l’immagine di copertina è di Banksy, Aachoo!!
(murale a Bristol, in Vale Street, 10 dicembre 2020)
Sono cresciuto in un ambiente, in Italia, nel quale lo sternuto era ancora accompagnato da una formula augurale: “Dio ti benedica!” Essa serviva a rassicurare lo sternutente in un modo che non era chiaro né a me bambino, né agli adulti che rivolgevano l’augurio a chi aveva sternutito. Oggi è molto più comune incontrare chi accompagna lo sternuto di altra persona con una diversa e più breve forma augurale, che ha comunque vissuto nei secoli accanto a quella invocante la divinità: “Salute!” Tuttavia, non mancano addirittura persone che sono infastidite da questa formula e preferiscono non usarla, né tanto meno riceverla quando sternutiscono. Quindi, nell’arco di mezzo secolo circa siamo trascorsi dalla benedizione di Dio al più neutro augurio di salute alla sordità allo sternuto. Si tratta di una trasformazione di costume che rivela, qualora ce ne fosse bisogno, un distanziamento sempre più marcato dalla menzione di intervento divino e ovviamente da forme e formule avvertite come superstiziose.
In realtà, la necessità di quella benedizione era già implicita nella meccanica dello sternuto. Infatti, lo sternuto è un atto riflesso nell’ambito della respirazione; esso può essere provocato dallo sternutente, ma per lo più coglie di sorpresa, con un meccanismo che porta dapprima ad inalare aria, quindi trattenerla nei polmoni per qualche istante e infine a emetterla attraverso il naso grazie a una spontanea contrazione dei muscoli del torace, cioè, quelli che fasciano lo sterno. Tuttavia, lo sternuto spesso e volentieri libera dalla pressione che si sviluppa nelle zone (zigomi e fronte), dove si annida il rischio della sinusite. In effetti, in questi casi lo sternuto aiuta a liberare il soggetto dall’emicrania che accompagna la sinusite come suo sintomo più evidente. Dopo tutto, lo sternuto è sostanzialmente un meccanismo di difesa attraverso il quale l’organismo elimina un corpo estraneo che potrebbe anche essere nocivo all’organismo stesso. Inoltre, al tempo dello sternuto, si esperisce una singolare attività non soltanto respiratoria, ma anche cardiaca, visto che si può avere la sensazione di rallentamento del battito cardiaco. Insomma, lo sternuto è un’attività fisica particolare e per molti versi fuori della portata di chi sternutisce, che è stata interpretata nell’antichità come un momento rischioso in cui gli spiriti benigni e maligni si contendono l’occupazione del corpo di colui che sternutisce. Se si pensa al dolore che si esperisce a causa della pressione che la sinusite provoca nella scatola cranica, non sorprende nemmeno la paura che quegli spiriti maligni possano vincere la battaglia per il corpo della persona sofferente.
Nella tradizione ebraica midrashica, una leggenda propone che lo sternuto annunci la prossimità della morte, ragion per cui non sorprende la formula augurale che accompagna lo sternuto. A prova di ciò viene narrata la storia di una persona vissuta all’epoca di Giacobbe, che essendo già in fin di vita, sternutì e morì immediatamente. Ancora oggi in molte comunità ebraiche in Europa, dalla Galizia alla Lituania, si usa tirare le orecchie a chi sternutisce (una simile pratica accompagna la celebrazione dei compleanni anche fuori del contesto della comunità ebraica, tirandosi le orecchie in un numero di volte equivalente agli anni compiuti). Sebbene non sia chiara l’origine di simile usanza tra gli ebrei, la tirata di orecchie avveniva non soltanto in seguito ad uno sternuto, ma anche mentre si parlava di persona scomparsa. Oggi, per chi pratica simile usanza, basta uno sternuto perché le orecchie vengano tirate, senza necessità di parlare di persone scomparse. Tuttavia, è interessante che una frase yiddish (“tzu langehmazaldikker yohrn”, che più o meno vuol dire ‘per lunghi e fortunati anni’) accompagni simile operazione, ancora una volta con un riferimento al rapporto tra sternuto e salute.
Non sorprende che anche in epoca romana fosse diffusa l’usanza di salutare chi sternuta. Se ne ha un esempio nel libro IX, 24-25, delle Metamorfosi di Lucio Apuleio, vissuto dal 125 circa al 170, mentre non pare esserci traccia di simile usanza nell’epoca greca. Nell’episodio in questione della trasformazione di Lucio Apuleio in asino, dove si narra di una beffa perpetrata da una moglie ai danni del marito, l’amante della donna sternutisce e il marito di quella, pensando che si tratti della moglie, augura salute: “Atque ut primum e regione mulieris pone tergum eius maritus acceperat sonum sternutationis — quod enim putaret ab ea profectum — solito sermone salutem ei fuerat imprecatus et iterato rursum et frequentato saepius, donec rei nimietate commotus quod res erat tandem suspicatur.” Una delle traduzioni italiane più interessanti è quella del volgarizzamento de L’Asino d’oro da parte di Agnolo Firenzuola, il quale in realtà salta questo episodio, ragion per cui l’edizione di Firenzuola fu pubblicata con l’aggiunta della cosiddetta novella dello sternuto,estratta dalla traduzione che del libro di Apuleio aveva approntato Matteo Maria Boiardo. Mentre la traduzione di Boiardo fu pubblicata nel 1544, con tutta probabilità quella di Firenzuola fu pubblicata per la prima volta nel 1550. Questa è la asciutta traduzione di Boiardo: “Il marito con le usate parole le augurò salute, ma seguendo il secondo e il terzo subitamente, non potè lei ben simulare”. Per quanto riguarda il punto dell’augurio in seguito allo sternuto, questa traduzione rispetta il testo latino, cosa poca sorprendente, visto che quel modo augurale è quello che ancora oggi accompagna o addirittura soppianta la versione con benedizione divina. Nella prima traduzione in inglese, approntata da William Adlington nel periodo elisabettiano e pubblicata nel 1566, quell’intervento del marito è così tradotto: “The good man thinking it had beene his wife that sneesed, cryed, Christ helpe.” Quindi, Adlington inserisce volutamente un riferimento alla divinità (quella di Cristo piuttosto che quella di Dio) e addirittura al suo aiuto piuttosto che alla sua benedizione. Sebbene appunto arricchita da momenti di libertà del traduttore, forse perché impegnato in quella trasposizione con l’aiuto di una versione in francese, tale traduzione è storicamente importante per le sue modalità e soluzioni in inglese, sia per la sua popolarità (fu stampata di nuovo in quel secolo nel 1571, 1582, 1596, e ristampe si sono susseguite fino al ventesimo secolo). Nel primo quarto del diciannovesimo secolo, nel 1822, Thomas Taylor pubblicò una traduzione del libro di Apuleio che sembra interessante sia per la soluzione che adotta, sia per la nota che aggiunge. Questa è la traduzione del passo in questione: “But as soon as the husband, who sat opposite to his wife, heard the sound of sneezing behind his back, because he thought it proceeded from his wife, he wished her well in the usual words, and this he did when he again heard the sneezing, and also when it was frequently repeated; till being moved by the excessive repetition of it, he at length suspected what the thing was.” In nota, il traduttore spiega: “i.e., Jupiter save you, or, as we say in English, God bless you.” Quindi, Taylor menziona l’equivalente espressione inglese, ma non la usa nella traduzione stessa, nella quale preferisce inserire una parafrasi del testo latino. Invece, è curiosa la soluzione per la quale Jack Lindsay opta nella sua traduzion apparsa nel 1932: “The husband who sat facing his wifeheard this sound [the sneeze] come from behind her and thought it was her product. So he exclaimed, ‘Lord save you!’ as is usual in such circumstances.” D’altronde, negli anni Trenta, Lindsay era uno scrittore australiano, da poco trasferitosi in Cornovaglia, impegnato sia nella vita politica (alla fine di quel decennio si iscrisse al Partito Comunista Inglese), sia nella scrittura narrativa (sempre in quel decennio pubblicò romanzi ambientati nell’antica Grecia e nella Roma imperiale). Nella traduzione di Robert Graves, poeta e studioso della classicità, pubblicata nel 1951, il passo si legge così tradotto: “The laundryman, who was on his couch at the other side of the table from his wife, heard the first sneeze from immediately behind her. “Bless you, my dear!” he said, and “bless you, bless you!” at the second and third sneeze.” A parte l’interesse di Graves nell’affidare all’anaforica ripetizione dell’augurio il valore comico della scena, si nota anche il passaggio a quello che è l’augurio ancora udibile dopo uno sternuto in un contesto anglofono. Anche E. J. Kenney nel 1998 traduce seguendo l’esempio di Graves: “At first,when he heard these sneezes coming from his wife’s direction, her husband thought they were hers and said the usual “bless you”, butwhen this had happened several times he began to think that it wasrather too much of a good thing, and finally guessed the true state of affairs.” Sulla stessa linea si pone Sarah Ruden nella sua traduzione del libro di Apuleio pubblicata nel 2011: “The first time the husband heard th sneezing sound from the direction of his wife (it was actually behind her back), h thought it had come from her. In the customary way, he called on the gods to give her good health.” La traduttrice, classicista e studiosa della Bibbia, oltre che poetessa, opta per una traduzione che, pur tirando in ballo gli dei, si affida al rimando alla buona salute auspicata dal marito alla moglie, erroneamente considerata l’autrice dello sternuto. Insomma, se Adlington inserisce il riferimento a Cristo, se non a Dio, già all’inizio del diciannovesimo secolo si comincia ad accantonare la menzione della divinità e decisamente nel ventesimo secolo le traduzioni adottano questa discreta eliminazione della divinità.
L’esempio del racconto ne L’Asino d’oro di Apuleio serve da una parte a stabilire l’antichità del costume di augurare salute a chi sternutisce e dall’altra a confermare che in italiano il testo non ha subito gli scossoni della correttezza politica a cui è andato incontro la traduzione in una lingua come l’inglese. Infatti, se nell’epoca elisabettiana il riferimento religioso era stato aggiunto dal traduttore Adlington, già in epoca romantica esso era caduto. Tuttavia, l’espressione inglese non contempla la possibilità di augurare salute in maniera agnostica, come la lingua italiana consente. Quindi, la soluzione diventa l’uso ottativo di un verbo che ha perso la specificazione del soggetto, soluzione oltre tutto insolita in inglese (la versione “Bless you!” rischia di suonare come un imperativo). A volte, per ovviare a questa soluzione, ci si imbatte nell’anglofono educato e gentile, che comunque vuole evitare il riferimento religioso; in questo caso, la soluzione diventa la lingua tedesca, “Gesundheit”, che per l’appunto è un augurio di salute.
Insomma, per avere salute, non occorre la benedizione e tanto meno quella divina. Se in latino salus ancora proponeva la congiunzione di salute (attinente alla dimensione del corpo) e di salvezza (attinente alla dimensione dell’anima), ragion per cui la soluzione di Apuleio non sorprende, le lingue moderne europee tendono in generale a separare i due significati, con le dovute eccezioni. Se l’italiano ha mantenuto la versione augurale che punta proprio sulla salute, seguendo l’esempio stabilito già nella latinità, abbandonando quindi la versione augurale di carattere religioso, l’inglese si rifugia in una soluzione anodina, per così dire, che mantiene la sua ambiguità (“Bless you!” invece di “God bless you!”), salvo rifugiarsi in altre lingue (oltre al tedesco, più raramente anche il francese “Santé!”), pur di salvare la correttezza politica di un’espressione fintamente agnostica.
L'autore
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Ernesto Livorni è nato a Pescara il 27 marzo 1959. Laureatosi nel 1982 in Lettere e Filosofia (indirizzo in Lettere Moderne) presso l’Università di Urbino (110/110 *summa cum laude*) con una tesi su *Cesare Pavese traduttore di “Moby Dick*”, ha quindi conseguito il Ph. D. nel 1990 in Letteratura Comparata presso la Università del Connecticut con una dissertazione dal titolo *Dantesque Iconoclasts: Pound, T. S. Eliot, Ungaretti, Montale*. Dal 1988 al 2000 ha insegnato Letteratura Italiana nel Dipartimento di Italianistica della Yale University; nell’anno accademico 1999-200 è stato professore in visita a Barnard College e Columbia University. Dal 2000 insegna Letteratura Italiana moderna e contemporanea nel programma di Italianistica dell’Università del Wisconsin a Madison e dal 2017 è Direttore del Dipartimento di Letterature Comparate. Dal 1988 è direttore della rivista *L’ANELLO che non tiene: Journal of Modern Italian Literature*, da lui stesso fondata; dal 1997 al 2000 è stato anche co-direttore di *YIP: Yale Italian Poetry*. L’attività critica di Livorni, pur privilegiando lo scandaglio appassionato della modernità, non rinuncia alla circumnavigazione dei classici: la sua attività saggistica, apparsa in lingua italiana ed in lingua inglese, comprende articoli su Dante e sul dantismo modernista, sulla poesia e sulla narrativa italiane del Novecento (Giovanni Papini, Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Clemente Rebora, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, Mario Luzi, David Maria Turoldo, Nanni Balestrini, Antonio Tabucchi, Erri De Luca, Paolo Volponi), ma anche sulla poesia e sulla narrativa in lingua inglese (James Joyce, John Fante, Ezra Pound, T. S. Eliot). Ha pubblicato il volume di critica letteraria *Avanguardia e tradizione: Ezra Pound e Giuseppe Ungaretti* (Firenze: Le Lettere, 1998). Presso la stessa casa editrice è di prossima pubblicazione *T. S. Eliot, Montale e la modernità dantesca*. Ha anche tradotto e curato un libro di poesie di Ted Hughes, *Cave Birds. Un dramma alchemico della caverna* (Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 2001). Sta lavorando con Jason Laine alla traduzione di poesie e saggi di Giovanni Pascoli sull’emigrazione e sul problema della cultura degli emigranti.
Ernesto Livorni è anche poeta. Dopo il primo volume di poesie, *Prospettiche illusioni (1977-1983)* (Pescara: Tracce, 1987), egli ha pubblicato *Nel libro che ti diedi. Sonetti (1985-1986)* (Udine: Campanotto, 1998) e *L’America dei Padri* (1985-1987) (Lecce: Piero Manni Editore, 2005; vincitore del Premio Internazionale Città di Penne, sezione Poesia, 2005; traduzione in lingua inglese ad opera di Jason Laine: The Fathers’ America, New York: Bordighera Press, 2016). Ha completato la raccolta *Onora il Padre e la Madre* (1977-2010 Passignano sul Trasimeno (Perugia): Aguaplano Editore –
Officina del Libro, 2015) che raccoglie le precedenti raccolte ed una quarta inedita e di cui è di prossima pubblicazione un’ampia antologia in lingua romena. Suoi componimenti sono apparsi su riviste in Italia (*Tracce*, *Anfione – Zeto*, *Frontiera*, *Quaderno*, *Steve*, *Pandere*) e negli Stati Uniti (*Forum Italicum*, *Polytext*, *Antigones*) e nell’antologia *Poesaggio: Poeti italiani d’America* (a cura di Peter Carravetta e Paolo Valesio, Quinto di Treviso: Pagus Edizioni, 1993) e *Poets of the Italian Diaspora: A Bilingual Anthology* (a cura di Luigi Bonaffini e Joseph Perricone, New York: Fordham University Press, 2014). Ha ricevuto il secondo premio per la poesia inedita alla *XXIX Edizione del Premio nazionale di Poesia 1996 “Il Borgognoni” – Città di Pistoia*. Come narratore, ha ricevuto il primo premio alla I Edizione del Premio nazionale “Parco Maiella” – Abbateggio (PE) con il racconto “L’Asino e la Croce” ed alla II Edizione con *L’America dei Padri*.
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