per rilanciare anche in Italia il collezionismo?
M.: Il segno inciso su una lastra per me ha un senso forte, totalizzante, è parte del mio linguaggio e quando lavoro non mi pongo altre domande a riguardo. È anche mia ferma convinzione che l’incisione rimane un luogo di sperimentazione quantomai vivo. So che non è solo un mio pensiero, visto quanti artisti soprattutto nelle nuove generazioni, in Italia e all’estero, utilizzano questo mezzo per esprimersi. La Grafica d’arte, quindi, è un mondo che si evolve e che non può essere confinato nelle due dimensioni, ma va inteso come parte fondamentale dei linguaggi visivi e come tale utilizzato per un’espressione aperta e senza limitazioni. Non saprei rispondere adeguatamente riguardo al mercato della grafica d’arte e alle sue dinamiche contemporanee, quello che posso osservare è un cambiamento costante, soprattutto negli ultimi anni, un cambiamento che rende molto difficile poter prevedere una sua evoluzione.
G.: Credo che oggi più che mai abbia senso fare incisione. In un momento storico in cui le immagini corrono spietatamente verso una riproducibilità fatiscente, serve più che mai un dialogo con il tempo. Un dialogo duraturo. Il libro d’artista è stato e forse in parte lo è ancora, luogo di fraintendimento e oscura lettura. Credo che per poterne migliorare la produzione serva una qualche forma di alfabetizzazione e ostinata divulgazione. Avere punti fermi in cui circoscrive, in senso lato, le coordinate di questa forma d’arte e comprenderlo come pura espressione di un linguaggio
Quanto nell’incisione è tecnica e quanto invece sensibilità personale? E quindi, cosa c’è di autobiografico in un lavoro che pare, per entrambe, dirigersi verso una sublimazione astratta della forma?
M.: L’incisione, nelle sue tantissime varianti, è una tecnica molto complessa che richiede anni di studio e pratica per poter essere dominata. Credo fermamente che un incisore può permettersi una libertà espressiva solo dopo aver dominato la materia e la tecnica. In generale, dal mio punto di vista, conoscere la tecnica significa penetrare la materia e, detto ciò, l’artista ha la libertà di fare e disfare, di usare la tecnica e di superarla attraverso la propria sensibilità. Credo che ogni opera d’arte contenga in sé, in modo più o meno palese, elementi autobiografici di chi l’ha generata, quindi il mio lavoro non penso possa sottrarsi a questa regola.
G.: L’incisione è il giusto compromesso tra tecnica e sensibilità. Nell’incisione la tecnica è molto presente. A differenza, forse, di altri linguaggi, ci sono momenti e tappe che non possono essere ignorati. Come tutte le tecniche e regole che si sono assimilate attraverso l’esperienza della pratica, possono essere in qualche modo piegate in base alla sensibilità di ognuno e declinate verso il proprio linguaggio.
Il libro d’artista si può definire come un progetto che parte da una idea personale. Al di là di qualsivoglia intervento deve essere per sua stessa definizione originale ma può compiersi o con l’iniziativa del solo artista e/o del poeta ideatore, e per mezzo anche di altre professionalità: stampatore, tipografo, legatore.
M.: Il campo del libro d’artista è piuttosto ampio e complesso, in cui si osservano diverse declinazioni. Io lavoro molto spesso da sola dal progetto alla realizzazione, tanto più se il testo che ho scelto è un testo di un autore non contemporaneo. Altre volte, mi capita di collaborare con altri artisti o artigiani, allo stesso modo di come collaboro con poeti autori di testi.
G.: Realizzare il libro d’artista significa condividere un obiettivo e collaborare affinché venga portato a compimento. Potremmo definirlo un lavoro a più mani in cui confluiscono le intenzioni di diverse figure: incisore, scrittore, stampatore, rilegatore, alcune di esse riassunte in una sola. Alcune volte ci viene proposta una collaborazione da parte di scrittori, spesso invece siamo noi a scegliere i testi perché come per viaggiare si ha bisogno della giusta curiosità, per realizzare un libro d’artista si ha bisogno di suggestione e richiamo. Il nostro procedere è comunque un viaggio unico e di stretta collaborazione con l’autore dei testi. L’incisore e lo scrittore, entrambi parlano in uno spazio neutro con linguaggi diversi che si influenzano e completano a vicenda.
In questo lungo periodo di pandemia i social sono stati particolarmente dediti a tenere desto l’interesse artistico. Vi è stato sufficiente per rimanere attive o vi sentite fortemente penalizzate al punto da aver subito una contrazione anche del vostro immaginario creativo?
M.: Molti in questo periodo stanno attraversando difficoltà al limite del drammatico, difficoltà che tutti in una certa misura abbiamo sperimentato o che comunque ci sentiamo di condividere, ma potersi astrarre, magari anche per pochi momenti al giorno in una bolla creativa, penso che bisogna viverlo come un’opportunità. In questo periodo credo di essere riuscita a convogliare le forti tensioni che arrivavano dall’esterno in una sorta di flusso creativo nel mio lavoro.
G.: Questo particolare periodo di pandemia è stato al tempo stesso un momento di sospensione e di riflessione. Come essere su una grande altalena: velocità, freno, cambio di prospettiva, sospensione. I social sono stati molto attivi con il rischio di creare una realtà parallela falsamente fruibile. Fortunatamente l’immaginario creativo non ha subito alcun tipo di contrazione anzi in qualche maniera è come se avesse trovato risorse e canali alternativi per rigenerarsi e alimentarsi.
E, infine, quali progetti ciascuna di voi ha in serbo per il futuro?
M. e G.: Io e Gianna abbiamo molti progetti collaborativi legati al libro d’artista e interventi site-specific legati a disegno-carta-installazione, che durante il periodo della pandemia sono maturati fino a trovare una loro forma e struttura. Seppure sia un momento magico, intimo e senza tempo l’approccio personale a una matrice – soprattutto nell’ultimo periodo in cui realizzo incisioni di grande formato che richiedono settimane di lavoro –, ho necessità di cimentarmi su progetti che portino nuove energie e siano frutto della condivisione, sperando vivamente che tutto questo possa succedere presto.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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