Un compleanno, gli 80 anni di Maria Clelia Cardona, è occasione di sentimenti d’amicizia, ancora più preziosi se sono l’arte e la poesia ad ispirarli. Lo testimonia un libro delle Edizioni Il Bulino, Il tiepido risplendere. Poesie per Maria Clelia con i colori di Giulia Napoleone, presentazione di Dino Villatico, foto di Dino Ignani. Gli azzurri delle sfere sul bianco della copertina, appena sfumati di un viola tendente al rosso, sono percorsi da una linea puntiforme, quasi a suggerire il pensiero del tempo della vita che scorre. Ma che meraviglia i disegni all’interno che si aprono sull’infinito! Giulia Napoleone, artista raffinata e intensa nel suo cammino d’astrazione, ha saputo dialogare con la poesia e ora accompagna le liriche dei 16 poeti, che onorano l’amica, col «palpitante e rigoroso, fluire […]. In altri termini con i segni dell’esistere». Furono queste e molte altre Le parole per Giulia di Luigi Lambertini, scrittore e critico d’arte, che colse perfettamente le trame «precise da sembrare inesorabili» e «quei punti, netti e profondi, che paiono non finire mai» tanto da far pensare a «microscopici universi». Sì, «universi», che hanno «ritmo di vita», vibrano nel silenzio della pagina, alludendo a un altrove che intravediamo e facciamo nostro. Ma l’altrove è anche della poesia, della poesia del tempo di Maria Clelia e dei suoi estimatori.
La bella fotografia di Maria Clelia di Dino Ignani ci accoglie, con alcuni versi in esergo, da cui discende il titolo, versi che invitano a cercare misura ed equilibrio in ciò che l’esistenza ci dona, ci invitano a ricordare:
Un troppo che ci elude-meglio
le misure nostre: i pochi anni, il tiepido
risplendere, la corta sosta
nel ricordo.
Anche il tempo «ci elude»
Tratti dalla lirica Le misure nostre (I giorni della merla), racchiudono il significato profondo della sua visione poetica, alla luce dei classici da lei frequentati: non ciò che dicono le stelle «fiammanti e altere» e «labili come eterne divinità che scendono / sul filo di anni luce», ma la misura deve essere parte della nostra vita; con l’oraziano «est modus in rebus» si illumina il «tiepido risplendere», la luce che poco si accende sul sentiero del vivere, il lampo tenue di un bagliore e di un istante, «la corta sosta / del ricordo». In questo breve cammino, anche noi “eludiamo” il tempo, se pur per poco; il tempo che precipite fugge, come già in Virgilio: «Sed fugit, interea fugit irreparabile tempus». Il verso delle Georgiche (III, v. 284) apre in epigrafe le pagine di Dino Villatico e avvia il leit motiv della poesia Con il passare degli anni, che chiude la ricca e sapiente prefazione Sedici misurazioni del tempo, e di quelle dei Sedici poeti.
Lo si nomina, il tempo, a partire dall’incipit di Villatico: «Amica mia, se fuggono i nostri anni», ed è presente in ogni lirica. Il suo battito insistente si avverte nella natura, nel farsi oro di spiga, grano, falce in un connubio tra amore e morte, che appare inevitabile nel verso «Come la spiga accetterò la falce» di Roberto Deidier, e che diviene rinascita di erbe, piante e fiori perché è «tumultuoso il moto della vita» in Sono andate erbe e piante a dormire di Gabriella Sica; si fa «chiacchiericcio / distratto degli anni» e «melma» in Ho piagato in cento pieghe di Biancamaria Frabotta; rinnova nell’avanzare degli anni «gladioli gialli / che s’accendono» in Compleanno di Annalisa Alleva; fa cigolare «i cardini del tempo» in Ma quale labirinto catturava ogni volta di Gabriella Pace. È «nebbia» sul lago e «Neri pensieri» nel cuore in Canzone opaca di Francesco Dalessandro; «poema» di segni «inciso per incompletezza / da uno scriba sulla sua tavoletta» nella Foto di Fabio Ciriachi; «armonia» di voci familiari ancora presenti in La pendola batteva a intervalli regolari di Marco Caporali.
Ma ecco Brunello Tirozzi festeggiare in Oscilla (così si intitolava una poesia di Cardona) «lo spirito dell’allegria» sul corso di onde che illuminano l’universo, «onde di mare, vento solare/ onde di luce, pulsazioni neuronali»; ecco la festosa Le rose di Rita Iacomino riportare in primo piano la serenità dell’infanzia e l’«andare a ritroso ridendo», mentre Daniela Attanasio ripensa alla nascita (Nata) come a un filo continuo nella vita; Marisa Tolve riconosce la bellezza, anzi «l’incantesimo» della poesia e dei racconti di Maria Clelia, che Isabella Vicentini (Anamorfosi) chiama, in un brindisi poetico, “Signora Regina”, «Pòtnia Basilissa», unendosi ai poeti amici che hanno riconosciuto la sua raffinata cultura classica. Anche questo è un filo che percorre molti componimenti: Avernalia di Giancarlo Pontiggia, A Maria Clelia, pensando ai classici che ama di Deidier, la prosa augurale di Elio Pecora, Vestale silenziosa di Tolve e infine, Piccolo acrostico di Marco Vitale. Il poeta colloca in esergo il pensiero finale del racconto di Cardona L’altra metà del demone, del quale è protagonista Fusca, la giovane schiava che, armata di tavoletta di cera e stilo, accompagnò come scriba nel suo viaggio di ritorno nelle Gallie (De reditu suo) il nobile Rutilio Namaziano:
Non sappiamo che significato dare al nostro tempo. Non pensiamo mai né al passato né al futuro. Speriamo solo che la storia si sia dimenticata di noi.
Questo pensiero sul tempo, che chiude il diario di Fusca, ispira a Vitale l’affettuoso saluto, che porta il nome di “Maria Clelia” e il ricordo dei Giorni della merla e di quell’«Uccellotta bruttina incapottata di grigio, /uno sgorbietto fra gli alati, eppure / ha inteporito del suo canto l’aria gelata, /l’inverno»:
Mi chiedo spesso se non converrebbe
Anche a noi d’essere dimenticati, noi
Rimasti si direbbe senza un sogno
Intatto nel fragore d’un secolo
Aperto ad ogni caccia.
Come in epilogo di Fusca, salvezza oggi si
Lega ad una tavoletta che non è più di cera
E non serve lo stilo, basta un tasto
Lievemente sfiorato per accogliere
Il vino del congedo, i giorni
Al gelo della merla, che tenace resiste
La «salvezza» dunque è ancora nella parola, che «tenace resiste»; la parola, che la poetessa, della quale si celebra il compleanno, ha donato e dona al nostro presente e al nostro futuro, fermando l’effimero e il transeunte; con Villatico: «voce / che ascolteremo, ascolteranno, forse, / quando né tu né io avremo voce, / per dirla un’altra volta come nuova».
L'autore
- Gabriella Palli Baroni laureata in Lettere Classiche a Pavia, allieva di Lanfranco Caretti, perfezionata a Chicago e a San Diego sul pensiero scientifico rinascimentale e su Machiavelli, vive a Roma. Scrittrice e saggista, è studiosa di letteratura dell’800 e del 900 ed è critica di letteratura contemporanea. Collaboratrice di «Strumenti Critici», «L’Illuminista», «Il Ponte» e di altre riviste italiane e straniere, si è dedicata in particolare ad Attilio Bertolucci, del quale ha curato il Meridiano Mondadori Opere, le prose Ho rubato due versi a Baudelaire, gli scritti sul cinema e sull’arte, e a Vittorio Sereni, del quale ha curato i carteggi con Bertolucci (Una lunga amicizia. Lettere 1938-1983, Garzanti 1993) e con Ungaretti Un filo d’acqua per dissetarsi. Lettere 1949-1969, Archinto, 2013). Ha inoltre pubblicato l’antologia Dagli Scapigliati ai Crepuscolari (Istituto Poligrafico dello Stato 2000) e Tavolozza di Emilio Praga (Nuova SI, 2008). È autrice di saggi sulla poesia di Amelia Rosselli e ha collaborato al Meridiano L’opera poetica, uscito nel 2012 e al numero monografico XV, 2-2013 di «Moderna» (Serra, 2015). Nel 2020 ha pubblicato di Attilio e Ninetta Bertolucci, Il nostro desiderio di diventare rondini. Poesie e lettere (Garzanti).
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